E' l'autore di Due ettari di terna che, rifiutato dalla Mostra di Venezia nel 1953, fu poi premiato a Cannes e a Kariovy Vary nel 1954, affermando in Europa -prima di Satyajit Ray - la corrente realista bengalese. Dal 1933 assistente di Nitin Bose, uno dei migliori operatori del tempo, nel '36 curò da solo la fotografia di Devdas per conto del regista P. C. Barua, che ottenne uno dei maggiori successi artistici d'anteguerra. Nel 1943 Bimal Roy diresse a sua volta il primo filiri, Vdahir PaIh, girato poi in versione in lingua indi, intitolata Hamnahi (Compagni). Era, secondo il Sadoul, un'opera di "primissimo ordine" che narrava il conflitto tra un operaio e il suo datore di lavoro. Dieci anni dopo, avendo realizzato altri film di valore e di successo quali Pahele admi (Il primo) e Ma (Madre), Roy riesce a fondare una propria casa di produzione, per la quale realizza subito l'opera che gli avrebbe dato la celebrità internazionale: Do bigha zamin (Due ettari di terra), direttamente influenzata dal neorealismo italiano. Il regista non ripeterà più tardi l'exploit, nè con Panineeta (Colui che è già sposato) né con Biraj Bahu nè con Sujata, nè con Bandini (La prigioniera, 1964) film più convenzionali e letterari, anche se non privi di delicatezza e d'emozione. Ma nel 1958, eccolo di nuovo di fronte a Devdas, la storia del grande e disperato amore di un uomo che non può sposare una donna per la differenza di casta. Nel remake dell'opera di Barua Roy raggiunge un raro vertice drammatico.