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Il cinema in movimento

Politiche del cinema.
di Roy Menarini

In foto Claudio Bisio in una scena del film Benvenuto Presidente!.
Claudio Bisio (67 anni) 19 marzo 1957, Novi Ligure (Italia) - Pesci. Interpreta Peppino nel film di Riccardo Milani Benvenuto Presidente!.

lunedì 22 aprile 2013 - Focus

Che cosa è Il cinema in movimento? Una rubrica dedicata alle trasformazioni del cinema nell'epoca dei new media e alle riflessioni che si possono trarre dalle novità in atto.

Se la cronaca politica di questo periodo ha offerto spunti a non finire sul mutamento rapido e talvolta incontrollabile delle forme di rappresentanza democratica, nel cinema si è contemporaneamente sviluppata una ricca produzione politica. Alcuni film di questi giorni, dal francese Il ministro all'italiano Passione sinistra, sembrano ragionare nuovamente sull'argomento. Il cinema transalpino, nel caso della pellicola diretta da Pierre Schoeller, sembra introiettare l'eterno ritorno dell'esercizio astratto del potere come sfiancante strategia del quotidiano, tra Musil e Sorrentino. Nel caso del cinema nazionale, invece, le forme della commedia - come già in Tutto tutto niente niente, Viva l'Italia, Viva la libertà, Benvenuto Presidente! e altri titoli - vengono considerate le più adatte a raccontare uno scenario politico che le dimensioni comiche le ha interiorizzate, visto il successo comunicativo ed elettorale di Beppe Grillo.
Che cosa ha a che fare tutto questo con la nostra rubrica? Pur non trovandoci di fronte a film che cavalcano le nuove forme del cosiddetto "post-cinema" o che utilizzano strumenti provenienti dai nuovi media, il cinema politico non è semplicemente orientato sull'esterno, a commento della realtà e della cronaca. Anzi.

Questo sottogenere sembra perimetrare anzitutto un pubblico molto preciso, interessato all'argomento e - persino nelle commedie più sfacciate - consapevole di ciò che avviene nel convulso day-by-day della politica italiana. Si rinuncia, per scelta, a un pubblico di massa, lo stesso magari che in forme più diluite e popolareggianti, aveva premiato l'Italia riconciliata geograficamente di Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord. Quella era ancora un'Italia bipolare, nord/sud, destra/sinistra, e servire al pubblico ironia e compromesso, laddove la scena nazionale era teatro di scontro furioso e continuo, garantiva successo. Ora le cose sono cambiate, nuovi protagonisti politici e sociali sono saliti alla ribalta, i partiti tradizionali sono sull'orlo della dissoluzione, i nuovi movimenti enfatizzano l'uso del web, altri covano sotto la cenere ma contano di giungere prepotenti sulla prossima scena elettorale. In buona sostanza, la fluidità della politica appare troppo repentina perché il cinema, con i suoi tempi di produzione, riesca a riprodurne istantaneamente gli umori. Ed ecco, allora, che si ripresenta un problema di quantità. Negli anni Cinquanta e Sessanta, in Italia si giravano centinaia di film all'anno e il cinema parodistico e farsesco - da Totò ad Aldo Fabrizi - era in grado di realizzare pellicole in poche settimane, seguendo e modellando l'opinione pubblica come oggi fanno invece la televisione e il web. Il cinema politico contemporaneo dialoga dunque con spettatori molto più perimetrati, meno numerosi, attivi elettoralmente e civilmente, e - in buona sostanza - denuncia limiti che non riguardano solamente il terreno della creatività e della limpidezza argomentativa, bensì il contesto più generale del cinema come industria e istituzione.

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