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Olivier Assayas: «Le nuove tecnologie hanno cambiato la sintassi dell'amore»

Il gioco delle coppie 'mette a fuoco' la parola nell'era tecnologica. Da oggi al cinema.
di Marzia Gandolfi

giovedì 27 dicembre 2018 - Incontri

Scoperto dal grande pubblico nel 2010 con Carlos, biopic sul terrorista venezuelano, amato dai cinefili da sempre, al debutto della sua carriera è stato critico dei Cahiers du Cinéma, Olivier Assayas è un autore fecondo e incontenibile che colleziona progetti. Progetti disparati che condividono negli ultimi anni un medesimo soggetto: le nuove tecnologie. Il cinema di Assayas esprime un'autentica ossessione per la dematerializzazione e per tutti quegli oggetti di cui ci serviamo nel quotidiano per comunicare. Un'ossessione che sviluppa e mette in scena dal 2014 (Personal Shopper) ma che compare già in Demonlover, presentato a Cannes nel 2002 e concentrato sulle rivoluzioni tecnologiche e i nuovi fenomeni culturali. Con Il gioco delle coppie (guarda la video recensione), Olivier Assayas torna sul soggetto prediletto, incarnandolo nei dialoghi dei personaggi, tutti ancorati ad ambienti che evolvono grazie o a causa delle nuove tecnologie.

Attraverso i suoi personaggi, l'autore francese discute sulla possibile fine dei libri di carta a cui fa eco il declino probabile della coppia tradizionale.
Marzia Gandolfi

L'eBook, al cuore delle discussioni, non è un semplice oggetto impiegato per far avanzare il racconto. Invisibile ma onnipresente attraverso i dibattiti e le repliche è la forza autentica del film. L'energia nuova che ridistribuisce i rapporti delle forze sociali e rimette tutto in discussione, riformulando la vita e il sentimento amoroso. In occasione dell'uscita in sala de Il gioco delle coppie, abbiamo incontrato Olivier Assayas.

In Personal Shopper c'è una scena composta quasi unicamente di SMS ma in Il gioco delle coppie nessuno degli strumenti di cui i personaggi discutono viene mai mostrato...
Questo film mi è capitato in maniera singolare, nel senso che avevo cominciato a scriverlo prima di fare Personal Shopper. Per qualche ragione misteriosa, un giorno mi sono messo a scrivere una serie di dialoghi, volevo provare a girare un film di 'idee', un film dove ci si potesse prendere tutto il tempo di arrivare alla fine di una discussione o almeno di sviluppare un argomento, concedere a questioni contemporanee urgenti uno spazio che il cinema raramente si permette. Non volevo utilizzare le nuove tecnologie nel modo in cui le ho impiegate in Personal Shopper. Quelle tecnologie ci sono ovviamente ma non le mostro, sono oggetto di discussione, di riflessione, di inquietudine e di ottimismo, perché no?
Smartphone, tablet, computer, eBook, espresso book sono oggi al centro delle nostre preoccupazioni, stanno cambiando il nostro mondo. Sono centrali nella nostra vita eppure ho l'impressione che il cinema se ne disinteressi completamente. A me invece interessa capire meglio l'impatto che hanno su di noi. Così mi sono deciso e ho fatto un film di idee. E per fare un film di idee devi per forza scegliere la commedia, altrimenti diventa tutto troppo pesante. Anni fa girai Irma Vep, che era in un certo senso anche quello una commedia di idee. Una commedia sullo stato della cinefilia.


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In foto una scena del film.
In foto una scena del film.

Al centro del suo film dunque c'è la parola. Come si mette in scena la parola?
Come dicevo, tempo fa iniziai a scrivere una serie di dialoghi senza sapere dove mi avrebbero condotto. Mi chiedevo che cosa stessi scrivendo e per cosa. Scrivevo per il teatro o magari per il cinema? Fino al giorno in cui mi accorsi di avere tra le mani un film. Avevo una storia, avevo dei personaggi, qualcosa di stimolante che volevo trasformare in cinema ma non avevo davvero idea di come girare questi lunghissimi dialoghi. Mi ritrovavo ad esempio quindici pagine di dialoghi con cinque o sei personaggi, allora ho pensato che forse doveva diventare un film di attori, tutto doveva essere focalizzato sulla libertà degli attori, sulla libertà che un attore si prende col testo, col proprio modo di interpretarlo. Doveva essere un film con pochissime scene di raccordo, avrei dovuto passare da una lunga scena di dialogo ad un'altra lunga scena di dialogo.
Per anni nei miei film ho impiegato focali lunghe fino a quando hanno cominciato a farlo tutti e io ho perso interesse. Così da Carlos in avanti ho cominciato a usarle più corte fino ad arrivare a Il gioco delle coppie per cui inizialmente avevo pensato di adottare il primo piano. Girarlo alla Bergman poteva essere un'opzione che poi ho scartato perché volevo vedere le mani dei miei attori, le loro mani accompagnare la parola e dunque ho fatto molti ciak sopra il ginocchio. Avevo fatto anche delle riprese che 'tagliavano' le mani ma mi accorsi presto che quando non c'erano mi mancavano.

Nel film Vincent Macaigne incarna la 'resistenza della carta stampata' ma allo stesso tempo il suo desiderio di esporre la sua vita intima è molto contemporaneo. Come nasce il suo personaggio? Quanto di Léonard vi appartiene e quanto appartiene a Macaigne?
Penso sempre che un personaggio porti con sé qualcosa di chi lo ha scritto e qualcosa di chi lo interpreta, convivono entrambi nel personaggio. Questo perché penso che la finzione derivi sempre da un'esperienza vissuta. Sullo schermo come sulla pagina si inventa pochissimo, certo poi la si traduce in termini artistici ma tutto quello che c'è nel mio film è stato vissuto ed è sempre in connessione con la mia intimità o con quella di Vincent. Partiamo tutti e due da una verità profonda e poi certo, ciascuno a suo modo, quella verità la portiamo più lontano. Trattandosi di una commedia ci siamo scatenati e divertiti. Parecchio.


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In foto una scena del film.
In foto una scena del film.

Ciascuno dei suoi personaggi ha una propria idea sull'influenza della tecnologia sulla letteratura. Qual è impatto hanno invece, secondo lei, le tecnologie sulle nostre relazioni?
Penso che la tecnologia abbia cambiato la nostra vita e il nostro modo di comunicare, le nostre relazioni sentimentali. Io qualche volta invece di mandare un messaggio, preferisco inviare un'immagine, mi sembra più interessante, addirittura più suggestiva e dunque sì, penso che le nuove tecnologie abbiano rivoluzionato le nostre relazioni sentimentali, hanno cambiato la sintassi dell'amore. E non penso affatto che questa sia una cosa negativa. È solo un altro modo, un altro modo di dirci.

Avevate già toccato il mondo dell'editoria in Fin août, début septembre nel 1998...
Fin août, début septembre era un film sulla morte e su come la vita si riorganizza dopo un lutto. L'idea centrale del film era quella di descrivere un gruppo di amici, la loro maniera di relazionarsi prima e dopo la morte di uno di loro. Ma il film rimaneva sempre sbilanciato dalla parte della vita, in fondo la vita è sempre un riorganizzare il vuoto. In un certo senso era anche un film di formazione, seguiva l'evoluzione di Gabriel e in questo senso c'era qualcosa di molto modestamente proustiano che invece non c'è in questo film. Il gioco delle coppie copre un breve arco temporale, tutto accade in un periodo cortissimo. In un certo senso è un film più classico di Fin août, début septembre.
Come dicevo prima Il gioco delle coppie è un film di idee e di discussioni intorno a quelle idee, in questo senso il suo referente più prossimo è Irma Vep. Strutturalmente regge il confronto con Fin août, début septembre ma quella maniera umoristica che ha di trattare quello di cui discute a me ricorda tanto i film che Godard girava negli anni Sessanta quando utilizzava cose che aveva letto sul giornale o visto in televisione, faceva praticamente delle polaroid del tempo presente. Io ho immaginato questo film proprio come un'istantanea del contemporaneo.


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