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Rassegna stampa di Damiano Damiani

Damiano Damiani è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, scenografo, è nato il 23 luglio 1922 a Pordenone (Italia) ed è morto il 7 marzo 2013 all'età di 90 anni a Roma (Italia).

GIAN PIERO BRUNETTA

Anche Damiani, che esordisce nel 1960 con Il rossetto, ha una carriera registica simile a quella di tutti coloro che dirigono il loro primo film dopo una decina d'anni di apprendistato come sceneggiatori e aiuto-registi. Le tensioni stilistiche, che pure si notano nei primi film, lasciano rapidamente il posto a un rapporto dialettico con la produzione e il mercato. Damiani punta a realizzare soggetti che possano riscuotere il consenso sia della critica che del pubblico. Opere in cui la capacità di approfondimento psicologico dei personaggi, la carica di denuncia, l'impegno civile si realizzano nel rispetto di alcune fondamentali regole espressive e spettacolari. Il regista raggiunge il proprio standard e i temi che più lo interessano dopo aver lavorato, in varie direzioni, con risultati sempre professionalmente dignitosi. Nell'insieme, mentre non è facile definire le linee di una «poetica», è possibile riconoscergli una capacità di lavorare e di assecondare le esigenze produttive sulla base di determinati presupposti e condizioni e definirlo opportunamente come «il più americano dei registi italiani». Damiani eredita dal cinema in cui ha mosso i primi passi la convinzione della sua incidenza nella formazione della coscienza politica e civile. I suoi film, pur spesso congegnati come ottime macchine narrative, puntano a lasciare residui e tracce che vadano oltre la durata dell'intreccio.

BARBARA PALOMBELLI

«Non ho mai fatto parte di alcun partito, né di alcun gruppo. Ho sempre vissuto in mezzo ad amici comunisti, rattristato dal fatto che con loro non si potesse mai parlare di quel che accadeva al di là del muro, o nell’Unione Sovietica: la mancanza di libertà laggiù mi sembrava non comprensibile, non giustificabile. Ho pensato che, se fosse vissuto qualche anno in più, Enrico Berlinguer avrebbe preso le distanze dal comunismo realizzato e tradito da Stalin e dai suoi eredi. Aveva cominciato a farlo, negli ultimi viaggi a Mosca, avevo capito che anche lui stava per compiere lo strappo da quel modello, fallito, di società. L’unico uomo politico che io abbia veramente ammirato si chiamava Ferruccio Parri, andavo a sentirlo parlare, quando ero ragazzo, passeggiavo a piedi dalle parti di piazza Condusio, in una Milano in apparenza vuota e desolata, appena riconquistata dopo la Liberazione. Mi piaceva il Partito d’Azione, un partito che ora non c’è più, ma che – nell’immediato dopoguerra – parlava di libertà, di democrazia, di buongovenno. Fu una breve illusione: Panni fu il primo presidente dell’Italia nuova, ma quando si andò a votare il sogno finì. Davanti all’alternativa fra Democrazia cristiana e Partito comunista, capii che nessuno mi avrebbe mai più rappresentato, che la mia idea di democrazia, ispirata all’Inghilterra e agli Stati Uniti non sarebbe mai arrivata nel mio Paese. Oggi, dopo sessant’anni, sono convinto che l’occasione fu pensa in partenza, proprio in quei giorni straordinari, entusiasmanti. Invece di guardare all’America, che ci aveva liberato, ci chiudemmo in noi stessi, fra due partiti che non somigliavano a tanti italiani come me, laici, che volevano – finalmente – godersi la libertà ritrovata. L’unico erede di Panni è Carlo Azeglio Ciampi».

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