Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Cina |
Durata | 120 minuti |
Regia di | Wang Jing |
Attori | Bingyan Yan, Jiao Gang . |
Tag | Da vedere 2013 |
MYmonetro | 3,54 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 8 aprile 2013
Il film è ambientato a Pechino circa 20 anni fa, negli anni in cui l'economia cinese sta cominciando a crescere vertiginosamente.
CONSIGLIATO SÌ
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Finito al centro di polemiche durante la crisi sino-giapponese del 2012, con conseguente ritiro del film dal festival di Tokyo (in veste ufficiale e promozionale, il film è stato proiettato comunque al festival), Feng Shui è una delle visioni più nere e apocalittiche sull'evoluzione della Cina contemporanea, veicolata attraverso le maglie strette della vicenda di una famiglia, semplice e insieme esemplare, dilaniata da tensioni insostenibili, pronte a deflagrare.
Tratto da un romanzo di Fang Fang, il cui titolo - corrispondente a quello originale del film - è "Diecimila frecce che trafiggono il cuore", il film di Wang Jing gioca con il fatalismo di una dimora familiare sita in un luogo contrario a quanto indicato dal feng shui: molte strade si incrociano in coincidenza della casa, come diecimila frecce che trafiggono i cuori di chi ci abita. Una spiegazione suggestiva che in qualche modo tende ad attenuare, o a mascherare con una causa esterna, il crudo realismo di quel che effettivamente avviene all'interno del nucleo familiare, scisso tra la brusca leadership matriarcale di Li Baoli, incapace di adottare un minimo di tenerezza nei rapporti umani, e la docilità passive-aggressive di Ma Xuewu, pater familias costantemente umiliato all'interno delle mura domestiche che cerca una via di fuga in una relazione adulterina, conducendo la famiglia verso l'inevitabile disgregazione. Dei personaggi ritratti da Wang Jing non si salva nessuno, chi per una durezza vana prima e per un martirio altrettanto vano poi (la madre), chi per una doppiezza ipocrita (la suocera), chi per una subdola attitudine alla vendetta (il padre), chi perché soffocato da un rancore che non conosce requie (il figlio).
Dieci anni separano i due atti di una tragedia che scorre in parallelo all'evoluzione della Cina del progresso e di una nuova e crudele cultura del denaro, che separa le classi sociali in caste, in direzione antitetica a quanto predicherebbe il credo comunista su cui è fondata la Repubblica Popolare di Mao. E nelle immagini di Li Baoli ridotta alle mansioni di facchina per ragioni di minima sussistenza e senso di colpa insopportabile o alla desolazione di un'umanità alle prese con confini labili e slabbrati su ciò che è reato e ciò che è legalità (ben incarnata dal personaggio di Yanjin) rivivono le pagine più disperate del neorealismo italiano, come se Umberto D o Ladri di biciclette rappresentassero il veritiero rovescio della medaglia rispetto ai luccicanti e irraggiungibile grattacieli della skyline di Pechino.