Piccoli brividi

Un intrattenimento coinvolgente e intelligente che riflette sul tema importante della solitudine

Recensione di Luigi Coluccio


Port Lawrence, Oregon. Le vite di cinque studenti del liceo si intrecciano nello scorrere dei giorni: Isaiah, il quarterback della squadra di football e ragazzo più popolare della scuola; Margot, sempre immersa nei libri, sua vicina di casa e amica d'infanzia; James, best buddy di Isaiah, appartenente ad una delle famiglie più ricche della città; Isabella, ragazza invisibile che non ha amici né vita sociale; Lucas, famigerato per gli stunt spericolati che esegue e filma per i social. La tranquilla cittadina immersa nei paesaggi del Nord-Ovest americano viene scossa dall'arrivo del nuovo professore di inglese, Nathan Bratt, che prende possesso della Biddle House, avuta in eredità.

Ma quella casa, dicono, è infestata dal fantasma di Harold Biddle, ragazzo morto trenta anni prima nel misterioso incendio dell'abitazione. E forse c'entrano qualcosa i genitori dei cinque, amici di Harold durante gli anni del liceo...

Funzionano tutti in Piccoli brividi, dai cinque ragazzi al professore di Justin Long, che si diverte un mondo ad essere un posseduto sopra le righe.

Che Piccoli brividi avesse centrato l'esatto punto mediano tra l'aura della serie letteraria e il suo adattamento/aggiornamento per una piattaforma streaming globale come Disney+ lo si è capito, anzi, sentito, fin dalla prima sequenza - panoramica di una cittadina affacciata su un fiume e circondata dalle foreste, l'uscita di scuola, un ragazzo che torna a casa tutto solo, una teca piena di vermi, una maschera, un quaderno di ricordi e disegni. È il 1993 e i REM cantano Drive, contenuto nel disco dell'anno prima Automatic for the People ("Smack, crack, bushwhacked / Tie another one to your racks, baby / Hey kids, rock and roll / Nobody tells you where to go, baby"). Ecco, la nebbia sull'acqua, un ragazzo che cammina in mezzo alle pozzanghere, la voce di Michael Stipe: Rob Letterman e Nicholas Stoller, gli showrunner, hanno tirato su un'intera stagione a partire da queste immagini iniziali, e non se ne sono distaccati nemmeno per un attimo.

E perché farlo quando hai capito di avere in mano il modo corretto, fedele e sincero di maneggiare quel capitale - letteralmente - di storie che è l'opera di R.L. Stine, uno che sta a metà strada tra Stephen King e "I racconti della cripta", autore di decine di libri e centinaia di milioni di dollari di incasso, firma di sterminate antologie come "The Nightmare Room" e "Rotten School", più volte arrivato sul grande e piccolo schermo con - tra gli altri - Piccoli brividi, Piccoli brividi 2 - I misteri di Halloween e la recente trilogia di Netflix Fear Street Parte 1: 1994, Fear Street Parte 2: 1978 e Fear Street Parte 3: 1666.

Non è difficile scindere gli elementi primari delle opere di Stine: microcosmi fatti di piccole cittadine, licei di periferia, campi estivi; gruppi di ragazzi, spesso fratelli e sorelle o amici da una vita; outsider che non escono quasi mai o nuovi arrivati in vie e quartieri abitati solo da gente del luogo. Però una cosa è saperlo e un'altra riuscire a riproporre per immagini quella sorta di coperta calda adolescenziale che sono i libri di Stine, prima fra tutti la serie di "Piccoli brividi", il gioiello della corona che Letterman e Stoller erano tenuti a salvaguardare e rilanciare.

E lo hanno fatto proponendo quello che sanno fare meglio, cioè scrivere una storia che sia il più possibile sincera e rispettosa nei confronti del pubblico, per un intrattenimento coinvolgente e intelligente - Letterman stava dietro il Piccoli brividi con Jack Black, Shark Tale e Pokémon: Detective Pikachu, Stoller ha scritto e diretto sotto l'ala protettrice di Judd Apatow e ha realizzato la prima commedia romantica omosessuale distribuita da una major, Bros.

Ma il lavoro dei due non si è fermato alla passionale ricombinazione dei tratti principali del lavoro di Stine, anzi, l'ambizioso obiettivo era quello di riproporre in un'unica narrazione le vicende frammentate e i pantheon orrorifici delle monumentali pubblicazioni di Piccoli brividi, sparse qua e là nelle diverse serie realizzate dagli anni '90 in poi. Così le vicende dei cinque ragazzi di Port Lawrence diventano il contenitore ideale dei grandi classici di Stine, da Foto dal futuro a La maschera maledetta, da Il pupazzo parlante a La pendola del destino, per una prima stagione che è un continuo scavo nelle vicende di Isaiah, Margot, James, Isabella e Lucas proprio attraverso la creazione di una storia più grande capace di andare avanti e indietro nella mitologia di Piccoli brividi, proiettando le loro esistenze su un palcoscenico profondo e complesso.

E nonostante una narrazione completamente story driven, che accelera e rallenta in modo assolutamente controllato - tranne in un finale non costruito ma eseguito troppo sbrigativamente a favore dei cliffhanger di turno per la seconda stagione -, si sente come Letterman e Stoller vogliano sempre tenere alta l'attenzione sul tema principale della serie, che scansati gli artifici del genere, ruota attorno al momento emotivo che permette di essere preda del male - la solitudine. Solo era Harold Biddle quando questa vicenda è iniziata, soli sono i ragazzi che in un modo o in un altro non comunicano con i propri genitori, solo è il professor Bratt che avvia non una ma ben due volte l'orrore su Port Lawrence. Perché se i brividi sono piccoli e tutto sommato nessuno ci perde la vita, la solitudine è grande e spietata.