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Cantando "sotto le stelle del Cinema": Stanley Donen

Quando fare un film era come passeggiare sulla neve fresca.
di Luisa Ceretto

La macchina dei sogni hollywoodiana
Stanley Donen 13 aprile 1924, Columbia (South Carolina - USA) - 21 Febbraio 2019, New York City (New York - USA).

martedì 29 giugno 2010 - Incontri

La macchina dei sogni hollywoodiana
F red Astaire, Gene Kelly, Frank Sinatra, Audrey Hepburn, Cary Grant, Richard Burton, Doris Day sono alcuni tra i nomi più importanti diretti da Stanley Donen, che ne ha immortalato il talento in pellicole divenute pietre miliari del cinema classico americano.
Nato nel 1924 in South Carolina, Stanley Donen appena sedicenne si trasferisce a New York per fare il ballerino. A diciassettenne anni va ad Hollywood, dove ha inizio la sua avventura insieme a Gene Kelly, con cui co-dirige Un giorno a New York (1949), Cantando sotto la pioggia (1952), È sempre bel tempo (1957). Nel frattempo, da solo, firma la regia di Sette Spose per sette fratelli (1954). Terminato il sodalizio con Gene Kelly, nel 1957 dirige un altro successo, Cenerentola a Parigi, con Audrey Hepburn e Fred Astaire.
Dopo aver realizzato Il gioco del pigiama, Donen, ormai definito "il re dei musical", si concede una pausa dai film musicali, per occuparsi della regia di una commedia interpretata da Cary Grant e Ingrid Bergman, Indiscreto (1958).
Mentre gli Studios negli anni Sessanta cominciano a dare segni di cedimento, per Stanley Donen ha inizio una nuova stagione prolifica, dove realizzerà alcune riuscitissime pellicole, come L'erba del vicino è sempre più verde, Sciarada (1963) e ancora, Due per la strada (1966).
Oscar alla carriera nel 1998, vincitore del Leone d'oro alla carriera al Festival di Venezia nel 2004, Stanley Donen ha raccontato un'America spensierata, sognatrice, lontana dalla pragmatica quotidianità, creando personaggi che a passo di danza, dall'universo della settima arte sono entrati in modo indelebile nell'immaginario collettivo.
In occasione della presenza a Bologna di Stanley Donen, per un omaggio al suo cinema nell'ambito della ventiquattresima edizione del Cinema Ritrovato (26 giugno-3 luglio), promosso da Cineteca di Bologna ed Ente Mostra Internazionale del Cinema Libero, gli abbiamo rivolto alcune domande.

Ci può raccontare le sue prime impressioni su Hollywood, come le è parso al suo arrivo quell'universo?
Ho comprato un biglietto per conto mio per Hollywood, ero in cerca di lavoro e...Beh l'ho trovato! Avevo diciassette anni quando sono arrivato, per me era un mondo incredibile. Amavo il cinema e vedevo film sin da piccolo. Non avevamo ancora la televisione, quindi il cinema e il teatro erano i due principali svaghi.
Per me, Hollywood era Fred Astaire, Hollywood era Citzen Cane, rappresentava la meraviglia di questo medium...Ero nel posto giusto.

Il musical nasce come forma spettacolare teatrale, per il palcoscenico. Non doveva essere facile "trasferire" su schermo un testo che nasceva per un altro medium...
Era orribile, tremendo! La mia prima regia, Un giorno a New York (1949) era un adattamento di uno spettacolo di Broadway. Fare un film per me voleva dire mettere in scena una piè-ce che nasceva per il palcoscenico. Questo significava "restringere", ridurre il testo, pensarlo per immagini. L'ho fatto molte volte...perché io volevo fare film. Era una battaglia e non era per nulla piacevole ma non mi sono mai tirato indietro, del resto ciò che mi interessava era il musical cinematografico. Ciononostante amavo molto gli spettacoli di Broadway, ma per fare un film era necessario cambiare...

Il musical è forse uno dei generi più longevi... Quali sono le ragioni del suo successo?
Perché nasce il musical? La risposta è presto detta: quando i film sonori divennero una realtà concreta, prima del 1930 il cinema era muto, i produttori pensarono immediatamente alle potenzialità che poteva avere avvalendosi della musica, ed ecco perché il musical fu il genere su cui si puntò maggiormente! Ben presto divenne il nuovo gioco dell'industria cinematografica. Non interessava tanto la gente che parlava, quanto l'elemento musicale.
Ma poi, quando successivamente si pensò di venderli al mondo intero, era necessario che i film fossero comprensibili ad un pubblico giapponese, italiano, francese, tedesco, svedese. Ciò voleva dire tradurre i film in tutte queste diverse lingue...Per il musical le cose si complicarono, perché bisognava tradurre le canzoni in tutte le lingue...Ecco, quindi, che si sono cominciati a produrre film dove i personaggi si picchiavano, se non addirittura si uccidevano...dove comunque si riprendevano azioni che non avevano bisogno di essere tradotte...Il musical per problemi economici divenne meno redditizio...

I suoi film Cantando sotto la pioggia, Cenerentola a Parigi, Sette spose per sette fratelli sono capolavori assoluti in cui ogni singolo elemento è parte di un ingranaggio perfettamente calibrato, dove il corpo dell'attore, fondendosi in un tutt'uno con la coreografia, si trasforma in ritmo, colore, armonia perfetta. Quali sono stati gli ingredienti per la riuscita di un musical, qual era il suo segreto?
Quando fai un film, ogni cosa deve essere fatta al meglio, che si tratti di un musical o di qualsiasi altra cosa. Io procedo seguendo le mie sensazioni, non ho un approccio intellettualistico. Ho bisogno di provare quello che sento... È come innamorarsi di qualcuno...Non è necessario avere troppe idee su come dover essere, hai solo bisogno che le cose accadano... io non conosco un altro modo per fare un film, se non questo...Mi affido al mio istinto, alle mie sensazioni, se qualcosa mi sembra che vada bene, sembra essere giusta, proseguo in quella direzione...

I suoi personaggi in qualche modo riflettono una società idealizzata, ce ne vuole parlare?
Per me è molto difficile parlare in termini generali. I miei personaggi non rappresentano la vita così come noi la vediamo, piuttosto interpretano emozioni, sensazioni: non sono mai ripresi in una gestualità quotidiana., mentre fanno il bagno, o stanno facendo le pulizie, o quando sono ammalati. Ciò che più mi interessa è la loro vita interiore, sono espressione di come ci sentivamo, delle nostre sensazioni, esprimono quello che era il nostro desiderio più grande, ovvero di cantare e danzare, almeno, io la penso così. Ed è una bella sensazione!
Penso che la differenza tra i miei film musicali e le produzioni successive, sia che quando ho cominciato a fare musical, la neve era ancora fresca...Ora, quando stai per realizzare un film è molto diverso, sembra già tutto visto e scontato. Certamente sono stato fortunato di poter fare film quando ancora la neve era fresca...

Ci vuole raccontare del suo sodalizio creativo con Gene Kelly, di cui lei diventa aiuto coreografo sin dalla metà degli anni quaranta, collaborando su musical come Fascino di Vidor e ancora come Due marinai e una ragazza di Sidney, per poi proseguire nella direzione a due di Un giorno a New York, Cantando sotto la pioggia e È sempre bel tempo?
Litigavamo spesso, non eravamo quasi mai d'accordo, era difficile co-dirigere un film, ma ci siamo riusciti! Eravamo amici, l'essere litigiosi non ha mai rovinato la nostra amicizia, al contrario! Ha persino sposato la mia ex moglie.
Kelly ha fatto di me un regista, provenivamo entrambi dal mondo del teatro, ma lui era già una star e mi ha dato la possibilità di collaborare con lui. Era una persona piena di fascino, di energia e di talento.

Nel corso della realizzazione di un film, qual è la fase che preferisce?
È sempre lo stesso...ciò che più mi preme è la buona idea di partenza, è quella che mi dà lo slancio e l'energia per cominciare e andare avanti nella realizzazione del film. Quando viene l'idea, uno spunto interessante che ti fa capire che potrebbe fare la differenza, che una scena girata in un certo modo potrebbe dare il giusto tono.
Noi facevamo i nostri piccoli film, qualcuno più intelligente di me ha detto: "Dio è nei dettagli". I dettagli sono importanti. Il problema è sempre nel tempo e nel suo uso. Non potrei fare un film a proposito del mondo intero, ma posso parlare di piccole storie, appunto...

Due per la strada è un film girato in Europa, lontano dagli Studios statunitensi...ce ne vuole parlare?
Vivevo già in Europa da qualche tempo. Le cose cambiano, come del resto i paesi. È molto diverso per me ad esempio essere qui adesso (in Italia, ndr) ed incontrare gente che abita in un paese meraviglioso denso di storia, di architettura, di musica...
I Francesi sono stati stupendi...per il film Due per la strada, è una storia che parla di un matrimonio di una coppia che cerca di salvare la propria unione...Si trattava di vedere il matrimonio da un'altra angolazione...

A proposito di Audrey Hepburn, com'era lavorare con lei?
A udrey Hepburn era un'attrice straordinaria, meravigliosa, unica, attraente, bella, giovane, brava e dolcissima. Lavorare con lei è stato molto bello, non abbiamo mai avuto un litigio, eccetto durante la lavorazione di Fanny Face, c'era una sequenza in cui doveva mettersi dei calzini bianchi. Lei non voleva saperne, tanto più che vestiva completamente di nero. Ma io ho insistito, dicendo che doveva portarli, per rendersi meglio conto dei propri movimenti. Io dovetti insistere durante le riprese e le dissi che doveva metterli senza discutere!
Lei cominciò a piangere ma li mise, seppure malvolentieri. Alcuni giorni dopo mi disse che avevo avuto ragione ad insistere. Questo è stato l'unico dissapore avuto con lei.

Va ancora al cinema e a teatro di questi tempi?
Sì faccio entrambe le cose, vivo a New York. Non ho quello stesso amore per i film di oggi perché trovo che il cinema sia fatto per un pubblico diverso da quello della mia età...Mi sembra che il cinema contemporaneo si rivolga sempre di più ad un pubblico giovanile, che sia quella la fascia in cui l'industria investe maggiormente, forse a ragione...ma non si trovano più film per le fasce meno giovani...O almeno ce ne sono pochi. Non sono più i tempi dei film di Fellini, di Welles, di De Sica o di Renoir...

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