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Alice in Wonderland: nella tana del coniglio

Dopo la parabola nera di Sweeney Todd, Burton gira una favola a colori.
di Marzia Gandolfi

Quelli che Tim Burton…
Mia Wasikowska (34 anni) 25 ottobre 1989, Canberra (Australia) - Scorpione. Interpreta Alice nel film di Tim Burton Alice in Wonderland.

martedì 2 marzo 2010 - Approfondimenti

Quelli che Tim Burton...
Conciliatorio, buonista e naturalmente disneyano. Queste le definizioni rivolte all'Alice di Tim Burton da una parte della critica afflitta da ossessione comparativa e dalla scarsa capacità di meravigliarsi. A questi signori l'Alice in Wonderland del regista californiano è sembrato abdicare alle caratteristiche principali della sua poetica, incline alla critica radicale alle convenzioni e all'amore incondizionato per i personaggi emarginati perché mostruosi o "devianti": clown malinconici, giganti buoni, cavalieri senza testa, abitanti della parte sbagliata delle favole. Alice in Wonderland tuttavia mantiene fede al "gotico" e all'eccentrico, trovando una corrispondenza forte in Big Fish, storia di un uomo costretto a letto dalla malattia, la cui unica passione è quella di raccontare storie meravigliose abitate da bizzarre creature. Edward Bloom e Alice sono idealmente prossimi. Fuori dal tempo e dentro il tempo, condividono la dolorosa presa di coscienza della maturità, della normalità rifiutata e del venire a patti con l'universo incantato e fiabesco delle nostre fantasie. Se la consapevolezza per Edward arriva nell'ora del lutto, per l'Alice di Mia Wasikowska sopraggiunge nell'ora più dolce del "giorno", quando una ragazzina non ha ancora idea di chi è e di chi incanterà col racconto del suo sogno. Le sue avventure cominciano sulle pagine soporifere di una vita "senza dialoghi né figure", decisa per lei dagli adulti. La sospensione verso il basso di Alice la sveglierà in un paese con una geografia precisa ma in cui si confondono i confini tra fantasia e realtà. Ingrandita e rimpicciolita, Alice perde la sua identità e per un breve intervallo il nome, riceve investitura e spada, decapita le sue paure, emancipa il suo inconscio dalla logica della regina di cuori e si ritrova, riemergendo nel sopramondo, con gli occhi finalmente aperti. Come Big Fish anche Alice in Wonderland può essere considerato un film pacificatorio, un'avventura estetica in cui realtà e fantasia, storia e leggenda, normalità ed eccedenza sperimentano e trovano il confronto. È d'altra parte da Big Fish che il cinema di Burton attesta una nuova maturità e un'evidente evoluzione dello sguardo. Da quel momento l'autore prova a spiegarci la sua raggiunta felicità e la sua riappacificazione col mondo. La celebrazione del connubio avvenuto tra norma e anomalia, ordinario e incredibile, dovrebbero forse rendercelo inviso? Indubbiamente no. Ben venga l'infelicità dissolta sotto ondate di cioccolata o la vendetta disfatta nei pasticci di carne e allungata con sangue copioso. Le schiere benigne dell'esercito mostruoso di Burton hanno fatto un passo indietro, imparato la convivenza con le figure del reale e trovato l'unico compromesso possibile: la trasformazione. La fiaba non fa più a meno del suo controcampo. Il Brucaliffo del Sottomondo si fa allora farfalla nel Sopramondo, mentre Alice lascia il paese delle meraviglie ed entra nella vita e nella sua storia. Nel nome del padre
Nata dalla penna del reverendo (e professore di matematica) Charles Lutwidge Dodgson, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lewis Carroll, Alice e la sua trama sprovvista della sicurezza della logica non poteva mancare di innamorare Tim Burton, invitandolo a darne una lettura sempre prossima al sistema di rappresentazione dei cartoons. In equilibrio perfetto tra esigenze dell'industria e fedeltà senza compromessi alla poetica personale, Alice in Wonderland recupera la follia e il nonsense del testo di Carroll senza esserne tuttavia un adattamento letterale. Burton ribadisce la dimensione simbolica e lo straordinario gioco di disarticolazione dei meccanismi verbali (tradotti dal Brucaliffo e dal Cappellaio di Depp) di "Alice nel paese delle meraviglie" e di "Alice nello specchio", aumentando l'età anagrafica della bambina e inventando per lei un preciso percorso di formazione, un'iniziazione alla vita adulta, una terra di Oz da attraversare, un tè da sorseggiare, una partita a croquet da vincere, un cattivo da abbattere, un pozzo da risalire, un mare da navigare. Burton, fedele al disegno disneyano, la avvolge in un abitino azzurro ma poi immagina per lei un padre, introducendo deliberatamente nella narrazione, come aveva già fatto per il Willy Wonka della Fabbrica di cioccolato, uno degli elementi più ricorrenti della sua poetica. Le figure paterne nella filmografia burtoniana sono sempre problematiche, perché assenti (Edward mani di forbici, Batman), perché incapaci di accettare la diversità del figlio (La fabbrica di cioccolato) o perché la difficoltà di comprendersi reciprocamente è parte costitutiva della relazione padre-figlio (Big Fish). In Alice in Wonderland il padre, presente nel prologo del film, è colui che consola gli incubi di Alice bambina, convalidando la sua follia (leggi fantasia) e lasciando emergere (e risaltare) la poesia del diverso. E Alice cresce diversa, piena dell'unica luce che possiamo sperare di ricevere, il bagliore dello stupore e la volontà di crederci. Alice è curiosa fin dalla soglia e per questo viene precipitata dentro una realtà che è aldilà, dove tutto può accadere, dove ogni cosa può essere vista, toccata, mangiata, dove i gatti sorridono da un orecchio all'altro, dove le regine di cuore senza cuore decapitano i re e corteggiano i fanti, dove i cappellai matti d'amore riacquistano le mani per confezionare cappellini e indovinelli senza soluzioni. Tim Burton attraversa lo specchio di Carroll e rimescola le carte, scartando la lezione del surrealismo e degli anni Sessanta, che riflettevano nelle avventure di Alice più di una somiglianza con i viaggi psichedelici, e recuperando lo spirito autentico e moderno dell'opera del reverendo. Inseguendo il bianconiglio e cedendo ancora una volta alle ragioni della fantasia, il regista di Burbank trova un nuovo sogno da sognare e una regina macrocefala e superba nel volto alterato (dagli effetti speciali) di Mrs Helena Bonham Carter. Musa del regista e diva dal protagonismo invisibile, la signora Burton è diventata star sparendo o mimetizzandosi dietro personaggi di plastilina, scheletrini sexy, voci voluttuose, pelame da primate. È la regina crudele di un mazzo di carte incartato, l'ultima sovrana del fantastico gotico, baluardo "complessato" di un paese meraviglioso a cui ha imposto la legge della fiaba. Troppo bella per essere abbattuta o per non pensare di donarle finalmente un cuore.

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