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Diol Kadd, la vera vita in un villaggio africano

Gianni Celati parla del documentario che ha girato per tre anni in Senegal.
di Fiorella Taddeo

Una foto di scena del film Diol Kadd. Vita, diari e riprese in un villaggio del Senegal di Gianni Celati.

lunedì 28 marzo 2011 - Incontri

Diol Kadd è un nome che dice pochissimo. Non solo agli italiani o agli europei. Ma anche ai senegalesi che, quando sono loro richieste indicazioni stradali, fanno spallucce e ammettono di non sapere alcunché su questa destinazione. Gianni Celati, invece, conosce bene Diol Kadd. Il grande romanziere italiano ci è andato per tre anni di fila, con un piccola troupe e con la voglia di raccontare e fotografare la vera vita in un villaggio africano. Da questo lavoro nasce Diol Kadd. Vita, diari e riprese in un villaggio del Senegal, vincitore all'ultimo Festival Internazionale del Film di Roma come migliore documentario sociale e presentato in anteprima a Napoli nell'ambito di Astradoc, un viaggio più che una rassegna nel cinema del reale, organizzata dall'Arci Movie e dall'Università Federico II.

Un racconto-diario della permanenza in Senegal
Nel film si respirano diverse anime: c'è un racconto rigoroso del reale che quasi sconfina nell'analisi socio-antropologica, ma allo stesso tempo la voce di Celati immerge lo spettatore nella dimensione poetica del racconto. La telecamera è lasciata libera di seguire ciò che la incuriosisce di più, senza forzature o predeterminazione: la vita nel villaggio scorre tranquilla, il lavoro si alterna al ballo, i sorrisi al sudore, una comprensibile e quasi invidiabile serenità lascia presagire un'ancora incerta direzione verso un necessario ma innaturale progresso. "Sono finito per caso in Senegal e a lavorare a questo film – spiega lo scrittore – Tutto è nato dopo aver conosciuto a Ravenna l'attore e regista Mandiaye Diaye. Mi aveva raccontato della vita nel suo paese e decidemmo di mettere in scena una commedia di Aristofane tradotta in lingua wolof sul contrasto tra povertà e ricchezza. Tutti gli abitanti del villaggio hanno preso parte all'allestimento e l'abbiamo filmata. La commedia aveva senso solo se lasciata nella loro lingua. Quindi abbiamo deciso di proiettare il filmato nel villaggio stesso, costruendo un grande schermo in mezzo alla savana. Il documentario è il racconto-diario dei nostri giorni lì".

Una profonda riflessione sui motivi della povertà in Africa
Celati afferma di non aver mai avuto l'intenzione di preparare canovacci o sceneggiature in anticipo. "La sera, sotto una zanzariera, prendevo appunti – racconta – il documentario ha preso forma così. Neanche io realizzavo effettivamente la sua portata e la sua natura. Non sono un regista, non so cosa sia un programma". Tuttavia un'idea "guida" è ben presente e il film, senza declamarla con forza e senza renderla evidente, la lascia trasparire in ogni fotogramma. "Sicuramente abbiamo voluto ribaltare in un certo senso l'idea 'bianca' dell'Africa – spiega il romanziere – Tutti, dagli esponenti della sinistra ai rappresentanti della Banca Mondiale, vedono la miseria africana come un fatto genetico, che ha origine dai tempi dei tempi. Sarebbe ora di piantarla con la storia della superiorità. Quello che avviene lì, invece, è che non esiste il plusvalore: si produce quello che serve".

Cosa succederà in Africa nei prossimi vent'anni?
Le riflessioni sulla questione della povertà si intrecciano con il rammarico di atmosfere sincere, in un certo senso in via d'estinzione. "Sono cresciuto in campagna – racconta Celati – Ho risentito le atmosfere della mia infanzia in questo villaggio del Senegal. In questi piccoli centri c'è qualcosa da ricordare, che verrà spazzato via dal progresso. In Mali è in parte già successo. La Banca Mondiale ha fatto degli interventi in tal senso e il risultato è stato l'emersione di veri e propri cancri sociali. Il problema è che non sappiamo ancora cosa sarà l'Africa nei prossimi vent'anni. Le grandi città e le capitali vivono il disagio degli slum, baraccopoli prese d'assalto dai giovani dei villaggi arrivati in città a cercar fortuna. La Banca Mondiale non può pensare di elargire finanziamenti solo quando gli africani sposano i costumi occidentali. A Nairobi, è solo l'un per cento della popolazione ad avere in mano la ricchezza della città".

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