mattiagualeni
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martedì 17 ottobre 2017
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blade runner 2049, un film visivamente potente che ci conduce in una nuova saga
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente.
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente. Qui prende avvio la vicenda, da un’indagine, come nel primo film, ma il protagonista è l’agente K (Ryan Gosling), un Blade Runner. La vicenda si svolge trenta anni dopo il primo film e in questo arco temporale la Tyrell corporation viene acquisita dalla Wallace, il mondo subisce un blackout che cancella gran parte dei dati tenuti su internet ed i replicanti sono nuovamente in commercio, grazie alla Wallace, per svolgere quei lavori che gli uomini non vogliono più fare. L’agente K ha il compito di “ritirare” i vecchi modelli della Tyrell che sono sfuggiti. L’agente K è un replicante però. Fin dall’inizio muta quindi l’impostazione rispetto all’ambiguità del film del 1982 che ci aveva lasciato con il dubbio se il protagonista Deckard (Harrison Ford) fosse o meno un replicante. Villeneuve mantiene l’impostazione noir e retrofuturista e dirige lo spettatore in una serrata indagine che porterà l’agente K a dissotterrare un segreto che, come afferma il Tenente Joshi (Robin Wright), “potrebbe spaccare il mondo”. Parallelamente al disvelamento degli indizi lo spettatore viene posto davanti a quelle domande etiche che già erano proprie del primo film ma queste vengono affiancate da nuove, più per un procedimento di somma algebrica che di analisi. Se nella pellicola del 1982 lo slogan della Tyrell era: “Più umano dell'umano” e ci si interrogava sul concetto di che cosa sia umano e sul significato della morte, qui ci si chiede se servono ancora gli uomini quando le macchine provano sentimenti e sul significato della vita e delle correlate conseguenze. Tuttavia queste domande trovano una minore profondità rispetto al Blade Runner del 1982 e sembrano stratificarsi più per un procedimento di sedimentazione col procedere dell’intreccio piuttosto che venir poste e analizzate mediante la sceneggiatura che rimane criptica e aperta in attesa di un sequel. L’Easter egg (termine coniato da Steve Wright della Atari, società che compariva nelle insegne pubblicitarie nel film del 1982 e anche in quello attuale) rappresentato dagli innesti di memoria nell’agente K è il fil rouge della trama di Blade Runner 2049 ma la rende estremamente ermetica e non scorre come nell’originale. Anche nella Director’s cut del 1992 venne introdotto un Easter egg: ossia la scena in cui Deckard sogna un unicorno che, letta insieme alla sequenza finale in cui Rachael colpisce con la scarpa l'origami in foggia del fiabesco animale, insinuano il dubbio, che lo stesso Deckard possa essere un replicante. Tuttavia il risultato non ha lo stesso fascino ambiguo e gli ingranaggi del film sembrano mancare di un qualche giunto cardanico atto a trasmettere con fluidità il moto ai vari assi della trama. Il lavoro di Villeneuve, coprodotto da Ridley Scott, e sceneggiato da Hampton Fancher che fu tra gli autori del capolavoro del 1982, è stato rivolto all’estendere il mondo di Blade Runner come una sprawl in continua espansione. Durante la Blade Runner 2049 Experience del Comic-Con di San Diego 2017 è stato proiettato un video che narrava la cronistoria di cosa fosse successo tra il 2019 ed il 2049 ed il regista aveva affermato: “Abbiamo creato un mondo che è un’estensione del primo film, una proiezione del suo futuro, in cui alcune leggi e regole saranno in relazione con il precedente e non con l’attualità”. Difatti il film è stato anticipato da tre cortometraggi che ci spiegano cosa sia successo nel 2022, nel 2036 e nel 2048 (nel quale vengono anche presentati il villain Neander Wallace e Sapper Morton interpretati rispettivamente da Jared Leto e Dave Bautista). Nel film si è ampliato il mondo di Blade Runner, uscendo da Los Angeles, arricchendolo di atmosfere retrofuturistiche e apocalittiche a Las Vegas, di luci e colori nuovi e persino di nove extramondi. Alla fotografia Roger Deakins ritorna, dopo Prisoners e Sicario, a collaborare con Villeneuve e si fiuta odore di Oscar. L’intensità poetica dell’immagine è tale che ogni inquadratura è un’opera d’arte vedutista dipinta da un pittore del futuro. I colori sono la cifra aggiunta a questo film di fantascienza che ci regala perle come la silhouette di Ryan Gosling, in mezzo all’inquadratura dalle atmosfere quasi marziane, che richiama la fredda solitudine di “Viandante sul mare di nebbia” e “Donna al tramonto del sole” di Friedrich. Le inquadrature in volo degli “spinner”, le auto volanti, sono l’occasione per Deakins per ampliare il panorama di Blade Runner 2049 non più confinato ad una eterna Los Angeles notturna e piovosa. Il film inizia con una ripresa aerea dei campi freddi e distopici del 2049 che ci immerge fin dal principio in un mondo che rimpiange l’attuazione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. La neve è il pretesto per regalare giochi di luci e atmosfere inattese ed il mare ha la stessa cupa e biblica forza di un’incisione del Dorè. Due scene probabilmente entreranno nell’immaginario collettivo: la prima una scena d’amore, la seconda un duello a Las vegas. La scena d’amore è un bellissimo uso del digitale per creare un inedito menage a trois tra il protagonista, una replicante e l’applicazione olografica Joi (Ana de Armas), dove non vi è bisogno alcuno di nudità per raccontare. La seconda è un duello a Las Vegas, nel salone di un club, il cui buio e silenzio sono rotti dagli ologrammi e dalle voci di Elvis Presley e di Marilyn Monroe. Il carattere retrofuturistico del film è reso ancor più evidente dalla scelta di non presentare un mondo tecnologicamente molto più avanzato rispetto alla pellicola del 1982. Questa scelta stilistica rende Blade Runner 2049 un innesto credibile al mondo di Deckard. L’espediente del blackout, che ha portato alla distruzione di tutti i dati informatici, causato da un impulso elettromagnetico è un espediente interessante. Non è una novità perché è stato già utilizzato nella serie Tv Dark Angel, creata da James Cameron, dove un ordigno nucleare esplodendo nella ionosfera aveva causato una potentissima onda elettromagnetica che aveva azzerato i sistemi informatici e di comunicazione di gran parte degli Stati Uniti. Questo azzeramento della memoria dei dati informatici è certamente un parallelismo con il fil rouge degli innesti di memoria del protagonista ed è un invito del regista a riflettere su internet come memoria collettiva e su quella individuale. L’espediente viene qui valorizzato, a differenza di Dark Angel, dal ritorno all’uso dell’analogico e questo approccio rende la pellicola molto particolare e interessante. Se nel primo film i replicanti erano ossessionati per le fotografie, in uno struggente tentativo di costruirsi una memoria affettiva per quanto artefatta, in Blade Runner 2049 compare l'espediente del giocattolo. Il protagonista si emoziona come un novello Ulisse alle parole di Demodoco quando ricorda questo frammento della propria memoria: un piccolo cavallo di legno intagliato a mano. Ryan Gosling, l’agente K, sostiene un film lento ed ermetico anche se è evidente la ricerca di rassomigliare al Deckard del 1982. Ana de Armas, l’applicazione Joi, offre un’ottima interpretazione e ci insinua il dubbio che anche un’app può amare. Harrison Ford, l’agente Deckard, si redime dopo la pessima reinterpretazione di Han Solo e ci presenta un personaggio sofferto, invecchiato e credibile che vive autoesiliatosi in compagnia di un cane (vero o replicante che sia è un omaggio a Philip K. Dick). Jared Leto intrepreta il magnate Neander Wallace, il “non cattivo” del film perché ha un ruolo ambiguo e marginale, confinato a poche scene nelle quali si esprime come un profeta biblico mentre gioca a fare il Demiurgo nella sua piramide dorata, ed è carente della funzione cardine per la trama che invece aveva Tyrell nel film del 1982. Wallace è presentato come un magnate cieco, con la barba, a tratti simile ad un profeta veterotestamentario, in altri ad un fantascientifico John Milton e in altri ancora al demiurgo di William Blake. Tuttavia si sente la mancanza di un Roy Batty (Rutger Hauer) che pareva un luciferino angelo caduto, sofferente nella sua ricerca di senso e di vita, e che ci ha donato uno dei monologhi più intensi e famosi della storia del cinema. Quindi Blade Runner 2049 è un ottimo film di fantascienza ma non è un capolavoro come la pellicola del 1982. Nonostante cerchi di creare una propria mitologia grazie ad un Roger Deakins strepitoso, ad allusioni e citazionismi vari, non ha la ruvida e carismatica forza del Blade Runner di Scott. La sceneggiatura non è al pari della fotografia: manca il pathos tragico della compagnia di replicanti di Roy Batty e molte scelte narrative fanno pensare all'inizio di una saga. L'opera di Villeneuve sicuramente rimarrà come modello estetico per i film di fantascienza a venire sia per la fotografia che per la scenografia e gli effetti speciali, ma non è andato oltre e purtroppo non ci ha fatto immaginare le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione né i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
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geronimostilton
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sabato 21 ottobre 2017
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idee molto buone ma sviluppate male
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È come se fosse un film un po' sospeso in una dimensone tutta sua, non si capisce bene dove la storia abbia inizio e dove abbia fine. Ritengo che si sarebbe potuto lavorare molto meglio sull'uscita di scena di alcuni personaggi sui quali si era lavorato molto per dare spessore e umanità anche a ciò che non è umano. Si nota anche la oresenza di personaggi di un certo spicco che vengono introdotti a fine film o non sono resi particolarmente partecipi come il personaggio del detective decarte interpretato da Harrison Ford.
Inoltre molte sitiazioni critiche non vengono spiegate degnamente e trovano la loro fine in scene frenetiche ma poco coinvolgenti.
Posso dire quindi che mi sarei aspettato di più da questo film, ma è evidente che nonostante gli enirmi passi avanti dap punto di vista tecnico (cast, effetti speciali.
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È come se fosse un film un po' sospeso in una dimensone tutta sua, non si capisce bene dove la storia abbia inizio e dove abbia fine. Ritengo che si sarebbe potuto lavorare molto meglio sull'uscita di scena di alcuni personaggi sui quali si era lavorato molto per dare spessore e umanità anche a ciò che non è umano. Si nota anche la oresenza di personaggi di un certo spicco che vengono introdotti a fine film o non sono resi particolarmente partecipi come il personaggio del detective decarte interpretato da Harrison Ford.
Inoltre molte sitiazioni critiche non vengono spiegate degnamente e trovano la loro fine in scene frenetiche ma poco coinvolgenti.
Posso dire quindi che mi sarei aspettato di più da questo film, ma è evidente che nonostante gli enirmi passi avanti dap punto di vista tecnico (cast, effetti speciali...) difficilmente escono bene dei sequel a così grande distanza dal film originale, ha perso quella particolare magia che aveva nel primo.
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maramaldo
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mercoledì 8 novembre 2017
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"ho visto cose che voi umani..."
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... avete visto. O no? Flash di mezzo secondo, quasi subliminale: un leoncino rampante, stile araldico. Ho pensato ad un'allucinazione da colpo di sonno, indotto dall'atmosfera plumbea. Ma l'Agente K era là, sullo schermo, che vagava per discariche in cerca non so di cosa. Più circostanziata, invece, la presa di coscienza di quel prezioso distillato proveniente dall'universo del precedente episodio. Se al vostro cane piacerà dipende da come l'avete viziato. Assieme, potete gustarne quanto volete tanto ancora al 2049 ne rimangono milioni di bottiglie. Parola di Harrison Ford, altro lascito della saga, più stralunato e malmostoso di sempre.
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... avete visto. O no? Flash di mezzo secondo, quasi subliminale: un leoncino rampante, stile araldico. Ho pensato ad un'allucinazione da colpo di sonno, indotto dall'atmosfera plumbea. Ma l'Agente K era là, sullo schermo, che vagava per discariche in cerca non so di cosa. Più circostanziata, invece, la presa di coscienza di quel prezioso distillato proveniente dall'universo del precedente episodio. Se al vostro cane piacerà dipende da come l'avete viziato. Assieme, potete gustarne quanto volete tanto ancora al 2049 ne rimangono milioni di bottiglie. Parola di Harrison Ford, altro lascito della saga, più stralunato e malmostoso di sempre. Trovo disdicevole il vezzo di utilizzare fino allo spasimo (anche dello spettatore) attori anziani solo perchè hanno un nome. Avete visto il povero Richard Gere, infagottato e depresso come un personaggio gogoliano. Si uccidono così anche le icone degli anni più belli?
Apprezzamenti per il cane: composto, moderatamente curioso, impertubabile tra scoppi, spostamenti d'aria, ruggiti di motori. Attempato anch'esso, forse mezzo cieco, sicuramente sordo. Unico elemento di originalità.
Film così, ormai, li sanno fare tutti. C'è la lezione visionaria dei fumetti; il turbo-potenziamento della fantasia mediante la motion picture e lo stupefacente sviluppo della tecnica degli effetti speciali. Contenuti e messaggi, pretesti per imbastire qualcosa che somigli ad una "storia", bisogna cercarli e trovarli faticosamente. Qui abbiamo il miracolo: due agglomerati di silicone e circuiti integrati si accoppiano (non è chiaro come, e perchè) e generano. Un auspicio quando siamo sommersi da 7 miliardi e passa di miracoli realizzati - questi sì - in modalità primitive da una specie ancora in uno stadio primordiale che scenziati e antropologi illuminati s'ingegnano a far evolvere in una serialità omogenea e regolare. Vi è già un presagio nel film dove vengono privilegiate fattezze asiatiche che già assicurano una buona uniformità.
Si comprende come un autore talentuoso come Villeneuve, pur avendo a disposizione un ampio ventaglio di apocalissi ma dovendo scansare le angosce reali che ci affliggono, non può che orientarsi verso l'opinabile, l'astratto inconsistente. Il vuoto, non quello cosmico ma quello delle idee fresche. Restiamo in attesa, in un Blade Runner 2079, di assistere agli sviluppi di questo nulla. Che gli faremo fare a Harrison Ford? Ancora un goccio di...Taglio del Direttore?
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silver90
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lunedì 20 novembre 2017
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umano troppo umano
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Los Angeles, 2049. In una terra ridotta ad un'estesa superficie desertica, in cui le vie affollate di una folla brulicante sembrano essere state ripulite e riportate all'ordine, l'agente speciale K si occupa di ricercare ex-replicanti ribelli e ucciderli. In una delle sue missioni fa una scoperta sconcertante, che lo porterà ad andare oltre i suoi stessi limiti. Siamo in un'epoca in cui siamo ancora capaci di amare, oppure no? E ancora, qual è la differenza tra uomo e androide? Quale il limite oltre cui può spingersi l'umano? Queste le domande che più di tutti coinvolgevano lo spettatore nel primo Blade Runner, ancor più del fatto se l'agente Rick Deckard fosse o meno un replicante o un'umanoide, e che vengono riprese (in parte) in Blade Runner 2019.
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Los Angeles, 2049. In una terra ridotta ad un'estesa superficie desertica, in cui le vie affollate di una folla brulicante sembrano essere state ripulite e riportate all'ordine, l'agente speciale K si occupa di ricercare ex-replicanti ribelli e ucciderli. In una delle sue missioni fa una scoperta sconcertante, che lo porterà ad andare oltre i suoi stessi limiti. Siamo in un'epoca in cui siamo ancora capaci di amare, oppure no? E ancora, qual è la differenza tra uomo e androide? Quale il limite oltre cui può spingersi l'umano? Queste le domande che più di tutti coinvolgevano lo spettatore nel primo Blade Runner, ancor più del fatto se l'agente Rick Deckard fosse o meno un replicante o un'umanoide, e che vengono riprese (in parte) in Blade Runner 2019. La frase, rimasta ormai leggendaria, "ne ho viste di cose che voi umani non potete nemmeno immaginare" diventa invece un quesito solipsistico ("chi sono e perché esisto?") in un sequel esteticamente raffinato che è un replicante più umano dell'umano. Un confine sempre più sottile divide infatti le due specie - umano e replicante - un limite che nei timori dei dominanti potrebbe anche sfumare lasciando il posto al caos, rendendo insufficiente e del tutto arbitraria l'identificazione tra i due nel possesso dell'anima, che sarebbe propria degli esseri umani. Ma non basta, si pone anche un'altra linea di frattura, più attuale: la relazione con i computer personali e gli assistenti virtuali. Anche se la differenza con l'uomo è a livello tecnico più chiara che per i replicanti, come spiegare il gesto di Joy, l'ologramma che si sacrifica per K? E quando, a questo punto, si può definire la libertà delle macchine, tema proprio della tradizione sci-fi, dato che queste ultime hanno piena consapevolezza di sé e della propria condizione al punto da accettare il giogo imposto dagli uomini? Ciò che conta in un sequel in cui si assottiglia il confine tra umani e replicanti è soprattutto la ricerca e la formulazione di un'identità. La differenza tra i due registi, Ridley Scott e Denis Villeneuve, risiede dunque nello sguardo che pongono su questo mondo e sui loro personaggi. Mentre il primo poggiava su un pessimismo esistenziale e sociale, il secondo si muove alla ricerca di una speranza, nel "miracolo" della vita che si rinnova nonostante tutto, nella figura cristologica, sia essa umana o replicante non conta.
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jennyx
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domenica 10 dicembre 2017
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non mi ha entusiasmato
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Decisamente sopravvalutato, lento, noioso, poco coinvolgente. E non perche' lo paragoni al Blade Runner originario, di cui conosco solo il finale. Ancora aspetto il momento in cui finirá l'abitudine del cinema americano di proporre scazzottate in ogni film. E' un cliche' noiosissimo e prevedibile da quando esiste il cinema e di cui non capisco l'utilitá, dato che e' visto e stravisto. Questo film poteva durare decisamente meno, dal momento che molte scene sono inutilmente allungate e il risultato sarebbe stato un ritmo migliore e tutto sommato gradevole per passare un po' di tempo. Poco spessore, poca empatia per l'algido protagonista che non trasmette molto neanche quando diventa piu' "emotivo".
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Decisamente sopravvalutato, lento, noioso, poco coinvolgente. E non perche' lo paragoni al Blade Runner originario, di cui conosco solo il finale. Ancora aspetto il momento in cui finirá l'abitudine del cinema americano di proporre scazzottate in ogni film. E' un cliche' noiosissimo e prevedibile da quando esiste il cinema e di cui non capisco l'utilitá, dato che e' visto e stravisto. Questo film poteva durare decisamente meno, dal momento che molte scene sono inutilmente allungate e il risultato sarebbe stato un ritmo migliore e tutto sommato gradevole per passare un po' di tempo. Poco spessore, poca empatia per l'algido protagonista che non trasmette molto neanche quando diventa piu' "emotivo". Forse volutamente poco espressivo, essendo un replicante...ma mi chiedo allora come mai la stessa scelta di poca "umanizzazione" non e' stata fatta, e a maggior ragione, per la sua fidanzata-ologramma fatta di soli pixel. Insomma niente per me lascia il segno. Forse solo un colpo di scena merita SPOILER:
quando cio' che credeva il protagonista si rivela infondato.
Pre il dialogo finale deludente....SPOILER quando Decker chiede perche' Kappa facesse tutto questo per lui, risponde evasivo di andare. Poteva rispondere in base al suo flashback ricorrente:-perche' ho visto un miracolo- o una cosa simile, chiudendo quindi il cerchio del suo percorso interiore. Invece poca poesia fino alla fine. Siamo ben lontani dall'espressivo volto sofferto che sotto la pioggia proferisce lo struggente:- ho visto cose che voi umani....-
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paolosalvaro
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giovedì 9 novembre 2017
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un trionfo di fotografia ed atmosfera
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Un film che non manca assolutamente di rispetto e non banalizza il cult da cui prende il nome, l'unico difetto del quale è forse l'essere un po' troppo pesante da digerire, specie nella seconda metà in cui il regista sembra innamorarsi eccessivamente della bellezza delle proprie immagini (non a caso ho trovato illuminante o quantomeno azzeccata l'ultima battuta pronunciata prima dei titoli di coda); immagino che c'è chi ad esempio potrebbe trovarla noiosa o dispersiva da questo punto di vista, per via della sua tendenza a far ostinatamente prevalere le immagini sulla parole, ma non si può negare la quasi totale perfezione visiva e sonora di questa pellicola alla base della quale sta un lavoro svolto in modo scrupoloso, se non addirittura maniacale, anche sui più piccoli dettagli.
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Un film che non manca assolutamente di rispetto e non banalizza il cult da cui prende il nome, l'unico difetto del quale è forse l'essere un po' troppo pesante da digerire, specie nella seconda metà in cui il regista sembra innamorarsi eccessivamente della bellezza delle proprie immagini (non a caso ho trovato illuminante o quantomeno azzeccata l'ultima battuta pronunciata prima dei titoli di coda); immagino che c'è chi ad esempio potrebbe trovarla noiosa o dispersiva da questo punto di vista, per via della sua tendenza a far ostinatamente prevalere le immagini sulla parole, ma non si può negare la quasi totale perfezione visiva e sonora di questa pellicola alla base della quale sta un lavoro svolto in modo scrupoloso, se non addirittura maniacale, anche sui più piccoli dettagli.
L'atmosfera risulta essere talmente intensa e concreta da poterla toccare con mano, la fotografia di Roger Deakins è così bella da dar quasi vita ad ogni colore (13 nominations e ancora nessun Oscar, un vero oltraggio artistico), edificio o ambientazione, ogni effetto sonoro e visivo diventano istantaneamente un classico del genere fantascentifico ed infine la regia di Villeneuve e la colonna sonora di Zimmer sono semplicemente maestose, questi due hanno sensibiliità e bravura da vendere; a non spiccare come gli altri elementi è la sceneggiatura, alla quale viene inevitabilmente riservato un ruolo secondario ma non marginale, oserei anzi definirla ottima e funzionale ma la storia non è chiaramente ciò che più rimane impresso di questo film. Ho trovato molto buone ed azzeccate anche le interpretazioni dei vari attori; spicca a mio avviso la grande affinità tra Ryan Gosling ed Ana de Armas, mentre Leto rimane (letteralmente) un po' troppo in ombra: ruba la scena quando entra in campo, ma ci resta decisamente troppo poco.
Anche analizzandolo a 360° come ho appena fatto non riesco a trovare delle mancanze o debolezze in questo film: è un autentico parco giochi della fantascienza, a cavallo tra il cyberpunk ed il misticismo dei luoghi e delle ambientazioni. Ciò che gli ha impedito di diventare un vero blockbuster, così come non lo era stato il primo Blade Runner, è proprio il fatto di essere non convenzionale ed ostile a tutto ciò sul quale invece si punta nei comuni film commerciali anche dello stesso genere, fin troppo spesso caratterizzati da storie piatte, personaggi vuoti ed ambientazioni senz'anima. Blade Runner 2049 non è niente di tutto questo. E' un piccolo miracolo.
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silver90
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lunedì 20 novembre 2017
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umano troppo umano
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Los Angeles, 2049. In una terra ridotta ad un'estesa superficie desertica, in cui le vie affollate di una folla brulicante sembrano essere state ripulite e riportate all'ordine, l'agente speciale K si occupa di ricercare ex-replicanti ribelli e ucciderli. In una delle sue missioni fa una scoperta sconcertante, che lo porterà ad andare oltre i suoi stessi limiti. Siamo in un'epoca in cui siamo ancora capaci di amare, oppure no? E ancora, qual è la differenza tra uomo e androide? Quale il limite oltre cui può spingersi l'umano? Queste le domande che più di tutti coinvolgevano lo spettatore nel primo Blade Runner, e che vengono riprese (in parte) in Blade Runner 2049, ancor più del fatto se l'agente Rick Deckard fosse o meno un replicante o un'umanoide.
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Los Angeles, 2049. In una terra ridotta ad un'estesa superficie desertica, in cui le vie affollate di una folla brulicante sembrano essere state ripulite e riportate all'ordine, l'agente speciale K si occupa di ricercare ex-replicanti ribelli e ucciderli. In una delle sue missioni fa una scoperta sconcertante, che lo porterà ad andare oltre i suoi stessi limiti. Siamo in un'epoca in cui siamo ancora capaci di amare, oppure no? E ancora, qual è la differenza tra uomo e androide? Quale il limite oltre cui può spingersi l'umano? Queste le domande che più di tutti coinvolgevano lo spettatore nel primo Blade Runner, e che vengono riprese (in parte) in Blade Runner 2049, ancor più del fatto se l'agente Rick Deckard fosse o meno un replicante o un'umanoide. La frase, rimasta ormai leggendaria, "ne ho viste di cose che voi umani non potete nemmeno immaginare" diventa invece un quesito solipsistico ("chi sono e perché esisto?") in un sequel esteticamente raffinato che è un replicante più umano dell'umano. Un confine sempre più sottile divide infatti le due specie - umano e replicante - un limite che nei timori dei dominanti potrebbe anche sfumare lasciando il posto al caos, rendendo insufficiente e del tutto arbitraria l'identificazione tra i due nel possesso dell'anima, che sarebbe propria degli esseri umani. Ma non basta, si pone anche un'altra linea di frattura, più attuale: la relazione con i computer personali e gli assistenti virtuali. Anche se la differenza con l'uomo è a livello tecnico più chiara che per i replicanti, come spiegare il gesto di Joy, l'ologramma che si sacrifica per K? E quando, a questo punto, si può definire la libertà delle macchine, tema proprio della tradizione sci-fi, dato che queste ultime hanno piena consapevolezza di sé e della propria condizione al punto da accettare il giogo imposto dagli uomini? Ciò che conta in un sequel in cui si assottiglia il confine tra umani e replicanti è soprattutto la ricerca e la formulazione di un'identità. La differenza tra i due registi, Ridley Scott e Denis Villeneuve, risiede infine nello sguardo che pongono su questo mondo e sui loro personaggi. Mentre il primo poggiava su un pessimismo esistenziale e sociale, il secondo si muove alla ricerca di una speranza, nel "miracolo" della vita che si rinnova nonostante tutto, nella figura cristologica, sia essa umana o replicante non conta.
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udiego
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giovedì 5 ottobre 2017
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replicante!
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Film che si fa apprezzare soprattutto per l'aspetto visivo dell'opera. Villeneuve riesce a ricreare quelle atmosfere tipiche del primo capitolo, e nonostante la Los Angeles caotica e disordinata del 2019 abbia lasciato spazio ad una città governata dall'ordine e dell'efficienza lo spettatore non può non immergersi e non apprezzare il clima che il regista riesce ad imprimere al suo lavoro. Detto ciò Villeneuve decide dal punto di vista della sceneggiatura di intraprendere una strada complessa, non convenzionale per questo tipo di opere e sinceramente non credo che sia sempre riuscita a dare al film la spinta necessaria per definirlo un ottimo lavoro. Rispetto al primo capitolo qui i tempi sono più dilatati, ed il ritmo incalzante, che quasi metteva in difficoltà il pubblico nel seguire la vicenda, è sostituito da intermenibili e forse eccessi e spiegazioni su quello che ci capita intorno.
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Film che si fa apprezzare soprattutto per l'aspetto visivo dell'opera. Villeneuve riesce a ricreare quelle atmosfere tipiche del primo capitolo, e nonostante la Los Angeles caotica e disordinata del 2019 abbia lasciato spazio ad una città governata dall'ordine e dell'efficienza lo spettatore non può non immergersi e non apprezzare il clima che il regista riesce ad imprimere al suo lavoro. Detto ciò Villeneuve decide dal punto di vista della sceneggiatura di intraprendere una strada complessa, non convenzionale per questo tipo di opere e sinceramente non credo che sia sempre riuscita a dare al film la spinta necessaria per definirlo un ottimo lavoro. Rispetto al primo capitolo qui i tempi sono più dilatati, ed il ritmo incalzante, che quasi metteva in difficoltà il pubblico nel seguire la vicenda, è sostituito da intermenibili e forse eccessi e spiegazioni su quello che ci capita intorno. Questo permette forse di entrare meglio nei personaggi ma sinceramente la gestione dei tempi lascia più di qualche perplessità, forse perchè la sceneggiatura in se non è in grado di sorreggere una struttura così lunga e complessa. Balde runner 2049 è nel complesso un film da andare a vedere, soprattutto per gli amanti del genere e chi ha amato il primo capitolo, solo, non caricatevi di troppe aspettative.
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andrea1234
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lunedì 9 ottobre 2017
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dignitoso e solido.
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Fare il sequel di un film di successo è come essere figli di un uomo famoso: o vivi di rendita sul cognome che ti ha lasciato tuo padre e ne sperperi il patrimonio oppure accetti di non avere il suo talento ma vivi la tua vita dignitosamente cercando una tua strada.
Star Wars VII è stato sicuramente un sequel del primo tipo, una patetica fotocopia del film di 40 anni prima, dove le poche cose non copiate sono semplicemente ridicole.
Scottato da questa esperienza mi sono accostato timoroso al sequel di Blade Runner ma è andata bene.
E’ chiaro che coloro che si aspettano inseguimenti, sparatorie, esplosioni e superpoteri rimarranno delusi, ma come puoi aspettartelo se hai visto il primo film? Come ci si può lamentare che il film è lungo (152 min) e lento? Perché il film dell’82 invece era un “action movie” di 1h e mezza??
Il regista invece ha saputo e voluto mantenere lo stile narrativo del suo illustre padre.
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Fare il sequel di un film di successo è come essere figli di un uomo famoso: o vivi di rendita sul cognome che ti ha lasciato tuo padre e ne sperperi il patrimonio oppure accetti di non avere il suo talento ma vivi la tua vita dignitosamente cercando una tua strada.
Star Wars VII è stato sicuramente un sequel del primo tipo, una patetica fotocopia del film di 40 anni prima, dove le poche cose non copiate sono semplicemente ridicole.
Scottato da questa esperienza mi sono accostato timoroso al sequel di Blade Runner ma è andata bene.
E’ chiaro che coloro che si aspettano inseguimenti, sparatorie, esplosioni e superpoteri rimarranno delusi, ma come puoi aspettartelo se hai visto il primo film? Come ci si può lamentare che il film è lungo (152 min) e lento? Perché il film dell’82 invece era un “action movie” di 1h e mezza??
Il regista invece ha saputo e voluto mantenere lo stile narrativo del suo illustre padre. Ha conservato e potenziato quello visivo che è anche superiore per spettacolarità. Certo la storia non è un capolavoro di innovazione, ma ha una sua dignità. Tra i difetti principali c’è la sottotrama della “love story virtuale” che poteva essere eliminata anche perché completamente copiata dal recente film “Her”.
Inoltre il personaggio di Jared Leto è un po’ troppo “filosofico-visionario”, forse per abuso di oppiacei…
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carlosantoni
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lunedì 9 ottobre 2017
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una blade che non taglia più come una volta
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Nei confronti dell’originario Blade Runner, sia nella versione “soft” che nella versione “Final Cut”, e al netto di tutte le possibili considerazioni positive, Il giudizio è impietoso. Soprattutto perché “Blade Runner 2049”, al di là degli ammiccamenti inevitabili al capolavoro di Scott, e ai riferimenti esplicitissimi, più che un sequel dell’originario capolavoro assomiglia a uno dei soliti polpettoni fantascientifici, piuttosto farraginosi e confusionari (tipo “Inception” di Nolan, per capirci), in cui l’unica cosa che conta è la straordinaria tecnologia digitale dispiegata massimamente. Ma, appunto per questo, controproducente: una profusione di effetti speciali in dosi così massicce da ammazzare intere scuderie di cavalli, ma non supportata da una sceneggiatura men che degna di tanto sforzo tecnico, anzi diciamola tutta: dolciastra, scontata, gratuita e prevedibile, risulta insopportabile, almeno per me.
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Nei confronti dell’originario Blade Runner, sia nella versione “soft” che nella versione “Final Cut”, e al netto di tutte le possibili considerazioni positive, Il giudizio è impietoso. Soprattutto perché “Blade Runner 2049”, al di là degli ammiccamenti inevitabili al capolavoro di Scott, e ai riferimenti esplicitissimi, più che un sequel dell’originario capolavoro assomiglia a uno dei soliti polpettoni fantascientifici, piuttosto farraginosi e confusionari (tipo “Inception” di Nolan, per capirci), in cui l’unica cosa che conta è la straordinaria tecnologia digitale dispiegata massimamente. Ma, appunto per questo, controproducente: una profusione di effetti speciali in dosi così massicce da ammazzare intere scuderie di cavalli, ma non supportata da una sceneggiatura men che degna di tanto sforzo tecnico, anzi diciamola tutta: dolciastra, scontata, gratuita e prevedibile, risulta insopportabile, almeno per me. Nessun equilibrio tra forma e contenuto. A ciò aggiungo il gusto assai discutibile e furbesco di usare colonne sonore che sono la brutta copia di quella di Vangelis, cui alludono sfacciatamente, Così come furbesche e perciò stucchevoli risultano le connessioni sforzate col B.R. originale, a cominciare dalla comparsa nel lungo finale di un Harrison Ford ormai bolso, di un’attrice quasi-sosia di Rachel-Sean Young, del poliziotto orientale del LAPD specializzato nel B.R originale in piccoli origami, di personaggi femminili che fisicamente richiamano in maniera esplicita alcune Nexus-6; il tutto per richiamare quanto più strettamente possibile un legame tra questo B.R.-2049 e il capolavoro di Scott, così da “giustificare” il prodotto. Ma, soprattutto, l'intero contenuto etico e profondamente politico dell’originario B.R. è qui tranquillamente smarrito, ridotto a mera citazione, e si capisce, dai i tempi cupi che corrono. Infine, e mi dispiace, la recitazione non compassata, ma semplicemente catatonica di Ryan Gosling. No, via, meglio evitare.
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