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Horror Frames: Wrong Turn 3 e l'orrore seriale

Dal sequel alla creazione di una franchise horror.
di Rudy Salvagnini

Dall'espansione della narratività a quella della continuity
Janet Montgomery - Scorpione. Interpreta Alex nel film di Declan O'Brien Wrong Turn 3 - Svolta mortale.

martedì 16 febbraio 2010 - News

Dall'espansione della narratività a quella della continuity
Una delle caratteristiche più frequenti nell'horror degli ultimi decenni è la serialità. La creazione di una franchise di successo sembra il bengodi cui i produttori di horror puntano di più. Non è un fenomeno nuovo. In fondo, sin dall'inizio - dai mostri della Universal - questa è stata una tendenza tipica dell'horror, ma con qualche differenza rispetto a oggi. Una volta, serialità significava soprattutto espandere la linea narrativa del prototipo cercando nuovi sviluppi e nuovi ambiti in cui muovere il personaggio specifico, il "mostro". Così La moglie di Frankenstein (1935) proseguiva la storia di Frankenstein (1931) e trovava un proprio seguito adeguatamente motivato in Il figlio di Frankenstein (1939). C'era una continuity e, per quanto a volte tirate per i capelli, c'erano delle giustificazioni per la rinascita del mostro che sembrava distrutto alla fine di ogni capitolo. Lo stesso può dirsi per il successivo ciclo della Hammer che aggiornava i mostri classici con un cambio di punto di vista e di approccio. Per restare a Frankenstein, la Hammer aveva risolto il problema della continuity mettendo al centro della serie lo scienziato e non il mostro, per cui i vari "capitoli" avevano una giustificazione per raccontare gli svariati tentativi del dottor Frankenstein di arrivare finalmente a una creatura stabile ed efficacemente funzionale.
Il trend che si è sviluppato negli ultimi decenni è diverso. La tendenza è quella a lasciar perdere la continuity e a fare in modo che i sequel non siano altro che dei remake dell'originale, seguendo il concetto che se una cosa è piaciuta al pubblico, è meglio riproporgliela tale e quale. Pur con qualche barlume di consequenzialità, è la strada tracciata dai seguiti di Venerdì 13 e Halloween. Con il passare del tempo anche quel barlume è scomparso e abbiamo avuto serie come quella di Final Destination dove il format è ferreo e cambiano solo le vittime della morte vendicatrice.
Un caso tipico è quello di Wrong Turn (2003), un film diretto da Rob Schmidt che sin dall'inizio presenta un compendio di elementi già noti - l'ambientazione boschiva di Venerdì 13, i mutanti cannibali stile Non aprite quella porta, Le colline hanno gli occhi e altri ancora - puntando a una narrazione concisa, diretta ed efficace per massimizzare l'impatto e creare un buon intrattenimento facendo dimenticare i peccati di originalità. Il risultato economico è stato soddisfacente, ma non abbastanza da garantire alla nuova franchise dei sequel in sala. E questa è un'altra tipicità del nostro periodo: i sequel a un prodotto cinematografico prodotti direttamente per l'home video.

Una svolta mancata per un film con cannibali
W rong Turn 2 - Senza via d'uscita (2007) di Joe Lynch è un sostanziale remake di Wrong Turn. Cambiano solo le "vittime", che stavolta sono i protagonisti di un reality show ambientato in un bosco, quello sbagliato.
Wrong Turn 3 - Svolta mortale (2009) di Declan O'Brien, tra breve in uscita italiana in dvd, procede a un'altra rimescolatura della stessa materia, ancora una volta innovando solo nei protagonisti da contrapporre ai mostri.
Quattro giovani - due ragazzi e due ragazze - sono in vacanza in canoa nei boschi della West Virginia. Appena si sono accampati, però, vengono attaccati da un essere deforme che trafigge una ragazza con due frecce e poi conficca una lancia nella bocca di uno dei ragazzi, mentre l'altro è letteralmente fatto a fette da una trappola. Solo una ragazza, Alex (Janet Montgomery), sopravvive. L'agente carcerario Nate Wilson (Tom Frederic) guida un trasferimento di carcerati da un vicino penitenziario. Tra loro, il pericoloso Chavez (Tamer Hassan). Gli esseri mostruosi attaccano con il loro pick-up il furgone penitenziario mandandolo fuori strada. I carcerati si liberano, ma devono affrontare un nemico feroce e imprevisto. Chavez domina la situazione con i suoi compagni e con Nate, però, se sa benissimo come cavarsela nella giungla urbana, nei boschi non è nel suo elemento. La spaventata Alex si unisce al selvaggio gruppetto, non riuscendo a capire se è caduta dalla padella nella brace o no.
Il film ci mette pochi minuti a entrare nel vivo della carneficina, ma poi si prende una pausa di riflessione con la sottotrama carceraria e il suo semplicistico epilogo (è curioso come basti uno sgangherato pick-up per mettere in difficoltà un furgone penitenziario per il trasporto di pericolosi criminali). La cosa è comunque funzionale al bizzarro scontro tra i deformi cannibali e un gruppo di criminali tosti che crede d'essere pronto a tutto e d'aver già visto il peggio. Il confronto è interessante anche se non inedito (tra gli altri, Dal tramonto all'alba): invece che con ragazzi inermi o persone normali, questa volta i cannibali devono confrontarsi con persone spietate quanto loro. Purtroppo questo spunto non dà luogo a uno svolgimento originale, anche se il racconto si mantiene sufficientemente teso, punteggiato com'è da truculenze bizzarre e iperrealistiche.
I cannibali sono sempre più delle grottesche caricature degli hillbillies di Un tranquillo weekend di paura (un'esplicita citazione di quel film - non un horror, ma un film che all'horror ha suggerito parecchio - è nei dialoghi all'inizio), ma mantengono la loro valenza di nemesi bestiale, di selvaggia impersonificazione dello spirito di una natura ostile. In questo, come già avveniva nel primo film della serie, recepiscono, in un feroce incrocio, anche caratteristiche dai mutanti di Le colline hanno gli occhi e dai macellai di Non aprite quella porta in un insieme di rimandi che massimizza la brutalità sino ai confini della parodia, anche per l'estenuante indistruttibilità degli assassini.

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