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Hugo Cabret: lezioni di cinema

La troppa passione di Martin Scorsese. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Martin Scorsese sul set di Hugo Cabret.
Martin Scorsese (81 anni) 17 novembre 1942, New York City (New York - USA) - Scorpione. Regista del film Hugo Cabret.

lunedì 6 febbraio 2012 - Focus

Il cinema ha centodiciassette anni. È importante, è l'arte del Novecento e degli anni successivi. I cineasti, nei tempi, sono riusciti ad accreditarsi come artisti seri. Di tanto in tanto qualcuno decideva di richiamare l'attenzione sullo stato del cinema, del suo mondo, della tecnica e dell'arte, della funzione e del destino. Una revisione, un promemoria, un richiamo: ecco la radiografia, ecco i chiari e gli scuri, ma non dimenticate l'opzione primaria, il sogno.
Tre titoli esemplari da memoria immediata: il magnifico Viale del tramonto, istantanea cattiva di quel mondo, oppure Nuovo cinema Paradiso, reminiscenza commossa del cinema come incanto, e poi l'evoluzione meccanico-estetica di Blade Runner. E poi molti altri, naturalmente. Sulla "funzione", un momento decisivo è quello del russo Dziga Vertov, che nel 1929 dettò, con L'uomo con la macchina da presa, il suo codice: il cinema doveva essere solo documento, raccontare la realtà, la vicenda quotidiana del popolo e la sua formazione ideologica. La fiction era uno strumento inutile e decadente per imbrogliare le masse, dunque niente fantasia, invenzione, sogno. Se avesse potuto estendere la sua idea alla fiction cartacea Vertov avrebbe azzerato Omero, Dante, Shakespeare, persino il "suo" Tolstoy, e tutti gli altri. Che bella pensata. Eppure quell'indicazione dettò legge per molto tempo, anche qui da noi. Che tristezza.

Opposto
Col suo Hugo Cabret, Scorsese evoca Georges Méliès, il puro opposto di Vertov, il padre secondo del cinema, dopo gli inventori Lumière. Siamo ancora nel 19° secolo quando Méliès, prestigiatore e illusionista, dopo aver assistito a una proiezione dei fratelli, L'arrivo del treno alla stazione, decide che il cinema sarà il suo destino. E dunque inventa, se non tutto, molto: per cominciare inventa la fiction, poi gli effetti speciali, poi un certo montaggio, la dissolvenza, e persino il colore anche se in modo empirico, colorando a mano i fotogrammi. Inventa anche la fantascienza. Soprattutto inventa il sogno. "Sogno": in "Hugo" viene pronunciato decine di volte. Ispirandosi al libro di Brian Selznick, Scorsese fa ritrovare, dal bambino Hugo, Méliès gestore di una bottega di giocattoli nella stazione di Montparnasse di Parigi. La complicità fra il vecchio e il bambino sono il cinema e un uomo meccanico, comune a entrambi, a sua volta lui metafora del cinema. Ma l'innamorato più grande è proprio Scorsese. Non gli pare vero di poter usare uno strumento con tutte le possibilità che gli offre il piccolo Hugo, riparatore di orologi, solo a combattere per far vivere la sua invenzione. Hugo e la sua piccola amica in una sala vedono la famosa sequenza di Harold Lloyd appeso, sul vuoto, all'orologio. Scorsese fa ripetere a Hugo quell'azione, come memoria, omaggio, giubileo. Passano ombre dei primordi, Opalong Cassidy, Douglas Fairbanks, Tom Mix, Rudy Valentino. Quanta passione di Scorsese.

Impatto
Dopo il grande impatto iniziale dell'invenzione, Méliès ebbe un declino. Era il momento dei pionieri, non c'erano regole o leggi. Il cinema non produceva diritti d'autore. E il mago-regista si trovò pieno di debiti a dover sopravvivere con la sua bottega alla stazione. Col peso quasi mortale dei ricordi. Aggiungo che probabilmente aveva anche visto qualche film di Vertov. Scorsese sublima l'opera assoluta di Méliès, Le Voyage dans la Lune, e lo rigenera, lo riforma e lo rilancia grazie alla tecnologia. Non lo videro così bene neppure gli spettatori a Parigi nel 1902.

Per definire lo stato del cinema che vive, dovunque, un momento di contrazione e di crisi di tutte le identità, per incoraggiare tutti e resettare un codice che andava smarrendosi, Scorsese ha scelto l'autore di "maggior sogno" della storia di questa disciplina. Non credo che Martin abbia una grande passione per Vertov. Se si parla di cinema, la fiction è decisamente più importante del documento. Certo, è meglio se i "due" riescono, qualche volta, a integrarsi. Noi lo sappiamo bene, l'abbiamo inventata, in tempi belli, quell'integrazione.

Assist
E così in Hugo Cabret, il regista cerca di percorrere la strada di Méliès. Il maestro gli ha fornito indicazione, assist, alibi, a oltranza. E Scorsese si è un po' perso in tutto quello spazio. In Hugo c'è il computer, c'è la cinepresa che corre fra binari, finestre, ingranaggi, insegne d'epoca, e gente d'epoca. Un'estetica "perfettissima", estrema, un meccanismo tanto lucido da "sparare", tanto colorato da confondere, tanto veloce da procurare vertigine. Scorsese si è valso di un altro mago, nostro, Dante Ferretti, un altro adepto di Méliès. Ferretti è un superdotato che tende a prevalere, persino ad aggredire gli spazi del regista. Così, a briglia sciolta, ha inventato, ha inciso troppo. Tanto che puoi distinguere il momento Scorsese dal momento Ferretti.
L'intervento dell'artista italiano è magnifico e importante, ma è anche vasto, colossale, ingombrante. Così, in certe parti, il film smarrisce la linfa del lavoro fatto a mano, come lo faceva George Méliès. È legittimo dire che Scorsese ha tracimato per troppa passione. Gli americani hanno rilevato l'opera da... americani, molto attenti allo strato scintillante di spettacolo, a ciò che appare clamoroso, più che al profilo discreto e profondo della cultura. E le hanno concesso tutte quelle nomination.
Comunque il promemoria si fa largo, naturalmente. E alla fine, l'intenzione, l'impegno, il sortilegio arrivano, anche da un'opera imperfetta.

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