Il film di Alexander Payne è l'ultimo esempio, quello più fondato dal punto di vista del dibattito scientifico ed ecologico, di un sotto-genere del fantastico assolutamente godibile. Al cinema.
di Roy Menarini
I primissimi teorici del cinema si confessavano esaltati dalla grandezza dei corpi e dei volti sul grande schermo. Nei primi decenni della settima arte, la possibilità del cinema di esaltare le espressioni del volto attraverso le dimensioni colpiva gli spettatori, grazie a nuove abitudini percettive che si sarebbero poi affermate nel Novecento fino a diventare codici accettati e condivisi.
Curiosamente, il cinema di fantascienza - genere strettamente legato allo sviluppo delle tecniche cinematografiche e degli effetti speciali - ha tradito una fascinazione particolare per la miniaturizzazione del corpo umano, idea esattamente opposta a quella delle origini.
Downsizing è solamente l'ultimo esempio, quello più fondato dal punto di vista del dibattito scientifico ed ecologico, di una sotto-genere del fantastico assolutamente godibile. La principale occorrenza letteraria è ovviamente fornita dai Lillipuziani immaginati nel '700 da Jonathan Swift nei Viaggi di Gulliver. Per il XX secolo è principalmente affare del cinema, anche se spesso alleato dell'editoria fantascientifica. Per esempio, nel troppo spesso dimenticato Radiazioni BX distruzione uomo (tratto da Richard Matheson) la nube radioattiva che fa restringere ogni giorno di più il corpo del protagonista valeva anche come avvertimento (nemmeno troppo allegorico) del pericolo atomico nell'America degli anni Cinquanta. L'uomo, sempre più microscopico, si trova infine a dover combattere contro nemici imprevisti, dal gatto di casa agli insetti, finendo in una dimensione talmente impalpabile da renderlo indistinguibile dal nulla. Una intuizione filosofica di cui si sono ricordati gli sceneggiatori di Ant-Man, che ha sfruttato la reversibilità del rapporto tra piccolo e grande fino alle più spettacolari conseguenze.
Ma c'è un altro cult movie da citare, forse uno dei primi a occuparsi della questione, Il dottor Cyclops di Ernest B. Schoedsack (il creatore di King Kong, a proposito di dimensioni): in questo caso è uno scienziato pazzo a miniaturizzare i colleghi senza consenso, costringendoli a una ribellione che deve fare i conti con lo svantaggio fisico. Per non parlare ovviamente della versione comica e infantile del tema, con Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi e relativi seguiti.
Downsizing sembra obbedire alla variante più scientifica, quella propria della science fiction, che immagina e in qualche modo testa le possibili ricadute del progresso.
Nel bellissimo Viaggio allucinante di Richard Fleischer (e nel remake Salto nel buio) l'intuizione asimoviana per cui corpi miniaturizzati potrebbero entrare nei corpi normali permetteva di mettere in gioco le convenzioni cinematografiche: ben presto in questi due film ciò che era micro (il corpo di chi viene spedito dentro le vene dell'uomo) diventa normale e ciò che era normale (il corpo del paziente) diviene gigantesco.
Nel film di Alexander Payne si cerca di aggiornare il mito al dibattito contemporaneo sulle risorse del pianeta e di immaginare come si organizzerebbe la società in caso di miniaturizzazione su larga scala. E se - ci spiega il regista - le ingiustizie e le discriminazioni sono destinate a replicarsi uguali, se non peggiori, in questa utopia dei microscopici, è certamente interessante il primo tentativo del sotto-genere di allargare l'esperimento all'intera umanità, non restringendolo (è il caso di dirlo) al dramma di pochi. E forse non è un caso che in tanti abbiano notato una perdita di interesse nella seconda parte del film, quando al destino collettivo vissuto dall'everyman (uomo di tutti i giorni) interpretato da Matt Damon si sostituisce il modello della fiaba ecologica e il ragionamento sul rischio delle utopie scientifiche. Insomma, piccoli va bene ma solo se tutti condividiamo lo stesso destino.