Indimenticabile eroina di Alfred Hitchcock, fredda e carnale, solitaria e provocante, Kim Novak è stata un'attrice americana dall'ascesa fulminea che l'ha fatta arrivare a una celebrità che non ha mai sopportato la sua immensa sincerità.
Sogno sensuale dal tenero sorriso e dallo sguardo malinconico e dolente, è stata l'attrice che ha vissuto due volte. La prima vicinissima all'abbondante seno di Hollywood, offrendo interpretazioni straordinarie con storiche e ambigue metamorfosi che sono state fulgide prove di un'alta passionalità per l'arte drammatica. La seconda lontana da lì, nel più vicino rifugio a picco sull'Oceano, nella casa sulle rocce a Carmel, e nel suo ranch in Oregon, sulle sponde del fiume Rogue, circondata dalla natura e dagli animali (principalmente cavalli e lama), libera di essere se stessa, dopo aver chiuso una seppur breve carriera d'attrice.
Pochi decenni per farla diventare indimenticabile. Comincia a metà degli Anni Cinquanta, quando la Columbia ne intuisce le potenzialità e decide di metterla sotto contratto per dieci anni, cucendole addosso il personaggio di donna ammaliante, ma imperturbabile, contrapposta a Rita Hayworth.
Si presenta sul grande schermo bionda, alta e lasciva. Perfetta per melodrammi urbani o di provincia, tra problemi di droga e nevrosi sessuali, vira verso il romanticismo e la commedia, dove prende il sopravvento su uomini che non conoscono i suoi occulti segreti. Dà del filo da torcere a tutti i suoi colleghi di lavoro, che adorano la sua professionalità (James Stewart, Frank Sinatra, William Holden, Jack Lemmon), poi arriva Hitchcock che la consegna al mito con la sua performance più difficile. La spinge al limite della versatilità e lei, unta dalla sua benedizione, entra nella Storia del Cinema.
Poi una brusca frenata. Un po' dovuta alle circostanze e un po' voluta e desiderata. Nella Città degli Angeli, ha resistito finché ha potuto. Il Sistema era contro di lei, in particolare dopo la sua storia d'amore con l'attore e cantante afroamericano Sammy Davis Jr.. Così, scappata da Hollywood a trentatré anni, inizia una nuova vita lontana dalle Hills, decisa a non fare più parte di un meccanismo che distruggeva le donne dopo aver fatto credere loro di essere delle Dee.
L'icona di La donna che visse due volte, che con una manciata di ruoli ha penetrato l'immaginario collettivo degli spettatori e trovato un suo posto nel mondo, ha cominciato a parlare apertamente del suo disturbo bipolare e degli abusi fisici, sessuali e psicologici che ha dovuto subire, principalmente da parte del magnate Harry Cohn, proprio il boss della Columbia, che la controllava sempre, per ogni particolare del trucco e del guardaroba. "In quanto all'esterno, sono stata molto vulnerabile, ma all'interno sono una persona forte. Ho avuto molti ostacoli nella mia vita, ma sono ancora qui".
Non universalmente conosciuta come le sue contemporanee Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor o Grace Kelly, incombeva però tanto quanto loro sulla generazione statunitense ed europea di quegli anni. "Posso chiudere gli occhi in questo momento e vederla a colori, coi capelli dorati e gli occhi verdi", racconta Martin Scorsese. "Era nata per il Technicolor, per quel tipo di illuminazione, per quel tipo di produzioni e per quel tipo di messa in scena. Una presenza così potente, terrestre ed eterea allo stesso tempo, ordinaria e straordinaria, e incredibilmente vulnerabile". Con la sua figura a clessidra, la voce fredda e una controllata mimica, fu la glamour vamp del botteghino e delle riviste, l'ultimo volto che la Hollywood classica presentò al mondo.
Lo screen test che cambò la sua vita
Kim Novak nasce a Chicago, in Illinois, nel 1933, nel pieno di un periodo buio per la storia americana, la Grande Depressione, seconda figlia di un'operaia in una fabbrica di reggiseni e di un insegnante di storia che, perdendo il lavoro per problemi di salute mentale, fu costretto a lavorare come ferroviere.
Studentessa presso la William Penn Elementary e il Wright Junior College, è estremamente portata per l'arte, tanto da vincere due borse di studio per la School of the Art Institute of Chicago (si dice che la commissione che gliela assegnò rimase folgorata dai suoi ritratti di persone che attendevano il treno nella stazione ferroviaria dove lavorava il padre).
Durante la sua adolescenza, venne violentata da un gruppo di ragazzi del quartiere sul sedile posteriore di un'auto. Non avendo mai raccontato il fatto ai suoi genitori, ma avendo però gravi ripercussioni psicologiche che sua madre nota, viene da questa spinta perché si trasferisca altrove, così da trovare la sua strada. Inizialmente, la incita a unirsi a un club femminile locale, poi le propone di trovarsi un lavoro come promoter e venditrice porta a porta per la Detroit Motor Products Corporation's Deepfreeze. Accetta di seguire il consiglio materno, ma non trasloca. Si limita a viaggiare tra Chicago e San Francisco, fino a quando, assieme a una collega, non decide di visitare Hollywood per vedere uno studio cinematografico.
Mentre sono alla RKO, le viene proposto di fermarsi per uno screen test per la Columbia: deve guardare la cinepresa e dire la semplice battuta "What I want out of life is to be loved". Da quel momento, il corso della sua vita cambia per sempre e viene immediatamente scritturata come attrice.
Lo screen test, infatti, finisce sotto l'occhio dittatoriale di Harry Cohn, capo della Columbia. Notoriamente simpatizzante del fascismo (aveva una foto di Mussolini sulla sua scrivania) e maschilista della peggior specie (considerava le attrici, ma anche le donne in generale, come merci sostituibili), stava cercando una starlet giovane che mettesse il fiato sul collo all'allora regina dei grandi schermi, Rita Hayworth. Ma doveva essere una bomba bionda per poter competere con Marilyn Monroe che era alla Fox. Kim Novak aveva entrambe le caratteristiche. Quindi, si mise subito in moto per un restyling della ragazza, coronandole i denti e sbiancandole i capelli, nonché richiedendo che perdesse almeno quindici chili prima di cominciare a lavorare con loro.
I primi film
Così, senza alcuna esperienza pregressa nella recitazione, dopo aver tentato di cambiarle nome e cognome (aveva pensato di usare Kit Marlowe, ma lei rifiutò all'idea, e sapeva che non poteva di certo tenere Marilyn) e dopo essersi accordati per un più semplice ma glaciale Kim Novak, le fa un rodaggio in vari generi (la commedia musicale con La linea francese, il noir con Criminale di turno e 5 contro il casinò, l'avventura con Il figlio di Sinbad) e la lancia in quei melodrammi che erano rimasti nel cassetto perché "Joan Crawford era troppo vecchia per interpretarli e Lana Turner troppo incasinata per poterli sostenere senza andare in crisi". Sarà proprio su questi set e tra questi script che la Novak impara a recitare, raggiungendo un convincimento e un coinvolgimento che rivelano un talento naturale e una propensione per l'arte drammatica senza eguali.
Il Golden Globe per la miglior attrice esordiente
Negli anni successivi, Cohn si dimostrò particolarmente crudele con lei (una volta, per convocarla, urlò alla segretaria "Fai entrare quella polacca stupida e grassa"), ma mantenne la carriera della Novak sulla giusta strada, tanto da farle ottenere un Golden Globe come miglior attrice esordiente per Phffft... e l'amore si sgonfia (1954) di Mark Robson.
Poi convinse Joshua Logan a lanciarla in Picnic, con William Holden e Rosalind Russell, come una bellezza di una piccola città che desidera essere amata per qualcosa di più del suo aspetto (rimane iconica la scena in cui si asciuga i lunghi capelli biondi alla finestra), facendole ottenere una candidatura ai BAFTA come miglior attrice straniera.
Similmente, fece lo stesso con Otto Preminger che la diresse in L'uomo dal braccio d'oro (1955), nella parte dell'innamorata che, con il suo corpo, cerca di aiutare Frank Sinatra a superare le crisi di astinenza dalla droga. Durante il lancio della pellicola, in una delle tante interviste rilasciate, Preminger disse di lei: "La Novak è il modo in cui ogni ragazza americana vorrebbe apparire e ogni uomo vorrebbe avere una ragazza del genere". Un tipo di definizione che irritò l'attrice, la quale dichiarò in risposta: "Guardano la facciata piuttosto che guardare da dove vieni. Ti mettono addosso tutti i tipi di vestiti glamour perché tutto sia scintillante all'esterno, ma non riescono a vedere cosa c'è di scintillante all'interno". Per queste parole, venne poi rimproverata da Cohn che non mancò di ricordarle di essere una proprietà della Columbia e le proprietà della Columbia, come gli edifici, non parlano. Intanto, la mise nelle mani di George Sidney con il quale lavorò a ben tre film: Incantesimo (1956), Un solo grande amore (1957, dove palpitò di dolore nella parte dell'attrice del cinema muto Jeanne Eagels, morta giovanissima per un'overdose) e il musical Pal Joey (1957, sempre con Sinatra).
Madeleine/Judy
Non pagata tanto quanto i suoi co-protagonisti maschili, in un momento in cui i sindacati cominciavano a mordere le natiche di Hollywood, aderì allo sciopero del 1957 per protestare contro il suo stipendio di 1.250 dollari a settimana e per le sue condizioni di lavoro (era contemporaneamente sul set di tre film diversi, dormiva ormai negli Studios e solo per quattro ore al giorno).
Fu quindi una gradita tregua, quando apprese che veniva ceduta alla Paramount per La donna che visse due volte, diretta da Hitchcock e per recitare accanto a James Stewart. In cambio di questa cessione, l'attore avrebbe poi realizzato per la Columbia Una strega in Paradiso, con la Novak e il regista Richard Quine, che era appena passato da uno dei suoi migliori amici, assieme a Tippi Hedren, a suo fidanzato.
"Non sapevo chi fosse Hitchcock", ammise la Novak, anni più tardi, con sentita vergogna. "Cohn mi disse semplicemente che mi avrebbe prestata per questo film perché Hitchcock era un grande regista anche se la sua sceneggiatura era schifosa". Cohn non immaginava neppure che l'opera sarebbe diventata un capolavoro del cinema e il merito di questo sarebbe stato anche delle ottime capacità recitative della Novak, che interpretò ben due personaggi: Madeleine, seguita da un detective che diventa ossessionato da lei e poi devastato dalla sua morte; e Judy, il doppelganger meno sofisticato di Madeleine, che il detective cerca di trasformare a sua immagine e somiglianza. Così diverse eppure così simili, fino al colpo di scena. "Mi identificai davvero con Judy Barton. Potevo capirla completamente, perché era esattamente quello che avevo passato io negli Studios con Cohn che mi diceva in continuazione 'Beh, se indossi questo, se cambi il colore dei capelli, se solo facessi esattamente come dico io senza fiatare e protestare'. Le emozioni di Judy erano le mie".
A dispetto del fatto che Hitch volesse al suo posto Vera Miles, il regista si disse pienamente soddisfatto della scelta e della performance della Novak. Insieme, si trovarono a ragionare sul famoso vestito grigio, inadatto per la ruvidezza del tessuto, che l'attrice doveva però indossare per trasmettere lo stesso senso di disagio del personaggio. Trattandola come un essere umano adulto e non una cosa, capirono quali erano i limiti dell'uno e dell'altra. "Ero abituata a essere diretta da registi che mi dicevano cosa volevano che io facessi, quindi andai da lui e gli chiesi che cosa voleva tirare fuori dalla mia recitazione in certe scene. Lui mi sorrise e mi disse semplicemente 'Mia cara, è per questo che l'ho assunta. Ciò che deve tirare fuori dalla sua recitazione è un enigma che lei sola può e deve risolvere'. E io pensai che era troppo bello per essere vero". Così la Novak si cucì addosso l'archetipo hitchcockiano della bionda inafferrabile, stoica, inflessibile e astiosa come una delle eroine di Faulkner.
Anche se La donna che visse due volte fu stroncato dalla critica del tempo, i suoi meriti vennero rivalutati negli anni e, come già scritto, divenne uno dei più grandi film di tutti i tempi. Ancora oggi, con una nota amara sulle labbra, ammette: "Vorrei solo che Jimmy e il signor Hitchcock fossero ancora vivi per vedere come è percepito oggi il film. Abbiamo creato qualcosa di straordinariamente bello tutti assieme, che è andato ben oltre il limite in cui la maggior parte di noi ha mai pensato di andare in sogno".
La frequentazione con Sammy Davis Jr.
Come da patti, recita in Una strega in Paradiso (1958), dove è una vera e propria strega che rinuncia alla scopa e piange per amore tra le magre braccia di Stewart, salvo poi passare a quelle molto più muscolose di Kirk Douglas in Noi due sconosciuti (1960), sempre col compagno Quine alla regia, nei panni di una triste moglie di provincia.
A rompere l'idillio tra lei e il regista, c'è la passione, allora illegale, con l'attore e musicista Sammy Davis Jr., che cambiò ancora una volta e drasticamente la sua vita.
I due si erano già conosciuti ai tempi in cui lavorava a La donna che visse due volte, in occasione di una sessione fotografica che l'uomo aveva desiderato dedicarle. La Novak si era presentata nel suo studio e lui aveva cominciato a girarle intorno e a scattarle delle foto senza togliere la copertura della lente. Lei lo aveva lasciato, salvo poi chiedergli "Hai mai pensato di togliere il tappo?". Solo allora, Davis si era reso conto di averlo avuto per tutto il tempo. "Non so se fosse totalmente innamorato di me già da allora, ma di sicuro aveva una cotta. Però io ero fedele a Dick".
Si rividero molto tempo dopo, quando l'attrice doveva partecipare a una cena di beneficenza. Stava ancora lavorando al film di Hitchcock ed era andata via indossando la parrucca e il famoso abito verde che si vede in certe scene. Si presentò all'afterparty a casa di Tony Curtis e Janet Leigh conciata in quel modo, attendendo l'arrivo del fidanzato, che però non venne. Invece, c'era Sammy Davis Jr. che si offrì di toglierle la parrucca poi, persi di vista durante la festa, dopo aver bevuto un solo drink, l'attrice perde conoscenza e si risveglia nel suo appartamento, stesa sul suo letto, completamente nuda. Davanti a casa sua, l'auto era perfettamente parcheggiata. "Non so nulla di ciò che è successo. I dubbi hanno attraversato molte volte il mio cuore e, a volte, mi hanno fatto stare male da morire. Non so cosa sia successo dopo aver bevuto quel bicchiere o come la mia auto sia tornata a casa. Penso che qualcuno mi abbia fatto assumere qualche droga, ma allora non ci ho pensato perché la gente non parlava di cose del genere e non avrei potuto saperlo. Escludo a priori sia stato Tony... e non voglio pensare che sia stato Sammy". Da quel giorno, però, i rapporti tra lei e Davis si fecero più frequenti e più intensi, tanto da passare i reciproci Ringraziamenti a casa della famiglia d'origine dell'uno e dell'altra.
In poco tempo, gli editorialisti del pettegolezzo seppero di questo legame, così come Cohn che, presumibilmente, ebbe il suo primo attacco di cuore proprio dopo aver sentito parlare di questa presunta storia d'amore interrazziale, in un momento in cui la segregazione era legale in gran parte dell'America e il matrimonio interraziale proibito. Chiamata al suo cospetto, le impose di non rivedere più Sammy Davis Jr., ma lei continuò comunque a frequentarlo, fino a quando non scoprì che Cohn, attraverso intermediari, minacciò l'attore di togliergli anche l'occhio buono. Per evitare ulteriori complicazioni, l'attrice segue gli ordini del Presidente della Columbia e mette una pietra sopra qualsiasi cosa stia nascendo tra loro. Il legame di amicizia, però, rimane e nel 1990, sul letto di morte di Davis, la Novak è una delle prime amiche ad accorrere in ospedale per salutarlo un'ultima volta.
Abbandonata dalla Columbia
Quando Cohn morì per un secondo attacco cardiaco, la carriera della Novak ebbe una brusca frenata. "L'unica cosa in cui era davvero bravo era prendere decisioni sagge sui film da fare e non fare in relazione alla carriera dei suoi attori", così dopo alcuni provini fallimentari (Colazione da Tiffany, Lo spaccone, l'incompiuto Something's Got to Give), si accontentò di quello che il suo manager le suggeriva. Sono gli anni di Nel bel mezzo della notte (1959) di Delbert Mann, di Pepe (1960) del ritrovato George Sidney, del comico L'affittacamere (1962) di nuovo in coppia col suo ormai ex fidanzato Quine (che l'aveva lasciata dopo la storia con Davis), di Venere in pigiama (1962), Schiavo d'amore (1964) di Ken Hughes e Henry Hathaway, Le avventure e gli amori di Moll Flanders (1965) e, infine, di Baciami, stupido (1964) di Billy Wilder, dove dà il meglio di sé nel ruolo comico di una brillante prostituta scelta per una "nottata particolare".
A questo punto, in pieno post-Cohn, la Columbia ammette di non avere progetti su di lei (viene presa in considerazione per il ruolo di Jean Harlow in Jean Harlow, la donna che non sapeva amare, ma poi le preferiscono Carroll Baker, e tenta anche la strada del cinema europeo con il ruolo di protagonista di La decima vittima di Elio Petri, ma anche qui le viene preferita un'altra attrice, Ursula Andress) e capisce definitivamente che non avrebbe passato il suo tempo ad aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato, quando sentiva che aveva molto altro da dare e che il cinema non era più il posto adatto a lei.
Gli ultimi film e il ritiro
Verso la fine degli Anni Sessanta, dopo due incidenti stradali, latita il grande schermo e si concentra sulla famiglia e sulle sue passioni. Accetterà di recitare per Robert Aldrich, uno specialista nello sfruttare dive ormai tramontate, in Quando muore una stella (1968), partecipando anche a Quel fantastico assalto alla banca (1969). Negli Anni Settanta, torna al cinema ancora più sporadicamente che negli anni precedenti. Entra nel cast del thriller Delirious - Il baratro della follia (1973) del mitico Freddie Francis e poi è la protagonista femminile di Sfida a White Buffalo (1977), dove la critica è spietata contro di lei. Non tanto per le sue capacità recitative, un po' arrugginite, ma per la sua forma fisica. Certi critici non si risparmiano nel body shaming e sottolineano quanto la "Novak ingrassatissima" non piaccia loro e non sia un bello spettacolo. L'anno successivo, accetta di essere diretta dal collega britannico David Hemmings per il suo Gigolò (1978), andando ad affiancare David Bowie e storici nomi della Settima Arte come Marlene Dietrich, Hilde Weissner, Sidne Rome e Maria Schell. Ma evita la pallottola con la scritta Animal House (1978) incisa sulla sua superficie, che avrebbe indubbiamente danneggiato la sua carriera, nonostante il successo avuto (doveva essere Marion Wormer, la moglie del preside). Con molta saggezza, due anni dopo, partecipa invece al giallo Assassinio allo specchio (1980), fedele adattamento del romanzo omonimo di Agatha Christie, lavorando fianco a fianco con il nutrito cast di stelle della sua stessa grandezza: Elizabeth Taylor, Rock Hudson, Angela Lansbury, l'amico Tony Curtis e Geraldine Chaplin. Cinica e acida, è qui l'attrice Lola Brewster, pungente e maligna "nemica" della Taylor, incensata del dolore e delle sete e nei rasi color lavanda della tragica Marina Gregg.
Il ritiro dalle scene e poi uno sporadico ritorno negli Anni Novanta
Poi per dieci anni un lunghissimo ritiro dalle scene, fino al ritorno sul set nel film di Tony Palmer Children - Ragazzi, nel 1990, dove dà una performance all'altezza del suo nome. Invecchiata, ma ancora appassionata, tra vestiti Anni Venti e pizzi sui prati, ruggisce in un dramma in costume garbato e interessante. La critica ne è entusiasta.
Crede quasi di poter tornare sul set per un tempo più duraturo, se non fosse per la pessima esperienza in Liebestraum (1991) di Mike Figgis. Ma questa volta, la colpa non è del regista che le riserva un pessimo trattamento, ma di se stessa. Come la Novak asserirà in molte interviste, sempre sincera nel bene e nel male, ci tiene a precisare di aver avuto una condotta poco professionale con Figgis e di pentirsi amaramente di certi capricci manifestati sul set. I due avevano cominciato ad avere rapporti tesi quando non trovarono un compromesso su come rappresentare il personaggio della madre biologica del protagonista che, nonostante questo, uscì alla perfezione. Ma sarà proprio quest'ultima fatica a spingerla a dire definitivamente addio al grande schermo e a ritirarsi a vita privata, ma non prima di ricevere l'Orso d'Oro alla carriera al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 1997.
La Novak in tv
Anche attrice televisiva, dopo alcune apparizioni sul piccolo schermo negli ultimi Anni Cinquanta, intensifica la sua presenza in tv grazie alle fiction La terza ragazza a sinistra (1973) di Peter Medak e Il triangolo di Satana (1975). Poi entra nel cast della miniserie Malibu (1983), su una giovane coppia che si trasferisce nella sfarzosa Malibù Beach, prendendo parte alla mondana vita dell'alta società, della quale è una degli esponenti più importanti. Un ruolo molto simile a quello di Kit Marlowe (un nome che la riporterà indietro nel tempo) in Falcon Crest (1986-1987), che rappresenterà per brevissimo tempo un bacino di raccoglimento per dive e divi hollywoodiani come lei (Jane Wyman, Mel Ferrer, Cesar Romero, John Saxon, Rod Taylor, Cliff Robertson, Lana Turner, Celeste Holm, Jane Greer, la nostra Gina Lollobrigida, Leslie Caron, Dana Andrews, Samantha Eggar, Eve Arden). Ottima anche quando tornerà sul luogo del delitto nel remake di uno degli episodi classici di Alfred Hitchcock presenta (1985, "L'uomo del Sud"), con qualche dito in meno, ma la vittoria di una scommessa in pugno.
Vita privata
Dopo un lungo fidanzamento con il regista Richard Quine e l'osteggiata storia con Sammy Davis Jr., Kim Novak è stata sposata per soli dieci mesi con il collega Richard Johnson a metà degli Anni Sessanta. Nonostante la brevità della loro unione, i due sono comunque rimasti ottimi amici. Il suo secondo matrimonio sarà invece con il veterinario Robert Malloy, conosciuto nel 1974 quando, già padrona del ranch di Eagle Point, in Oregon, gli fece curare una delle sue cavalle arabe. I due si sposarono nel 1976 e la Novak cominciò ad assisterlo nella sua professione. "Mi sono sentita utile. I clienti, sapendo che ero sua moglie e che non ero del posto, sembravano però abbastanza straniti, perché continuavano a ripetermi che, per qualche ragione, ero loro familiare, ma non ricordavano dove mi avevano già vista", ammette l'attrice con un po' di divertimento. La coppia ha vissuto la parziale distruzione della loro casa in un incendio nel 2000, a seguito del quale sono andati perduti i numerosi premi ricevuti e diversi dipinti. L'anno successivo, la casa è stata anche derubata di alcuni oggetti di valore, ma per fortuna i ladri sono stati arrestati e la refurtiva è stata recuperata. Nel 2006, dopo una caduta da cavallo, la Novak ha riportato la perforazione di un polmone e alcune costole rotte, nonché qualche danno neurologico, per fortuna, le cure protrattesi per circa un anno le hanno permesso il recupero completo. Quattro anni più tardi, le viene diagnosticato un tumore al seno, per il quale si è sottoposta a trattamenti oncologici. Purtroppo, il secondo marito muore nel 2020, lasciandola vedova. Gli anni di ritiro coincidono con il ritorno alla pittura. Decenni di arte nei quali la Novak riprende in mano acquarelli, pastelli e pittura a petrolio e riesce a far esporre i suoi quadri in luoghi prestigiosi come il Butler Institute of American Art di Youngstown, in Ohio. Negli ultimi tempi, molto attiva su Facebook, ha deciso di apparire molto più frequentemente a eventi pubblici, senza tuttavia manifestare desideri o interessi su un eventuale ritorno al cinema.