I leoni di Sicilia

1802. Paolo Florio fugge da Bagnara Calabra devastata dal terremoto insieme alla moglie Giuseppina e al fratello Ignazio. La famiglia si rifugia a Palermo dove i Florio aprono un'aromateria che raggiunge il successo nonostante l'ostilità dei potenti locali. Alla morte di Paolo suo figlio Vincenzo rileva una tonnara ed espande i suoi affari - compresi i prestiti ad alto interesse - accrescendo la sua reputazione di imprenditore di intuito. Vincenzo ha a cuore soprattutto "i piccioli" e vuole ottenere il rispetto della nobiltà che continua a guardarlo dall'alto in basso, ma l'incontro con Giulia Portalupi, giovane di estrazione borghese, gli farà mettere in discussione il proposito di acquisire un titolo nobiliare attraverso il matrimonio: proposito caldeggiato dalla madre Giuseppina, che non ha potuto seguire il suo cuore e ha dovuto accettare un matrimonio di convenienza.

Tutto, nella vita di Vincenzo Florio, sarà questione di rapporti vantaggiosi o svantaggiosi dal punto di vista economico, e i sentimenti - e la felicità che ne deriva - saranno messi in secondo piano, se non nell'angolo. E la storia della sua famiglia attraverserà sessant'anni di Storia.

La prima stagione di I leoni di Sicilia, basato sul best seller omonimo di Stefania Auci e sceneggiato da Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, intreccia vicende private e accadimenti storici, tenendo saldamente al centro la figura di Vincenzo Florio, uomo del suo tempo ma capace di vedere lontano condannato dall'ossessione di guadagnarsi il rispetto della "gente che conta" attraverso l'accumulo di beni materiali, il che lo renderà l'uomo più ricco della Sicilia, ma non necessariamente il più felice.

Nella sua figura si concentra il divario sociale insanabile nella Sicilia dell'Ottocento, e il desiderio di rivalsa di chi ritiene di meritare dalla vita un risarcimento per ciò che non ha avuto in dote. Il suo personaggio è ben delineato in sceneggiatura e molto bene interpretato da Michele Riondino, che tiene sempre a mente il Gattopardo di Burt Lancaster ma non se ne lascia dominare, proprio come farebbe Vincenzo Florio.

Altrettanto ben delineata è la figura contraddittoria e crudele di sua madre Giuseppina, anche lei magistralmente interpretata da Donatella Finocchiaro in età adulta e ancor più da Ester Pantano in età giovanile, in un casting davvero ispirato. Molto bravi anche Paolo Briguglia ed Eduardo Scarpetta in un ruolo omonimo ma distanziato nel tempo.

Per contrasto, la Giulia Portalupi di Miriam Leone appare meno incisiva, anche a causa di uno sviluppo meno articolato in sceneggiatura che rende i passaggi di consapevolezza della donna troppo improvvisi, rendendo il suo percorso di emancipazione meno metabolizzato del necessario. In generale la storia ha lo stesso tallone d'Achille di Vincenzo Florio, ovvero un'incertezza su alcune scelte da compiere, e la conseguente tendenza ad assestare un colpo al cerchio e uno alla botte: ad esempio mostra la gioia di Giulia alla nascita di un figlio molto atteso senza lasciar trapelare in lei l'amarezza dei motivi per cui l'attesa era così grande; oppure, durante la Rivoluzione siciliana, non sa bene se descrivere il personaggio di Giuseppe Lamara come un eroe o un opportunista alternandone repentinamente le due versioni, invece di evidenziarne le sfumature.

In generale, pur gestendo con coraggio il ricco materiale del romanzo su cui è basata, la sceneggiatura sembra non approfittare fino in fondo del respiro ampio della serialità televisiva, affidando più agli attori che al testo il compito di inserire nuance e scollineamenti. Hanno invece un respiro enorme la fotografia di Fabrizio Lucci e le scenografie di Massimiliano Sturiale, così come sono eccezionali i costumi di Alessandro Lai.

La regia di Paolo Genovese sconta invece lo stesso limite della scrittura (e forse ne è responsabile), ovvero un'alternanza di coraggio autoriale ed esitazioni artistiche. Data la produzione in piattaforma, I leoni di Sicilia avrebbe potuto sbilanciarsi su una messinscena meno convenzionale, da rete ammiraglia, e lasciare posto a visioni e intuizioni più coraggiose. Anche l'idea, peraltro non originale, di inserire brani di repertorio contemporanei a commento di una vicenda storica sembra più "di tendenza" che organica a quanto viene di volta in volta narrato. 