Chi era il regista scomparso ieri? Il carattere, il cinema, il premio Oscar.
di Pino Farinotti
Se dici Avildsen in una memoria sollecitata all'istante, dici, soprattutto, Rocky. Ma è riduttivo. Ed è improprio, perché se il regista fosse stato fedele, in assoluto, alla propria attitudine, Rocky non avrebbe avuto il lieto fine. Certo sarebbe stato blasfemo essendo Balboa il modello perfetto del sogno americano. Anzi, ultra-perfetto perché poi di "Rocky", a perfezionare l'indicazione, ne seguirono altri cinque.
Parto da lontano, dall'inizio. John Avildsen (1935-1917) era nato a Oak Park, Chicago, Illinois. Dove trentasei anni prima era nato Ernest Hemingway. Vieni dalla stessa terra di uno così e dico che non può non avere un significato.
Se stiamo alla formazione di John, alla sua attenzione all'individuo destinato a battersi contro le forze della società, della natura e dell'ingiustizia, e a perdere, non c'è dubbio che ci siano segnali di "Santiago", il pescatore de "Il vecchio e il mare", di Harry Morgan di "Avere e non avere" e di Robert Jordan di "Per chi suona la campana".
E infatti l'esordio del regista è in questo senso, col film Joe - La guerra del cittadino Joe, del 1970, esemplare del cosiddetto cinema del sessantotto. È il modello americano di un cartello che contiene titoli come La chinoise del francese Godard, Se..., dell'inglese Lindsay Anderson e Zabriskie Point di Antonioni, fra gli altri. Sembravano questi i compagni di viaggio di Avildsen che poi ha viaggiato (anche) su altri sentieri.
Fedele alla propria vocazione è dunque legittimo che il giovane regista rifiutasse proposte come La febbre del sabato sera, ma Rocky era troppo seduttivo, si aprivano scenari vastissimi, e così... cedette. Naturalmente, se un film ti porta tre Oscar (Film, regia e montaggio) sei ben contento di averlo realizzato. Prima dell'evoluzione Rocky (1976), nel '73 aveva firmato Salvate la tigre, sempre legato al rapporto individuo-società, con un Jack Lemmon che non riesce a essere il borghese americano onesto, ed è costretto a compromessi. Lemmon, in stato di grazia ottenne l'Oscar.
Importante, nel percorso dell'artista, anche La formula, una vicenda di fantapolitica con intenti ecologici, che recuperava, per l'ennesima volta, Marlon Brando, capo di un'organizzazione che difende a oltranza il potere del petrolio a scapito della salute pubblica.
Un altro titolo identificatore è senza dubbio Karate Kid. Avildsen ne ha girati tre episodi (su quattro). Si racconta la storia di Daniel che arriva a Los Angeles e deve vedersela con compagni di scuola violenti. Gli arriva in soccorso un vecchio giapponese, filosofo e maestro di arti marziali. Daniel, apparentemente fragile e timido, impara la lezione. Si difenderà e... darà lezioni ai violenti. Il tema era molto vicino a Rocky, la rivincita e l'affermazione, ma con qualche valore in più, la saggezza d'oriente. Anche Karate Kid ha avuto grande successo, c'è un dato rivelatore in questo senso, continua a reggere la prima serata anche in questa epoca. Per finire: Stallone volle Avildsen per il suo Rocky V. La mise sul piano della storia e dell'amicizia: "Sei stato il primo, perché non farne un altro?" E Avildsen accettò. L'Oscar non si scorda mai.