Ray Yeung affronta tematiche già care al cinema da una prospettiva del tutto inedita. Al Far East Film Festival.
di Sara Gelao
Un giorno, in un parco di Hong Kong, Pak, un tassista sulla settantina, incontra Hoi, un padre single ormai in pensione. Nonostante pressioni sociali e personali, i due vanno fieri di quello che si sono strenuamente costruiti negli anni: una famiglia. Ma, per tutto il film, li vediamo sgattaiolare via dalle loro case - e proprio da quelle famiglie - per essere, insieme e in libertà, quello che sono veramente, omosessuali. Il loro più intimo legame, oltre il sentimento, è quindi il segreto di una vita.
Suk Suk, presentato tra l'altro all'ultima Berlinale, non è il primo film di Ray Yeung e neanche una voce solitaria nel panorama del cinema LGBT cinese o internazionale, se solo pensiamo a Lan Yu di Stanley Kwan e a Happy Together di Wong Kar-wai nel primo caso o a I segreti di Brokeback Mountain nel secondo.
Ciononostante, forse, sfoggia un primato: quello di essere la prima storia raccontata sul grande schermo a ritrarre i semplici, ordinari, momenti di una storia d'amore, omosessuale e tra anziani, senza aggrapparsi a colpi di scena platealmente melodrammatici, scenari stravaganti o momenti strappalacrime.