È, questo Joker, un film in cui le risate risuonano quasi ossessivamente. Ride incontrollatamente Joker, a causa di un grave disturbo neurologico che lo porta a sogghignare nei momenti di tensione; ride forzatamente il pubblico delle stand up comedy e degli show televisivi, un mondo al quale Joker, aspirante comico, vorrebbe disperatamente appartenere. Il film è un susseguirsi di risate, ma nessuna mette davvero allegria. Il Joker di Todd Philips è un’artista incompreso e fallito, un’outsider emotivamente instabile, un individuo inesprimibilmente solo, e soprattutto è un personaggio profondamente umano rispetto al villain che si tende di solito a rappresentare, la cui personalità si esaurisce semplicemente nel ruolo di supercattivo. Ad interpretarlo è uno straordinario Joaquin Phoenix, che usa il suo intero corpo - l’intensità dello sguardo, le smorfie del viso, i contorcimenti del busto, il tremore delle gambe, i piedi che danzano come seguendo una melodia interiore - come uno strumento per dare una profondissima espressività ad un personaggio complesso e discordante come Joker, che nel corso del film ride terrorizzato, balla inferocito, piange sogghignando. Quella di Joker è un’esistenza segnata dalla dissonanza e dall’incomunicabilità, entrambe espresse attraverso la sua sconvolgente, disperata risata. E questa terribile dissonanza, questa potente contraddizione, pervade l’intero film, a partire dalla bellissima colonna sonora, nella quale si succedono Hurt di Johnny Cash, Frank Sinatra con That’s Life, White Room dei Cream in un alternarsi quasi schizofrenico di melodie dai toni e colori opposti; si ritrova nel viso pitturato di bianco, blu e rosso di Joker, nei suoi abiti di uno sgargiante arancione, che spiccano vividamente mettendo dolorosamente in risalto, per contrasto, il grigiore della solitudine e della depressione, lo squallore della periferia di Gotham City, la miseria della povertà e della malattia. Centrale è anche il tema dell’incomunicabilità, dell’incapacità di esprimersi e di essere compresi. Il trucco da pagliaccio non è qui volontà di nascondersi, ma incapacità, vissuta con estrema sofferenza, di mostrarsi. La violenza di Joker può essere così interpretata come ultimo, unico modo di comunicarsi al mondo. La violenza è comunicazione diretta, impossibile da fraintendere: diventa la sola maniera in cui Joker può sperare di essere compreso. Non a caso è proprio un suo atto di estrema violenza, l’assassinio di tre giovani broker, la sua unica azione che viene pienamente compresa dalla collettività: il suo omicidio è un chiaro messaggio di rabbia e di protesta contro le classi privilegiate, immediatamente raccolto dai poveri e dagli emarginati che si possono riconoscere in lui. Joker può essere letto a livello politico come simbolo di tutti i reietti, degli altri, di quelli che scoppiano a ridere quando tutti sono in silenzio, reclamando la loro presenza nel mondo, esprimendo un malessere che l’élite al potere non sa, non vuole comprendere, e non riesce di conseguenza a rappresentare. Ed è così che la massa degli ultimi finisce per identificarsi con Joker, qui opposto ad un giovane, ricco Bruce Wayne che sembra vivere fuori dalla realtà, a rappresentare le distanze prese dalla classe dominante da una parte della società che preferiscono ignorare, dimenticare, oppure ridicolizzare. Dal film emerge il ritratto di una realtà sociale feroce, rappresentata come un palcoscenico il cui pubblico impietoso deride tutti coloro che non sono dei bravi attori: fra questi, sicuramente i malati mentali. All’interno di questa società l’arte e la comunicazione sono messe al servizio dell’intrattenimento, del divertimento, della risata: la televisione nasconde sotto ad un manto d’ilarità forzata una realtà inopportuna, almeno fino a che questa non fa irruzione negli studios televisivi con Joker che uccide in diretta un noto conduttore televisivo. La dissociazione fra apparenza e realtà vissuta da Joker si ritrova così anche a livello sociale: quello che il film sembra suggerire è che in fondo Joker si nasconde in ognuno di noi. Joker può essere infatti interpretato come rappresentazione dell’intera umanità nella società dell’immagine, un’umanità spinta a mostrarsi felice sempre e in ogni caso, nascondendo la disperazione sotto ad una rossa risata da pagliaccio.
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