Dopo Il caso Spotlight, un altro film di inchiesta al cinema. Con la grande star del passato Redford e la diva di oggi Blanchett.
di Roy Menarini
Il ritorno del giornalismo americano al cinema pare inarrestabile. Non si tratta solamente di coincidenze, quelle che avvicinano Truth - Il prezzo della verità a Il caso Spotlight, ma di comune sentire. C'è un desiderio di inchieste fatte in maniera seria e appassionata, c'è una richiesta sociale di liberarsi dell'opinionismo diffuso che rischia di sostituire l'informazione, secondo la suggestione ironicamente definita "prêt-à-penser".
Probabilmente Truth - Il prezzo della verità è un film meno raffinato de Il caso Spotlight - i cui valori narrativi, ritmici e di messa in scena corroborano l'impianto accusatorio - ma fa piacere il richiamo ai valori civili del buon giornalismo.
Certo, nel film di James Vanderbilt non tutto è perfetto, e sono proprio alcune manchevolezze nell'indagine a suscitare il vespaio di reazioni e deligittimazioni ai danni dei giornalisti di "60 Minutes", autori dello scoop contro George W. Bush.
Ed è anche curioso che la confezione del film insista così tanto su alcune soluzioni retoriche e sequenze liriche, con ralenti e musiche di gran pathos, di fronte alla lotta dei giornalisti contro il potere. Curioso, s'intende, perché quello di "60 Minutes" fu un lavoro di demistificazione e di controcanto alla retorica del governo Bush, tanto patriottico e magniloquente quanto circondato da sospetti pesanti, alcuni persino indicibili. L'anti-retorica può diventare retorica?
Meglio allora concentrarsi sugli aspetti interni all'opera, tra cui - ovviamente - la presenza di Robert Redford. Se da tante parti si è detto che questi recenti film sul giornalismo devono molto alla New Hollywood degli anni Settanta, ecco che uno dei suoi protagonisti principali (e proprio in questi ruoli: vedi Tutti gli uomini del presidente) presta il suo volto invecchiato e la sua fragilità anagrafica al cinema contemporaneo.
Accogliendo la sfida di rappresentare un volto notissimo della televisione americana (quello di Dan Rather), Redford compie un gesto di umiltà.
Quando esce di scena con un commovente addio alla telecamera, non si può non pensare al corto circuito tra la grande star del passato e il grande anchorman: entrambi hanno raccontato l'America e la sua storia moderna.
Inoltre, Truth - Il prezzo della verità mostra come Hollywood - da sempre abbastanza schierata verso la linea democratica - confermi la propensione al cinema di denuncia, vero fil rouge che ne attraversa la produzione dagli anni Sessanta a oggi. Sebbene, infatti, i tempi della New Hollywood siano ampiamente superati, non lo stesso si può dire del suo genere più resistente, quello appunto dell'attacco alle ingiustizie e alle bugie del potere.
Bush è probabilmente il presidente più bersagliato del cinema Usa di questi anni, ma era inevitabile viste le convulse svolte storiche e belliche avvenute sotto la presidenza neo-conservatrice.
La sensazione è che oggi, di quegli anni così drammatici, rimanga soprattutto un archivio di fatti, come se fosse tutto già lontano dalla carne viva delle persone. La stessa forma classica e vagamente televisiva di Truth - Il prezzo della verità appaiono come conferme di quanto velocemente si storicizzi un periodo recente.
Rimane, a scuotere il tutto dal rischio di torpore e dalla sensazione del pilota automatico, la prestazione vibrante e nervosa di Cate Blanchett, il cui monologo finale è destinato ad essere proiettato prossimamente nelle scuole di giornalismo.