La doppia uscita (con doppio incasso) dimostra come l'autorialità si sia piegata alle esigenze di marketing.
di Pino Farinotti
Dopo qualche giorno dall'uscita - mi sono dunque concesso una metabolizzazione - ri-scrivo di Sorrentino. Come tutti anch'io non ho capito le due puntate di Loro: in realtà l'ho capito benissimo, trattasi di marketing, di doppio incasso. Un problema poteva essere la durata che è di 104' di Loro 1 (guarda la video recensione) e di 100' del 2 (guarda la video recensione), ma se l'opera complessiva fosse durata un'ora in meno e non divisa, Loro sarebbe risultato un capolavoro da classifica nobile del cinema. Sarebbe bastato rinunciare a quell'ora di catalogo volgare di escort nella prima parte e scremare, nella seconda parte, qualche altro "ragazze-moment", meglio, sfumarlo, perché è notorio che le belle ragazze disponibili fanno parte della vicenda del "presidente". Ma, se stiamo alle proporzioni, cioè alla metà del tempo dedicato al caravanserraglio, risulterebbe che a Silvio restava davvero poco tempo per tutto il resto.
Ma "quel" racconto offre al regista l'opzione per scatenare la sua strepitosa, incontrollata creatività, per affondare la sua vocazione in quelle immagini e azioni e fare quel tipo di cinema. Di cui, lo ribadisco ancora, Sorrentino è un campione che non ha niente da invidiare ai grandi sciamani del visionario, gente come Welles e Kubrick, Lynch e Gilliam, Cronenberg, Burton e Anderson. E, naturalmente, Fellini.
Loro 2 introduce "Ennio", il banchiere socio di Silvio, che si esprime in un'analisi e in una captatio quasi untuosa: sei il più grande venditore mai esistito, non dimenticarlo. E per non dimenticarlo il venditore sceglie a caso un numero di telefono e vende a una signora sconcertata un appartamento ancora da costruire. Un ritorno al talento primario, quando tutto doveva ancora accadere. E poi i rapporti: con politici, ruffiani, questuanti, ragazze, moglie. Sorrentino è persino profetico nella vicenda dei sei senatori da convincere a cambiare schieramento per far cadere il governo. Era una delle opzioni, anche se i numeri erano diversi, per mettere insieme, in questi giorni, un governo della maggioranza. Nel film li trova e fa cadere il governo. Quando un'amica, commossa, gli dice "vedrai, potrai tornare a fare il primo ministro", c'è qualcosa di adesso, la riabilitazione giudiziaria, il ritorno alla candidabilità parlamentare dell'ex presidente. E poi i dialoghi, che sono efficaci, "espressionisti", magari con un eccesso ma reso quasi simpatico dalla cifra ironica.
Quando Veronica, la moglie, gli attribuisce tutti i difetti possibili di un uomo e di un politico, Silvio sorvola sull'uomo ma assicura che i politici sono tutti come lui, con una differenza, lui è il più bravo. Ho scritto "espressione", è uno dei registri dell'autore, che governa tutto nell'iperbole, ma può essere un valore, se lo sai governare. Anche nel secondo atto Sorrentino non resiste alla tentazione dell' orgia, con un quanto di volgarità in meno. L'ho scritto all'inizio, non era proprio necessario. Il racconto finale è il divorzio da Veronica, triste e dialettico. Si dicono tutto in un'analisi impietosa e lucidissima.
Bravo Sorrentino, e con lui Umberto Contarello sceneggiatore. Fanno del cinema, perché non credo che l'ex cavaliere, che ho conosciuto, sia uomo da analisi così metodiche e articolate, è uomo di sintesi e di semplificazioni.
Il Gesù in elicottero, adagiato a terra, inerte, dell'ultima sequenza, è uno dei tanti simboli, evocato dalla Dolce vita. E sappiamo che se c'è di mezzo Fellini, Sorrentino... non resiste.
A chiudere un mio pensiero che magari non troverà tante condivisioni: che triste essere uno di "loro".