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Tokyo Film Festival, il cinema nipponico

Riflessione sullo stato di cose del cinema giapponese odierno.
di Paolo Bertolin

In foto il regista e l'attrice dell'unico film nipponico in concorso al Tokyo International Film Festival Pale Moon.

domenica 26 ottobre 2014 - News

Il cinema giapponese è stato al centro del proscenio nel terzo giorno del Festival Internazionale di Tokyo. Mentre Takeshi Kitano riceveva il premio SAMURAI alla carriera e conversava con i giovani laureati dei festival di cinema per studenti, veniva proiettato in prima mondiale Pale Moon di Daihachi Yoshida, unico film nazionale selezionato quest'anno per il Concorso Internazionale. Un'occasiona ideale per riflettere sullo stato di cose del cinema giapponese odierno, in vista anche dei primi film passati in gara nel concorso Japanese Cinema Splash e della prima del nuovo lungometraggio di Mamoru Oshii, Garm Wars - The Last Druid.
Il Maestro Kitano è difatti l'ultimo cineasta nipponico ad avere conseguito un primo premio in uno dei tre grandi festival europei, grazie al Leone d'Oro di Hana-bi nel 1997. Nei diciassette anni intercorsi, sono invero arrivati riconoscimenti cannensi per Naomi Kawase e Hirokazu Koreeda, ma da anni in Giappone ci si interroga su un rinnovamento generazionale nelle schiere del cinema d'autore che pare continuamente posticipato. L'anno scorso il Festival di Tokyo aveva dato segnali assai rincuoranti, grazie ai due bei film nazionali in concorso, Au revoir l'été di Fukada Koji e Disregarded People di Sakaki Hideo, e alle scoperte del bellissimo Tale of Iya di Tsuta Tetsuichiro in Asian Future e del rigoroso Forma di Sakamoto Ayumi in Japanese Cinema Splash.
Purtroppo, sin qui, il raccolto 2014 pare decisamente più magro. C'era molta attesa per il film di Yoshida, reduce dal successo di The Kirishima Thing, anche perché la protagonista è la popolare attrice e modella Miyazawa Rie. E Pale Moon prende in effetti le mosse da uno spunto accattivante: nel 1993, un'impiegata bancaria non più giovanissima, ma non ancora sfiorita, intrappolata in un matrimonio confortevole ma insabbiato nella noia, si abbandona alle attenzioni del nipote collegiale di un anziano e ricco cliente e scopre di potersi dare alla bella vita accedendo fraudolentemente ai fondi dei correntisti. Si tratta di una parabola che prevede un'ovvia escalation di eccessi di lussi a spese altrui e un'altrattanto prevedibile spirale discendente, allorché i raggiri della protagonista vengono scoperti. Ad una prima parte assai ben oliata e di coinvolgente progressione, che ha il merito di mettere al centro di una pellicola commerciale un personaggio di donna matura che decide di prendere in mano le redini della propria vita e concedersi una seconda chance - per poi farsi prendere la mano, segue purtroppo uno sviluppo a conti fatti prevedibile (in particolare nella risoluzione della relazione con il giovane Ganimede) e un epilogo che si accartoccia su flashback ridondanti, per poi inciampare su una terna di finali di cui il più debole è la vera chiusa del film. Una riuscita a metà che spiace soprattutto per lo sforzo encomiabile di Miyazawa, che rende con grande naturalezza e intensità il suo ruolo di donna ordinaria e un po' grigia che fiorisce in una seconda primavera fatta d'illusioni e menzogne.
Le pecche di Pale Moon sono però giusto veniali in confronto allo sconfortante tonfo del nuovo film di Oshii Mamoru, Garm Wars - The Last Druid. Lavorando in un territorio definito "ibrido", tra live action e animazione e girando in inglese, il grande autore di Ghost in the Shell e The Sky Crawlers, confeziona un fumettone fantascientifico di sconfortante superficialità, dove i riferimenti ai temi cari all'autore che hanno arricchito di inusitato spessore concettuale il sottogenere mecha (identità, persistenza della memoria, caducità dell'umano, etc) si riducono ad un parodistico Bignami che non basta a giustificare né tantomeno a redimere la banalità dello sviluppo narrativo - a discapito delle pretese epiche di prologo e epilogo - , la pessima recitazione e la bruttezza pacchiana e derivativa dell'impianto estetico (ivi incluse le musiche di Kawai Kenji, anch'egli persosi a rifare se stesso). Quel che è peggio è che, nonostante l'esito da prodotto straight-to-video, Garm Wars è un'opera dispendiosa che rischia non solo un'avvilente caduta artistica, ma anche un pesante tonfo commerciale. Speriamo Oshii se ne riabbia e risalga alle vette visive e intellettuali dei suoi capolavori.
Nel panorama del concorso nazionale di Japanese Cinema Splash segnaliamo il curioso Chokolietta di Kazama Shiori. Omaggio dichiarato a Fellini (che ha rivelato alla regista il mondo di sogni che è il cinema), il film racconta di un'adolescente, Chiyoko, che ha perso entrambi i genitori in un incidente stradale, quand'era ancora bambina. La madre l'aveva ribattezzata Chokolietta in assonanza con il nome del cane di famiglia, Giulietta - in omaggio all'adorata Masina de La Strada. Allorché anche Giulietta muore, Chiyoko dichiara apertamente il suo intento di voler diventare un cane. Iscritta, come già la madre anni prima, al club di cinema del liceo, la ragazzina parte alla ricerca di sé stessa, attraverso un film da girare e un viaggio in motocicletta con l'altrettanto anticonvenzionale compagno di club Masumune. Oggetto filmico curioso capace di registrare con sensibilità gli umori incerti e variabili di un'adolescenza marginale, accendendosi di parentesi surreali d'ispirazione felliniana, il film di Kazama soffoca i suoi momenti di grazia in una ridda di pleonasmi e smagliature che assommano ad una durata di quasi due ore e quaranta. Nel 1995, la regista vinse uno dei primi Tiger Awards del festival di Rotterdam con Fuyu no Kappa. La sua carriera, composta da altri due lunghi in vent'anni, non è però mai decollata: un caso forse emblematico di quel fallito ricambio generazionale di cui si parlava poc'anzi. E si può onestamente dubitare che Chokolietta segnerà una svolta, per lei e per il cinema nipponico...

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