Titolo originale | Görülmüstür |
Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Turchia, Germania, Francia |
Durata | 96 minuti |
Regia di | Serhat Karaaslan |
Attori | Berkay Ates, Saadet Aksoy, Ipek Türktan, Füsun Demirel, Erdem Senocak Müfit Kayacan, Banu Fotocan, Baran Sükrü Babacan, Kevork Türker, Firat Turgut. |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento martedì 7 giugno 2022
Un uomo comincia a fantasticare su una foto trovata tra le lettere di un carcerato della prigione in cui lavora. Il pensiero diventerà ossessivo tanto da non permettergli di distinguere la fantasia dalla realtà.
CONSIGLIATO SÌ
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In una prigione turca, Zakir ha appena finito l'addestramento per lavorare nell'ufficio censura. Inizia così a occuparsi di oscurare parte delle missive ricevute dai detenuti, con lo scopo di prevenire lo scambio di informazioni criminali. Cancellando parole per lavoro, Zakir sente però il bisogno di crearne delle altre per passione e si iscrive a un corso di scrittura creativa. Un mondo di personaggi enigmatici e scenari alla Agatha Christie che lo spingeranno all'ossessione per una donna in visita al carcere, Selma, e al mistero che sembra legarla al marito detenuto.
Quello della sorveglianza è un genere thriller dal prestigioso pedigree cinematografico: da sempre reinterpreta e sublima l'atto del guardare, del controllare, ovvero l'essenza del racconto per immagini.
In questa tradizione, che va dal Coppola de La conversazione a La finestra sul cortile di Hitchcock, passando per fortunati esempi recenti come Le vite degli altri, si inserisce il turco Serhat Karaaslan, che non soltanto gli trova una collocazione originale nel contesto delle rigidità culturali della società turca e dell'industria penitenziaria, ma lo abbina a una dualità di fondo tra il creare e il distruggere, tra l'immaginare e l'oscurare, grazie a un protagonista aspirante scrittore che nel frattempo deturpa la prosa altrui, e che immagina storie appassionati laddove, forse, non ce ne sono. Passed by Censor è un esordio alla regia pieno di idee stimolanti, e rappresenta per Karaaslan una prova di concetto che lascia grandi speranze per il prosieguo della carriera. Come spesso capita negli esordi, la trovata al centro del film si trova a dover fare quasi tutto il lavoro, sfruttata in ogni sua sfaccettatura e sottolineata con un certo humor consapevole dal regista, grazie a personaggi come la compagna di corso Emel e alla sua visione "giallo-centrica" della letteratura e della vita. Eppure, fin dalla prima scena che educa il protagonista e anche lo spettatore alle minuzie della censura carceraria, è forte il senso di tensione quasi surreale che esorta a leggere tra le righe di una storia, a unire i puntini tra gli sguardi rubati. A proposito di sguardi, fondamentale è quello di Berkay Ates nel ruolo di Zakir, insieme ricettivo e penetrante. Sul suo volto il regista fa leva spesso con uno stile di racconto asciutto e funzionale, notevole non tanto per la fotografia (che riflette la mondanità burocratica di un lavoro alienante) ma per il montaggio, che invece rispecchia la prospettiva del protagonista nel creare senso attraverso le giustapposizioni di immagini, di parole e degli affascinanti buchi tra le une e le altre.
Un esordio alla regia pieno di idee stimolanti, e rappresenta per Karaaslan una prova di concetto che lascia grandi speranze per il prosieguo della carriera. Come spesso capita negli esordi, la trovata al centro del film si trova a dover fare quasi tutto il lavoro, sfruttata in ogni sua sfaccettatura e sottolineata con un certo humor consapevole dal regista. Eppure, fin dalla prima scena che educa il protagonista e anche lo spettatore alle minuzie della censura carceraria, è forte il senso di tensione quasi surreale che esorta a leggere tra le righe di una storia, a unire i puntini tra gli sguardi rubati.
A proposito di sguardi, fondamentale è quello di Berkay Ates nel ruolo di Zakir, insieme ricettivo e penetrante. Sul suo volto il regista fa leva spesso con uno stile di racconto asciutto e funzionale, notevole non tanto per la fotografia (che riflette la mondanità burocratica di un lavoro alienante) ma per il montaggio, che invece rispecchia la prospettiva del protagonista nel creare senso attraverso le giustapposizioni di immagini, di parole e degli affascinanti buchi tra le une e le altre.