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Cacciato von Trier: scusate, ma l'avevo detto

Il più grande sopravvalutato del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Lars Von Trier in occasione della conferenza stampa di Melancholia al Festival di Cannes
Lars von Trier (68 anni) 30 aprile 1956, Copenhagen (Danimarca) - Toro.

venerdì 20 maggio 2011 - Focus

Ho sempre avuto una spiccata antipatia per Lars von Trier, da anni dico che si tratta del più grande sopravvalutato del cinema: possiede una parte di talento, ma troppo parziale. Due anni fa, ai tempi di Antichrist, spiegavo il mio sentimento, mi auguravo che quel film fosse l'ultima tortura per tutti, Trier compreso. In un certo senso avevo previsto ciò che è successo a Cannes. Ecco due stralci dell'intervento di allora.

"... È trasparente il non amore del regista verso gli esseri umani, privilegiando, sì, le donne. Non conosco Lars e non ho gli elementi per dire che odi se stesso. Ma applicando i termini dell'equazione dei suoi film si può azzardare: odia se stesso e molto, ama far del male (al pubblico) per farsi fare del male. Ci si domanda cosa può fare ancora. Antichrist dichiara tutte le logiche per essere l'opera ultima, il testamento finale. Quali evoluzioni sono ancora possibili nella "poetica" dell'artista? Altri autori, alla fine, avevano detto tutto ed erano stanchi. Come Fellini, che era rimasto senza energia così come i suoi scrittori, o Bergman che si ripeteva senza l'ispirazione dei tempi migliori. L'ultimo Wenders si rifugia nelle piccole passioni private, come la musica: ha concesso moltissimo, adesso concede solo a se stesso, ma senza odiare o farsi odiare. L'inverosimile De Oliveira (101 anni) prosegue imperterrito, uguale a se stesso, nella sua stucchevole noia di qualità. Anche Woody Allen concede sempre di più al proprio recondito, ma è leggero e fa ridere, e non è poco. Anche Pasolini alla fine si era concesso troppo del proprio recondito. Lo ha trasmesso arbitrariamente, senza discrezione, con quei suoi ultimi film senza limiti e salvaguardia. E per lui non era un fatto di senilità, valeva la frase di Trier: "faccio i film solo per me stesso" con in più quella cifra pericolosa che poi è emersa con la sua fine. Peccato, ha compromesso la sua opera prima della ...tracimazione..."
..."L'assunto è che un artista ha diritto a tutto, a tutti gli estremi, a rappresentare tutte le proprie patologie, dalla morbosità all'arco completo dei vizi reconditi. Un assunto magnifico al quale corrisponde un diritto: quello dello spettatore di non andare a vedere i film di quell'artista. Ma questa volta c'è di più e non riguarda il pubblico ma i fedelissimi di Trier, che sono i critici, appunto. A Venezia, durante la proiezione riservata appunto alla critica, la platea assisteva silenziosa, c'era disagio tattile, fino a quando la volpe portatrice di complesso di colpa dice al terapeuta "il caos regna", e lì si è levata la prima risata, ed è stato l'inizio, il credito dell'autore non ha più tenuto, ha cominciato a sgretolarsi, e fra fischi di decibel sempre maggiori, il muro di Trier è crollato. Deluso, arrabbiato, offeso, Lars ha detto che quel riscontro non gli interessava, che lui aveva sempre fatto i film solo per se stesso. L'artista era nudo, anche il quel senso. Questo film "cattivo" a oltranza è anche una dichiarazione estrema di onestà. Tutto il film è occupato dall'attitudine, dalle patologie, dal privato, dalla vita senza ideologie. Non c'è spazio per altro, neppure per il sociale, che pure è sempre stata un'opzione prevalente per il regista. Del resto tutto questo viene preventivamente dichiarato in prima persona nel pressbook: "Vorrei invitarvi a un piccolo sguardo dietro il sipario, uno sguardo nel buio mondo della mia immaginazione, nella natura delle mie paure". Trier non ha neppure cinquant'anni, dunque non è senilità, ma ha commesso un errore di valutazione, grave per un artista: la presunzione di essere accreditato, di possedere l'attestato di maestro, di essere esempio ed eroe, e dunque di aver diritto alla franchigia e magari all'immunità. Quei maestri, quei "legislatori" ci sono, soprattutto ci sono stati, nel tempo, anche lontano, e hanno lasciato un segnale al quale noi utenti ci ispiriamo, al quale ricorriamo nei momenti utili. Questi sì, si sono guadagnati franchigia e immunità. Trier non è fra costoro. Crede di esserlo. "Faccio i film solo per me stesso". E così semplicemente, ingenuamente si potrebbe rispondergli "E allora guardateli tu, da solo". La mia speranza, e l'augurio (e anche coerentemente il suo) è che nelle sale dove proiettano i suoi film, ci vada poca gente, poi pochissima, poi ... nessuno. A così Lars avrà realizzato, ancora una volta "in estremo" le proprie filosofia e missione: una sua opera proiettata in una sala vuota. E voglio, a mia volta, andare oltre, come estremo. Nella sala non entra neppure lui. E avanzo ancora: sala vuota, macchina senza operatore che proietta in automatico, e la macchina che si... autoguasta. La sala, il buio, la pellicola interrotta. Il niente. Così come l'artista ha diritto a tutto, lasciamo a chi scrive il diritto alle proprie fantasie e speranze. Quando un autore si prende la responsabilità della tracimazione, la riconosce a la riconferma, allora sono fatti suoi ed è cinema suo. Il pubblico non c'entra più. Che Antichrist sia l'ultimo. ..."

Viziato
Trier è stato molto viziato sin dall'inizio, inviti alle Mostre e tanti premi. La critica lo ha santificato in nome del Dogma. Per anni il regista danese si è sentito un principe del cinema, un legislatore, un modello unico. Poi, come accade, è stato sorpassato da altri. Si alternavano prevalenze stilistiche, commerciali, di contenuto, eccetera. E' un'evoluzione, la cosa più normale. Allora succede che l'artista voglia resistere, voglia rimanere sul ricciolo alto dell'onda, e non è facile. Fare film sempre più belli e importanti non è semplice. C'è un'altra strada, quella di riaffermare il proprio marchio, carattere, e nome. È la scorciatoia dello choc. Il problema è che se arrivi a quella fase sei già compromesso. Trier era già compromesso. L'ho scritto sopra: "Ogni artista ha un recondito" ma poi occorre una misura, un freno interno. Se a Cannes dichiari di avere una debolezza per l'estetica nazista e che Hitler lo capisci e provi simpatia per lui, è chiaro che il giorno dopo il mondo parlerà di te. Sinceramente dichiarare simpatia per Hitler...non riesco a pensare a niente di peggio. Trier ha dunque pensato al record assoluto. E sospetto che alla fine essere estromesso da Cannes, dunque dal cinema, dunque in un certo senso dal mondo, lo gratifichi. Gli dia un alibi disperato. Le sue dichiarazioni del "dopo" del resto vanno in questo senso: "Sono fiero di essere persona non grata, è la prima volta che succede nella storia del cinema". La patologia di far male a se stesso e agli altri. Del resto, il suo film in concorso, Melancholia, la fine del mondo, di tutto e di tutti, è stato un altro testamento macabro, cattivo e sadico, Antichrist è stato sorpassato, e non era semplice.

Ho scritto fino all'ossessione che la censura è peggio di Ciprì e Maresco, dell'Enigmista e di Trier, è peggio di tutto. Se bandire Trier dai festival - dopo che il pubblico lo ha bandito- in qualche modo può essere censura, ebbene per il danese faccio un'eccezione. Ma temo che al peggio non ci sia fine.
Trier è il regista del disservizio. Un artista ha il dovere del servizio, deve dare indicazioni all'utente, deve fargli comprendere qualcosa che senza di lui non comprenderebbe. Può anche angosciarci, se poi l'angoscia è un "servizio" utile per la comprensione. Ma alla fine deve farci stare meglio. Che Lars sparisca fra i ghiacci.

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