Nel film di Gravel a lottare è una donna, magnificamente interpretata da Laure Calamy, e in fondo questo è un punto importante poiché all'interno della lotta di classe si annida silente la questione di genere. Al cinema.
di Alice Catucci
Quando Julie ottiene finalmente un colloquio nell'ambito lavorativo per cui ha studiato, la sua diventa una vera e propria corsa contro tutti: contro i turni del suo impiego attuale come capo cameriera in un hotel di lusso; contro Parigi, che con il suo sciopero nazionale sembra mettercela davvero tutta per impedirle di arrivare in orario ai suoi appuntamenti, prima di riuscire a giungere finalmente a casa, stremata, dai suoi due figli.
Infatti la corsa di Julie, interpretata da Laure Calamy (di recente è stata Noémie Leclerc nella fortunata serie Chiami il mio agente!), è soprattutto una costante corsa contro il tempo, in questo film di Eric Gravel dall'esplicativo titolo Full Time. Julie non ha mai tempo di fare nulla e questa mancanza è direttamente proporzionale a quella di denaro, che rende l'esistenza della protagonista un'esistenza priva di dignità.
E in fondo da quando il cinema racconta il lavoro, sembra sempre essere questo uno dei temi principali: il tempo, la cui qualità garantisce un'esistenza dignitosa. Pensiamo alla cinematografia del regista inglese Ken Loach, e tornando molto indietro negli anni, a Tempi Moderni di Charlie Chaplin, in cui, assecondando il tempo della fabbrica (e quindi del denaro) Charlot si riduceva a non avere più il controllo del proprio corpo e delle proprie azioni (“Tramite la macchina, il tempo è divenuto il nostro sovrano” scriveva Erich Fromm nel suo "Avere o Essere?").
D'altronde il cinema è l'arte che meglio di tutte è in grado di restituire l'andamento del tempo. Lo fa con il montaggio certo, ma nel caso di Full Time, anche attraverso una regia meticolosa, che a ragione è valsa a Eric Gravel il premio per la Miglior Regia della sezione Orizzonti alla 78. Mostra del Cinema di Venezia. È proprio tramite la scelta delle sue immagini, prima ancora che attraverso il ritmo serrato del montaggio, che Gravel restituisce il senso di affanno e di panico che attanaglia la protagonista, mortificando al limite della sopportazione ogni singolo minuto della sue giornate.
Sono prima di tutto le immagini della città di Parigi, che scorre veloce e impietosa attraverso i finestrini delle innumerevoli macchine su cui sale Julie, ridotta a fare l'autostop per raggiungere la Capitale dalla periferia in cui abita. Una Capitale che appare severissima, e che vomita essa stessa attraverso il fumo divampato dai fuochi delle proteste, le grida dei lavoratori che denunciano a gran voce le loro condizioni di vita. Che poi i problemi di Julie scaturiscono soprattutto dagli scioperi che paralizzano la città, e in questo modo Gravel restituisce abilmente quella diabolica impasse per la quale la lotta è, e sempre sarà, una questione fra poveri.
Insomma è un cinema, questo di Full Time, che si muove a favore del recupero di un tempo che scorra per tutti in modo dignitoso. E rimanendo in Francia e in zona scioperi, registicamente anche Stéphane Brizé ha saputo restituire magistralmente il tempo concitato della protesta, con film come La legge del mercato, In guerra (guarda la video recensione), o il recente Un altro mondo, (anch'esso al Lido lo scorso anno), dove il punto di vista è questa volta quello del padrone.