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Napoli Film Festival: Pupi Avati parla di "Una sconfinata giovinezza"

Il prossimo film di Avati sarà una storia d'amore.
di Fiorella Taddeo

Una storia particolare
Pupi Avati (85 anni) 3 novembre 1938, Bologna (Italia) - Scorpione. Regista del film Una sconfinata giovinezza.

giovedì 10 giugno 2010 - Incontri

Una storia particolare
Sarà la sua prima storia d'amore, cinematografica chiaramente. Pupi Avati, dopo Il figlio più piccolo, tonerà dopo l'estate sul grande schermo con Una sconfinata giovinezza, in cui dirige Francesca Neri e Fabrizio Bentivoglio alle prese con una felice vita di coppia che dovrà fare i conti con il problematico stato di salute di lui. Il regista bolognese è ospite al Napoli Film Festival ed è da Castel Sant'Elmo che parla della sua prossima creatura. "Ho praticamente frequentato tutti i generi", spiega il regista. "Tranne i western, la fantascienza e, appunto, le storie d'amore. Questo sarà un racconto singolare: parlo di due individui non più giovanissimi sposati senza figli, motivo proprio della loro grande unione. Dovranno scontrarsi con la malattia di Bentivoglio, un giornalista sportivo che presto scoprirà di avere l'Alzheimer".
Il film è stato girato per intero a Cinecittà, "Con grande piacere di mio fratello", sottolinea scherzosamente Avati parlando di Antonio, il produttore di tutti i suoi film, "Le ambientazioni sono Roma e l'Emilia. Aveva ragione Fellini a preferire gli studios: qui puoi realizzare tutto quello che immagini". Ritornando alla trama della pellicola, il regista ci tiene a precisare che "Non sarà un film disperato. In fondo l'Alzheimer è la malattia dei parenti e non dei malati. Si accentua fortemente la memoria sul passato e questo porta Francesca Neri ad accudire il marito come il bambino che non hai mai avuto. Il tempo della storia", continua "Assomiglia molto alla mia età. Non dico che sia nostalgia, ma il ricordo del passato diventa sempre più importante. Si capisce se un percorso è stato fatto, infatti il film è molto strutturato con flashback". Per Bentivoglio, Avati dice di aver voluto una interpretazione molto leggera. "Gli attori", spiega "sono sempre molto affascinati dai ruoli dei malati, degli ubriachi, dei gay. È come se in questi casi volessero far vedere quanto sono bravi e tutto ciò porta ad una generosità interpretativa eccessiva che invece stavolta ho cercato di misurare".
Pupi Avati poi incontra gli studenti napoletani nell'auditorium della fortezza. Per loro si aprono le porte di una lezione non solo di cinema ma di vita, e sprona quanti tra loro vorrebbero intraprendere il suo stesso percorso. "L'aspetto complicato di questo mestiere è che devi fare una proposta coerente con quello che sei, ma allo stesso tempo deve esserci una risposta da parte degli spettatori. La dimensione lavorativa del regista non è solo quella creativa. Deve fare i conti con il suo budget. Fate corsi di produzione, è la cosa che vi servirà di più". Poi sulla passione e il talento: "Sognare non è disdicevole", intima ai ragazzi "Anzi, se no che vita è. L'esistenza rinunciataria è terribile. Solo chi si aspetta qualcosa, può ricevere qualcosa dalla vita. Lo vedo molto nei giovani attori a cui faccio provini. Alcuni arrivano già sicuri di essere scartati. Altri hanno le telecamerine negli occhi. Chiaramente scelgo quelli che non hanno atteggiamenti dimessi. Io stesso mi devo misurare con chi mi può cambiare la vita e che sceglie se produrre o no un mio film. Ne ho atti quarantuno e per quarantuno volte mi sono mostrato fortemente desideroso di portare a casa il risultato".

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