Titolo originale | The Other Side of the Wind |
Anno | 2018 |
Genere | Drammatico, Commedia drammatica |
Produzione | USA |
Durata | 122 minuti |
Regia di | Orson Welles |
Attori | John Huston, Peter Bogdanovich, Oja Kodar, Robert Random, Lilli Palmer, Edmond O'Brien Cameron Mitchell, Mercedes McCambridge, Susan Strasberg, Paul Stewart, Dennis Hopper, Joseph McBride, Peter Jason, Tonio Selwart, Alan Grossman, Geoffrey Land, Norman Foster, Gregory Sierra, Benny Rubin, Dan Tobin, George Jessel, Richard Wilson (III), Claude Chabrol, Stéphane Audran, Henry Jaglom, Paul Mazursky. |
Tag | Da vedere 2018 |
MYmonetro | 3,90 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 15 aprile 2020
L'ultima opera che Orson Welles avrebbe voluto mostrare al mondo, portata oggi alla luce dal suo più grande estimatore Peter Bogdanovich.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Jake Hannaford torna a Hollywood, dopo alcuni anni di esilio in Europa, per girare il suo nuovo film, "The Other Side of the Wind". Mancano ancora diverse riprese, ma i soldi sono finiti e il giovane protagonista, John Dale, ha lasciato il set per sparire nel nulla. L'amica di una vita, Zarah Valeska, organizza una festa per i settant'anni di Hannaford, che è anche l'occasione per mostrare il film a giornalisti e personaggi del cinema. Tutto verrà filmato, nulla rimarrà off-the-record. L'uscita dei lavoratori del cinema dagli Studios è la prima sequenza, inaugurale come un omaggio ai Lumière, di un viaggio lungo una notte, che approderà alle luci dell'alba in un drive-in, e oltre. Non la primissima, in realtà, perché il leggendario ultimo film di Orson Welles comincia con una morte illustre e si fa subito indagine, eco di Kane, tentativo di dire l'uomo Hannaford come era, attraverso una molteplicità di mirini, che sono quelli delle cineprese che spuntano da ogni dove, precisi e letali come fucili.
La vicenda produttiva di The Other Side of the Wind è nota: Welles cominciò a girare nel 1970 e continuò a fatica per sei anni, lasciando il film incompiuto e montando solo una cinquantina di minuti.
Sarebbe lecito pensare che il film non sia quello che sarebbe stato se avesse potuto portarlo a termine. E questo al di là di ogni giudizio di valore, semplicemente perché per Welles ogni giorno di set, ogni istante, modificava, per sua stessa ammissione, il lavoro in corso. Ma non di fronte a questo risultato. Il lavoro di Peter Bogdanovich, del team di montaggio capeggiato da Murawski e di Michel Legrand alla colonna sonora, è stupefacentemente wellesiano, stordente, esperienziale, magico, di quella magia del trucco che non è mai mancata nei suoi film e che qui fa accendere il Juke-box per il vecchio Billy, in assenza di corrente elettrica. Ah, il cinema, "vecchia scatola magica"!
Nel gioco di strati e di specchi che ci viene consegnato, dopo lunghissima attesa, nelle profondità del quale storici e critici cominceranno solo ora ad immergersi con motivato ed euforico piacere cannibale, ci sono un film nel film - un inseguimento al contrario, lisergico e superbo, tra Oja Kodar e la sua vittima, che va ben al di là della satira di Antonioni - e una cornice umana di movie-freaks, attorno alla quale si mescolano con inarrivabile alchimia furto e invenzione, mezzo e parola, colore e bianco e nero. Dentro l'inscenata registrazione degli eventi, il rapporto tra il geniale e decaduto Hannaford interpretato John Huston (serafico e mastodontico nella teatralità dei primi piani) e il suo delfino e biografo Otterlake, che l'ha scavalcato imponendosi come nuova star della regia, c'è naturalmente quello tra Welles e Bogdanovich, genialmente e umilmente se stesso, al servizio del più grande.
"I film e l'amicizia" sono i due grandi misteri della vita, conferma il vecchio Jake, e il mistero è ciò che più piace e si confà a Orson Welles, tanto che tutto il resto, dal canto del cigno del sistema degli studios, all'ironia smaccata sulle nuove avanguardie, al possibile innamoramento di Hannaford per John Dale o per Otterlake stesso, come insinua Miss Rich/Kael, non è che di spalla al protagonismo del cinema (mestiere e dispositivo) e della relazione pericolosa (tra i due amici e registi, tra persona e personaggio, ancora e sempre tra realtà e filtro magico). Ma il mistero ultimo, la verità ultima, per credenti e adepti, è nell'occhio dietro la scatola magica, nella reductio ad unum del regista come colui che tutto vede ergo tutto può. Un film di apparizioni e un'apparizione in sé e per sé.