andreaalesci
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lunedì 23 ottobre 2017
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blade runner 2049: quando l'atmosfera è tutto
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Trentacinque anni fa Roy Batty / Rutger Hauer ci disse una cosa che non avremmo più dimenticato:
"E tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia. È tempo di morire".
La verità è che sapevamo (e inconsciamente volevamo) che quello non fosse il sigillo definitivo a Blade Runner. Ed è come se la colomba liberata dal morente Roy Batty nei cieli della Los Angeles 2019 fosse stata un testimone lanciato verso il futuro. A raccoglierlo Denis Villeneuve e una troupe che, animata dallo spirito mai domo del supervisore / produttore Ridley Scott, è riuscita a riportarci dentro l’atmosfera del 1982.
Un’altra persona, insieme al regista canadese, ha reso questo Blade Runner 2049 epocale quanto il film generatore: lui è Roger Deakins, direttore della fotografia capace di disegnare ogni singola inquadratura con abilità pittorica.
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Trentacinque anni fa Roy Batty / Rutger Hauer ci disse una cosa che non avremmo più dimenticato:
"E tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia. È tempo di morire".
La verità è che sapevamo (e inconsciamente volevamo) che quello non fosse il sigillo definitivo a Blade Runner. Ed è come se la colomba liberata dal morente Roy Batty nei cieli della Los Angeles 2019 fosse stata un testimone lanciato verso il futuro. A raccoglierlo Denis Villeneuve e una troupe che, animata dallo spirito mai domo del supervisore / produttore Ridley Scott, è riuscita a riportarci dentro l’atmosfera del 1982.
Un’altra persona, insieme al regista canadese, ha reso questo Blade Runner 2049 epocale quanto il film generatore: lui è Roger Deakins, direttore della fotografia capace di disegnare ogni singola inquadratura con abilità pittorica. Uno che, nonostante le 13 nomination agli Oscar (mai giunte a una statuetta), con le luci ci sa fare, riuscendo a isolare le emozioni con la giusta disposizione dei fattori illuminanti. Basta pensare a una qualsiasi inquadratura dei film da lui realizzati (Le ali della libertà, Fargo, Il Grinta, Sicario) per riuscire a entrare subito nella storia, soprattutto grazie alla composizione studiata per accordarsi con le intenzioni del regista. Immaginiamo la macchina da presa come l’acqua di una moka e la fotografia come il filtro: la loro azione combinata è decisiva perché i grani di caffè (il resto della troupe) diventino la migliore tazza di caffè che possiamo sorbire.
Forse Blade Runner 2049 è la volta buona perché l’Academy assegni la statuetta a Roger Deakins, parte di un film che ha tanto da dire soprattutto una volta che sono finiti i titoli di coda. Sì, perché del film di Denis Villeneuve ci rimane addosso una rugiada di sensazioni che continuano il discorso aperto nel 1982 da Ridley Scott e mettono in moto un’interessante comparazione con l’Alien: Covenant del cineasta britannico. L’atto della creazione è al centro della storia, il diritto ad autodeterminarsi che è comune ai replicanti di Blade Runner e agli androidi di Alien. Un punto di contatto fra Scott e Villeneuve così come l’intenzione della Scott Free Production di dare continuità alla saga uscita dalla mente di Philip K. Dick.
Siamo dentro uno spettacolo visivo eccezionale in cui sappiamo chi abbiamo di fronte: l’agente K (Ryan Gosling) è un replicante Nexus 9 in forza alla LAPD col compito di ritirare i vecchi modelli ancora in circolazione; modelli come Sapper Morton (interpretato da un grandissimo Dave Bautista), che i cultori del film avevano già visto in uno dei tre cortometraggi di “avvicinamento” al film e intitolato 2048: Nowhere to Run (regista Luke Scott). Tre corti voluti da Villeneuve per rendere più completa allo spettatore l’esperienza Blade Runner; gli altri due sono 2036: Nexus Down ancora di Luke Scott e Black Out 2022 di Shinichiro Watanabe.
Tutto ha origine in quell’angolo di metropoli dove Morton si è nascosto per coltivare proteine, lì dov’era cominciata la storia di un replicante che potrebbe essere più umano degli umani; e tutto ha davvero inizio quando il Nexus 8 Sapper Morton dice all’agente K che lo sta per “ritirare”:
"Because you’ve never seen a miracle".
Il miracolo di una vita artificiale non solo creata. Ma il miracolo di una vita che è nata. Poco dopo, sotto un albero morto, l’agente K rinverrà una cassa contenente le ossa, perfettamente conservate, appartenenti a una replicante. Incinta. Ecco il principio dell’avventura che vedrà K inseguire a ogni costo l’agente Deckard scomparso trent’anni prima e zittire così una rivelazione che può cambiare ogni cosa. Mettere tutto a tacere come vuole il capo della polizia, il tenente Joshi (Robin Wright).
La scrittura di Blade Runner 2049 ritrova alla tastiera—in coppia con Michael Green— quell’Hampton Fancher che Scott escluse nel mezzo del film del 1982 (salvo poi richiamarlo). Ed è una sceneggiatura che si salda alla perfezione alla storia-madre, trovando in Niander Wallace (Jared Leto) un sostituto ancora più cupo di Eldon Tyrell della Tyrell Corporation. Wallace ha salvato l’umanità dalla fame grazie alla bioingegneria e ha fondato un impero che ha creato nuovi immortali modelli di replicanti.
E va ad Hampton Fancher anche il merito di aver riportato dentro la storia un aspetto che era stato tralasciato nella prima trasposizione cinematografica di Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Si tratta del kipple che ammorba ogni anfratto della Los Angeles del romanzo, l’informe massa di detriti che scorre viva fra le pagine del libro e che qui l’agente K attraversa nella periferia della città, scoprendo il nervo aperto di una metafora ambientale già cara allo scrittore americano.
Anche nel 2049 siamo in un mondo che non riesce a redimersi dalle sue colpe contro il pianeta Terra, già trent’anni prima bombardato da piogge acide. Eppure ora c’è la neve a scendere come fuliggine sulle teste di uomini e replicanti; forse c’è una speranza sottile come polvere, nebulosa come lo smog dove scompare la silhouette di Ryan Gosling, al centro di frame che sono veri e propri quadri.
La ricerca di un senso dell’identità è lo scheletro di un’opera che nei suoi 163 minuti ci immerge nell’atmosfera dell’originale fra degrado urbano e luci al neon che gridano i nomi di Atari, Coca-Cola, Sony, Peugeot, fra prostitute come Mariette (Mackenzie Davis) che strizzano l’occhio alla sexy Pris / Daryl Hannah, e con in più la tecnologia del XXI secolo che sa disegnare il personaggio dell’intelligenza artificiale Joi (Ana de Armas), per i fan di science fiction un aggiornamento inimmaginabile della donna virtuale del 6° Giorno (Roger Spottiswoode, 2000).
Più di tutto, Blade Runner 2049 ci immerge nel grande cinema, facendoci incontrare soltanto nella parte finale Rick Deckard (Harrison Ford) e la spiegazione di un enigma che l’agente K è andato inseguendo come fosse un uomo nato dall’amore. Allora, nel bianco della neve, l’agente K si congeda (davvero?) mentre la musica di Vangelis, orchestrata da Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch, entra come un calco della scena liberatoria di trentacinque anni prima e ci accompagna verso il finale. Forse, però, non è ancora tempo di morire.
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jonnylogan
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sabato 1 marzo 2025
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vite da replicante
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Le locations evocate dalla pellicola e il fascino di Philip K. Dick, ovvero uno degli scrittori di realtà distopiche più celebrato di sempre, restano ancora inalterate seppure a più di quattro decadi sia dalla scomparsa dell'autore, sia dalla precedente fatica di celluloide diretta da Ridley Scott, in tal caso presente nel ruolo di produttore.
Il regista canadese Denis Villeneuve, fortemente voluto dallo stesso Scott, rimasto affascinato dai suoi precedenti lavori, in precedenza celebrato anche da una candidatura Oscar con Arrival (id.; 2016), e oggi impegnato nella rivisitazione di un altro classico del cinema sci-fi, ovvero la saga di Dune; riprende il filo del discorso interrotto nella Città degli Angeli del 2019 tornando alle medesime atmosfere hard - boiled, con tanto d'introspezione e voce fuori campo e che erano il pane quotidiano di coloro che cacciavano replicanti.
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Le locations evocate dalla pellicola e il fascino di Philip K. Dick, ovvero uno degli scrittori di realtà distopiche più celebrato di sempre, restano ancora inalterate seppure a più di quattro decadi sia dalla scomparsa dell'autore, sia dalla precedente fatica di celluloide diretta da Ridley Scott, in tal caso presente nel ruolo di produttore.
Il regista canadese Denis Villeneuve, fortemente voluto dallo stesso Scott, rimasto affascinato dai suoi precedenti lavori, in precedenza celebrato anche da una candidatura Oscar con Arrival (id.; 2016), e oggi impegnato nella rivisitazione di un altro classico del cinema sci-fi, ovvero la saga di Dune; riprende il filo del discorso interrotto nella Città degli Angeli del 2019 tornando alle medesime atmosfere hard - boiled, con tanto d'introspezione e voce fuori campo e che erano il pane quotidiano di coloro che cacciavano replicanti. Per l’occasione Villeneuve e Scott riescono proprio a riesumare anche la figura sensibilmente invecchiata di Harrison Ford, facendogli indossare nuovamente i panni di un vecchio cacciatore di androidi ancora più disilluso del solito. Affiancandolo a un nuovo agente dell’unità Blade Runner. Un replicante di ultima generazione devoto servitore della polizia di Los Angeles, oltre che dedito all’amore con figure a ologrammi.
A calarsi nella parte di K: Ryan Gosling, attore ultra sfaccettato capace di passare dal registro leggero, un film su tutti Barbie (id.; 2023), fino ad arrivare al musical, in tal caso suggeriamo di recuperarne la performance in La La Land (id.; 2016), il quale riesce a restituire alla macchina da presa quella perfetta assenza di emozioni che solamente un ‘lavoro in pelle’ può provare.
Villeneuve riesce a offrire un sequel degno di un primo capitolo ormai iconico, ma che anche in questo caso non è riuscito a ottenere un successo al botteghino capace di far fronte ai costi iniziali, e nonostante le numerose e ottime critiche, favorite sia dalla recitazione, in particolare di Gosling, sia dalla presenza di effetti speciali e di una fotografia, entrambi premiati con l’Oscar, incredibilmente efficaci e in grado di riprodurre quelle ambientazioni care a chi ha amato la Los Angeles del 2019. Riuscendo a consegnare al pubblico, sia la logica prosecuzione di una vicenda interrotta trent’anni prima, ma declinandola in qualche cosa di differente e unico, sia lasciando aperto uno spiraglio per un terzo capitolo.
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skywalker70
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domenica 8 ottobre 2017
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anche gli ologrammi hanno un'anima (forse)
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Chi si aspetta l'ennesimo remake 'potenziato' con effetti speciali rimarrà deluso. Blade runner 2049 infatti non è affatto un film d'azione, tutt'altro, ha un ritmo lento, a tratti quasi meditativo, che mi ha ricordato alcuni film coreani....
La trama è complicata e non sempre ben comprensibile. Le atmosfere cupe (molto simili all'originale) rese egreggiamente da una splendida fotografia, e un senso di disperata decadenza pervadono tutto il film.
Nonostante questo sono rimasto affascinato.
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Chi si aspetta l'ennesimo remake 'potenziato' con effetti speciali rimarrà deluso. Blade runner 2049 infatti non è affatto un film d'azione, tutt'altro, ha un ritmo lento, a tratti quasi meditativo, che mi ha ricordato alcuni film coreani....
La trama è complicata e non sempre ben comprensibile. Le atmosfere cupe (molto simili all'originale) rese egreggiamente da una splendida fotografia, e un senso di disperata decadenza pervadono tutto il film.
Nonostante questo sono rimasto affascinato.
E' un sequel degno dell'originale, come fosse un replicante...ma con un'anima.
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misterwinter
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giovedì 12 ottobre 2017
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sogniamo ancora pecore elettriche......
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La fascinosa distopia di “Blade Runner” mi rapì trent'anni fa in un cinema di seconda visione delle periferia milanese (già allora distopica …...la periferia intendo) abbacinandomi di visioni futuristiche, intrigandomi con le sue atmosfere hard boiled (Rick Deckard, un Philip Marlowe del terzo millennio), trascinandomi nell'onirismo neogotico della sua narrazione intessuta di oscura romance, abissali suggestioni filosofiche e deflagrazioni di autentica poesia (il monologo finale di Roy). La potentissima cifra filmica di quell'opera resta, ad oggi, inarrivabile sicché, con una certa cautela, ho approcciato il sequel (o reboot ?) di “Blade Runner 2049” nel timore di ricavarne una delusione cosmica che, diciamolo subito, non c'è stata.
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La fascinosa distopia di “Blade Runner” mi rapì trent'anni fa in un cinema di seconda visione delle periferia milanese (già allora distopica …...la periferia intendo) abbacinandomi di visioni futuristiche, intrigandomi con le sue atmosfere hard boiled (Rick Deckard, un Philip Marlowe del terzo millennio), trascinandomi nell'onirismo neogotico della sua narrazione intessuta di oscura romance, abissali suggestioni filosofiche e deflagrazioni di autentica poesia (il monologo finale di Roy). La potentissima cifra filmica di quell'opera resta, ad oggi, inarrivabile sicché, con una certa cautela, ho approcciato il sequel (o reboot ?) di “Blade Runner 2049” nel timore di ricavarne una delusione cosmica che, diciamolo subito, non c'è stata. Il film si riaggancia coerentemente all'originale costruendo un plot credibile ed efficace intorno all'inquietudine esistenziale del protagonista, il replicante cacciatore di replicanti agente K6-D3R (un adeguato Ryan Gosling) alle prese con un'indagine in grado di sovvertire definitivamente il fragile equilibrio della Los Angeles post apocalittica che è, essa stessa, protagonista del racconto cinematografico con le sue architetture di straordinario impatto visivo (grazie al virtuosismo fotografico di Roger Deakins), la sua piovosa cupezza, il fascino torvo e perverso della sua affollata desolazione. Non mancano citazioni e riferimenti che non potranno non essere apprezzati dai cultori del primo capitolo: ritornano vecchi personaggi (il cameo dell'invecchiatissimo Edward James Olmos), si ritrovano familiari totem (il cavallo giocattolo di legno ricorda l'unicorno/origami di Gaff), la “creatrice di ricordi” è l'alter ego femminile di J.F. Sebastian di cui condivide la fragile inquietudine e, last but not least, Rick Deckard “il vecchio cacciatore, con la sua magia” (per citare il capitano Bryant, decisamente più credibile, quello, di “Madame” interpretata da un'algida Robin Wright) eremita confinato in un allucinato deserto urbano presidiato da giganti di pietra, custode del segreto intorno al quale orbitano l'indagine dell'agente K (o “Joe”?) e la segreta aspirazione di quest'ultimo a scoprirsi “umano” o, forse, più umano dell'umano.
Blade Runner 2049 conserva la stessa matrice “freudiana” dell'originale, riproponendone – con ancor maggiore intensità visionaria – i temi portanti e regalandoci un'imponente affresco dalle tonalità cyberpunk capace di fondere, con sofisticatissima maestria registica, spettacolarità ed introspezione.
Rispetto al capostipite di Scott, manca, a mio parere, in BR 2049, un certo spessore nella caratterizzazione dei personaggi (specie quelli femminili) e si sconta una certa mancanza di fluidità nella seconda parte dove l'incontro tra K/Joe e Deckard avrebbe potuto essere gestito, a livello di script, con maggiori efficacia e concisione.
Ci aggiriamo, in ogni caso, nei territori della grande cinematografia, quella capace di creare atmosfere e vertigini, di stupirci con “incantesimi, spari e petardi” (per citare Paolo Conte) e di farci ancora sognare, dopo tre decadi, pecore elettriche.
Da vedere e rivedere.
Jan Kantos
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annalisarco
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venerdì 20 ottobre 2017
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bello, ma...
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Da un po’ di tempo stiamo vivendo il periodo d’oro dei sequel, nel senso che vengono ripresi vecchi imponenti titoli per poi essere – il più delle volte – distrutti.
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Da un po’ di tempo stiamo vivendo il periodo d’oro dei sequel, nel senso che vengono ripresi vecchi imponenti titoli per poi essere – il più delle volte – distrutti. Basti pensare ad IndependenceDay, il cui sequel ha purtroppo visto la luce lo scorso anno, spazzando via tutto quello che di buono era stato fatto nel primo capitolo. E a poco serve mantenere lo stesso team vincente, a quanto pare; perché cast artistico e tecnico di grande valore nulla possono contro la superficialità della trama. Questo è quello che accade a Blade Runner 2049, film in questi giorni ampiamente distrutto dalla critica statunitense e incassi molto inferiori alle aspettative. HarrisonFord – il Rick Deckard degli anni ’80 – c’è, lo zampino di Ridley Scott – all’epoca regista, oggi produttore – c’è, le ambientazioni futuristiche ci sono, la storica colonna sonora c’è. Allora cosa non va nell’opera di Denis Villeneuve? Ancora una volta, la trama. Ryan Gosling interpreta il replicante K, modello nuovo e integrato nella società con il compito di uccidere i vecchi replicanti. Durante una delle sue missioni, scopre che un bambino nacque da una replicante circa trent’anni prima. Notizia che non può trapelare in quanto provocherebbe una reazione da parte delle macchine, che innescherebbero una nuova rivoluzione per la parità dei loro diritti, se non per la supremazia. Che ci crediate o no, la trama è tutta qui. Per le successive due ore (il film dura in totale 2 ore e 45) assisterete ai film mentali di K, convinto di essere il bambino in questione. Parlo da fan di Ryan Gosling, eppure nella parte di K proprio non lo vedo. Gosling è probabilmente un attore mono espressione, come sostengono in molti, ma è un bravo attore che ha sempre dato dimostrazione di prestarsi ai ruoli più diversi. Qui si sfiora l’immobilità facciale assoluta, quasi priva di battute che solo Keanu Reeves è riuscito a darci nel lontano Matrix. Tutto il film si concentra sulle lunghe e lentissime camminate di Gosling per gli scenari più vari, tipici di BladeRunner. Il ruolo di Harrison Ford può a stento definirsi un ruolo, e sarebbe stato meglio non metterlo nel poster facendo credere a tutti che avremmo avuto due protagonisti. Anzi, la sorpresa di ritrovare Deckard in questo sequel avrebbe di certo risollevato gli spettatori dalle poltrone. Jared Leto interpreta uno pseudo cattivo, Niander Wallace, convinto che i Nexus in grado di riprodursi siano il futuro, e che a loro vada dato il comando delle colonie extra mondo. Premesse che fanno presagire una grande rivoluzione…che non avviene. Impossibile credere che il cattivo sia solo questo, un personaggio che di cattivo fa praticamente nulla. Tante parole (nemmeno troppe in realtà, ma tutte direzionate verso il nulla) che si perdono in una trama inutile, in cui ruotano circa cinque personaggi che sembrano vagare senza una meta, nel no sense assoluto. In conclusione, Blade Runner 2049 non è un brutto film, non può definirsi tale in quanto non si possono sottovalutare le scenografie, l’uso della computer grafica, la colonna sonora. Ma non lascia nulla, non si avvicina a ciò che fu il primo film, con il suo fare del tutto nuovo che stravolse i film del suo genere. La mano del regista è fin troppo presente, con una lentezza calcata e visibilmente voluta per ricordare lontanamente il suo predecessore. Risulta un film lentissimo, inconcludente, con soluzioni palesi che non permettono allo spettatore di scervellarsi per arrivare ad una conclusine. È tutto fin troppo descritto e non va bene, non in un film del genere e con un nome così importante. Peccato, nonostante i nomi che amiamo di Gosling, Ford e Scott, proprio non ci siamo.
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harloch74
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giovedì 26 ottobre 2017
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missione impossibile
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fare un seguito di un film come Blade runner non era facile.Era impossibile per una serie di ragioni che travalicano il concetto stesso di film.L’originale fu una bomba tanto potente capace di influenzare per due decenni un intero immaginario fantascientifico dal cinema ai fumetti agli anime.Questo Villeneuve lo Sa bene e ha saputo districarsi là dove altri avrebbero sicuramente fallito,confezionando un buon prodotto da un capolavo e prendendo con rispetto ciò che poteva prendere dall’originale.Abbiamo così una fotografia maestosa,scenari e effetti visivi plausibili all’universo di Blade Runner 30 anni dopo,ma non abbiamo momenti e personaggi veramente di culto,ma questo più che un difetto è una conseguenza,poiché rientra in ciò che intelligentemente il regista sapeva di non poter replicare.
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fare un seguito di un film come Blade runner non era facile.Era impossibile per una serie di ragioni che travalicano il concetto stesso di film.L’originale fu una bomba tanto potente capace di influenzare per due decenni un intero immaginario fantascientifico dal cinema ai fumetti agli anime.Questo Villeneuve lo Sa bene e ha saputo districarsi là dove altri avrebbero sicuramente fallito,confezionando un buon prodotto da un capolavo e prendendo con rispetto ciò che poteva prendere dall’originale.Abbiamo così una fotografia maestosa,scenari e effetti visivi plausibili all’universo di Blade Runner 30 anni dopo,ma non abbiamo momenti e personaggi veramente di culto,ma questo più che un difetto è una conseguenza,poiché rientra in ciò che intelligentemente il regista sapeva di non poter replicare.La trama forse pecca un po’ di fretta nel dare al pubblico le risposte che cercava,ma nel complesso è un seguito lineare al film del 1982.In sostanza questo film non è meglio del primo,ma più di così umanamente non si poteva fare.Villeneuve ha fatto un piccolo miracolo riuscendo a non far prendere alla storia una deriva commerciale.Film da vedere al cinema con rispetto poiché con rispetto si approccia al primo,senza cercare quei momenti,personaggi e innovazione visiva che hanno fatto la differenza tra un buon film e un capolavoro immortale.Blade Runner 2049 chiude dei cerchi in maniera dignitosa ,fa il suo lavoro,e questo dovrebbe bastare.
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luca scialo
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domenica 3 gennaio 2021
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regge l'incombenza di essere il sequel di un cult
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Quando si è il sequel di un cult anni '80 e vieni proposto a distanza di 35 anni, le attese intorno a sé sono ovviamente altissime. Per fortuna, questa pellicola li regge bene, ponendosi anche una spanna sopra la qualità media dei lungometraggi del medesimo genere odierni. In un mondo sempre cupo, dove il futuro è presente e regna la solitudine e la desolazione, occorre rimuovere i restanti replicanti della vecchia generazione. Ancora inclini alla ribellione. Eppure, loro hanno qualcosa che i replicanti attuali non hanno: assistere ad un miracolo, un replicante che ha generato un figlio. Così, il blade runner Agente K deve compiere una missione ulteriore: trovare ed ucciderlo, affinché l'ordine non venga destabilizzato.
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Quando si è il sequel di un cult anni '80 e vieni proposto a distanza di 35 anni, le attese intorno a sé sono ovviamente altissime. Per fortuna, questa pellicola li regge bene, ponendosi anche una spanna sopra la qualità media dei lungometraggi del medesimo genere odierni. In un mondo sempre cupo, dove il futuro è presente e regna la solitudine e la desolazione, occorre rimuovere i restanti replicanti della vecchia generazione. Ancora inclini alla ribellione. Eppure, loro hanno qualcosa che i replicanti attuali non hanno: assistere ad un miracolo, un replicante che ha generato un figlio. Così, il blade runner Agente K deve compiere una missione ulteriore: trovare ed ucciderlo, affinché l'ordine non venga destabilizzato. La produzione di Ridley Scott si fa sentire positivamente e ben si sposa col talento di Denis Villeneuve. Non convincente fino in fondo Ryan Goslig, che stona con un film nel complesso ben fatto. Effetti speciali in armonia con la trama, colpi di scena, momenti toccanti, con il cameo di Harris Ford è la ciliegina sulla torta.
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kimkiduk
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martedì 10 ottobre 2017
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k spacca il mondo
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Chi ama Blade Runner era nervoso, preoccupato ma anche eccitato per l’attesa della visione di Blade Runner 2049. Ed io ero tra quelli. Nervoso e preoccupato perchè non vedovo l'ora di vederlo, ma avevo paura di rimanere deluso. Eccitato perchè per una volta ero felice che esistesse un sequel (cosa che mediamente non amo).
Ho letto come sempre alcune recensioni (in questo sono masochista) e mi aspettavo un finale bello, un noir crescente ed emozionante ma con un inizio piatto ed un finale tipo Rutger Hauer. Per non perdermi niente ho rivisto la sera prima anche quello, lui, il vero dell'82', per essere pronto a carpire tutti gli eventuali riferimenti.
Mi ha fatto piacere che nonostante il mio masochismo NON sia caduto nel condizionamento dei giudizi degli altri.
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Chi ama Blade Runner era nervoso, preoccupato ma anche eccitato per l’attesa della visione di Blade Runner 2049. Ed io ero tra quelli. Nervoso e preoccupato perchè non vedovo l'ora di vederlo, ma avevo paura di rimanere deluso. Eccitato perchè per una volta ero felice che esistesse un sequel (cosa che mediamente non amo).
Ho letto come sempre alcune recensioni (in questo sono masochista) e mi aspettavo un finale bello, un noir crescente ed emozionante ma con un inizio piatto ed un finale tipo Rutger Hauer. Per non perdermi niente ho rivisto la sera prima anche quello, lui, il vero dell'82', per essere pronto a carpire tutti gli eventuali riferimenti.
Mi ha fatto piacere che nonostante il mio masochismo NON sia caduto nel condizionamento dei giudizi degli altri.
Ho trovato la prima ora e mezza meravigliosa. Qualcuno aveva detto che non ci sono frasi che ricorderemo (al contrario di "Ho visto cose che.....") ed invece "perchè voi non avete mai visto un miracolo" o "siamo più umani degli umani" penso le ricorderemo, come altre che non cito per rispetto della trama. Ho trovato il crescente del film e l'attesa della verità, che molti definiscono "lento", bellissimo, perchè per me "lento" non vuol dire "noioso" e "lento" era anche l'originale. Ho trovato un rispetto profondo della storia, agganciata perfettamente con riferimenti e trovate fantastiche, che purtroppo non posso scrivere, sempre per rispetto di chi non lo ha visto.
Ho addirittura pensato, tanto si attacca bene al primo come storia, che Scott avesse già in mente da anni la storia del sequel e le idee fantastiche ..... ma si lo dico .... del parto di un replicante, dell’esistenza di due gemelli un maschio una femmina o forse solo un maschio o forse solo una femmina; della resistenza che, come ha lottato per la libertà nel primo, lotta per la sua umanizzazione. Meraviglioso il ritorno al passato con il grande Elvis, Sinatra e il Juke Box con non solo canta ma ha anche l’immagine in 3D. Ma soprattutto spicca Joi, ologramma di K, più umano degli umani ed ho pensato .... che bello sarebbe potessimo in un futuro realizzarlo veramente.
Quindi non avrei trovato difetti? Un film perfetto? No direi di no:
- Interpretazione di Robin Wright (Tenente Joshi) scarsa. Ma forse perchè, la ex signora Penn, per me non è brava e nemmeno simpatica.
- Personaggio di Jared Leto (Wallace) non completamente definito.
- E purtroppo dopo l’atteso crescente la delusione forse viene proprio dall’attesa mezz’ora finale. La battaglia e lo scontro tra umani e replicanti o qui tra replicanti nuovi e vecchi. Se questo film perde un po’ e si affloscia lo fa qui, dove il primo esplose in tutto il suo enorme successo. Il primo si svolge prima dentro la stanza del bar e poi su un tetto e qui nell’acqua con un combattimento quasi patetico che NON può non confrontarsi e perdere il confronto (Hauer qui mancava terribilmente).
Il film riesce a riprendere un pò nel finale, ma certo rimane strizzato, corto, incastrato forse nella lunghezza della prima parte e pertanto forse un pò tralasciato nei particolari. Un peccato.
Per molti tratti del film ho pensato fosse Scott il regista, a tratti ho pensato fosse il primo Blade che continuava.
Uscendo ho detto a me stesso pazienza per l’ultima mezz’ora, anche se il finale è chiaramente importantissimo. La delusione non c'è stata, la paura dell'inutilità del sequel svanita. Il film è bellissimo paragonabile al primo per due ore. Credo che nel 2017 film migliori di questo ne troveremo pochi; Gosling ha partecipato per due anni consecutivamente al film candidato a minimo 7 Oscar. Per chi sta criticando questo film mi indichi i 10 sicuramente migliori di questo, io non ne trovo 10.
Ho un'unica paura però ...... il finale è aperto e "Torna ancora Blade Runner" sarebbe troppo, le saghe non le amo davvero.
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dariobottos
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mercoledì 11 ottobre 2017
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meglio per lui che non fosse mai nato
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Si era creata grande aspettativa per questo sequel, che pur con diversi distinguo era stato anticipatamente celebrato dalla critica come degno erede del primo Blade Runner, ma per me è stata una mezza delusione. Riassumendo direi che se il film di Ridley Scott fin dalla sua uscita si è fissato nella memoria collettiva con la sua forza epica e mitopoietica, il prodotto di Denis Villeneuve gioca francamente la chiave del grottesco scivolando spesso nel fantasy.
E' vero che la fantascienza per definizione richiede una dose di fantasia per proiettarsi oltre il reale, ma deve farlo cercando di restare nell'orbita del verosimile, o almeno percepito come tale anche quando le leggi della fisica sono violate.
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Si era creata grande aspettativa per questo sequel, che pur con diversi distinguo era stato anticipatamente celebrato dalla critica come degno erede del primo Blade Runner, ma per me è stata una mezza delusione. Riassumendo direi che se il film di Ridley Scott fin dalla sua uscita si è fissato nella memoria collettiva con la sua forza epica e mitopoietica, il prodotto di Denis Villeneuve gioca francamente la chiave del grottesco scivolando spesso nel fantasy.
E' vero che la fantascienza per definizione richiede una dose di fantasia per proiettarsi oltre il reale, ma deve farlo cercando di restare nell'orbita del verosimile, o almeno percepito come tale anche quando le leggi della fisica sono violate. Siamo troppo educati al fantasy per non capire per esempio che un personaggio come Niander Wallace e l'ambiente assurdo in cui si muove, senza alcuna plausibile giustificazione, appartengono a quel genere. Nel film di Villeneuve si schiaccia poi troppo il pedale dell'estetica post-apocalittica, che nel primo epocale Blade Runner era solo suggerita e impiegata in funzione atmosferica, privilegiando un'estetica cyber-punk.
L'epica del film di Scott si è costruita anche sul commento sonoro struggente e straniante di Vangelis, inarrivabile nella sua capacità di trasferire una storia, visivamente già potente, su un piano superiore di sospensione mitica. Nel sequel la colonna sonora sottolinea semplicemente la parte visiva, e quando riprende certi motivi di Vangelis il risultato diventa troppo scoperto per risultare serio, e porta lo spettatore a dei confronti impietosi.
Insomma, forse questo film aggiunge ben poco alla fantascienza: non è certo una pietra miliare, e forse non ce n'era bisogno.
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clavius
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venerdì 13 ottobre 2017
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tra il messianico e una questione privata
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Di un'appendice al Blade Runner dell'82 non se ne sentiva affatto il bisogno. Non a caso il film di Villeneuve è ossequioso verso il capolavoro di partenza, cerca affannosamente di riproporne le atmosfere adeguandole ai gusti correnti. Nello stesso tempo tenta di percorrerre una propria strada narrativa che oscilla tra la dimensione messianica già vista svariate volte nel cinema di fantascienza (e del tutto assente dall'originale), fino alle soluzioni psicanalitiche, finendo col ridurre un'opera che aspirava all'universale ad una banale questione privata.
Più difficile contestare la qualità della messa in scena che è gradevole e ricercata seppur costretta a riproporre gli elementi visivi che avevano reso celebre il primo film senza particolari scatti di originalità (a partire dalla colonna sonora).
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Di un'appendice al Blade Runner dell'82 non se ne sentiva affatto il bisogno. Non a caso il film di Villeneuve è ossequioso verso il capolavoro di partenza, cerca affannosamente di riproporne le atmosfere adeguandole ai gusti correnti. Nello stesso tempo tenta di percorrerre una propria strada narrativa che oscilla tra la dimensione messianica già vista svariate volte nel cinema di fantascienza (e del tutto assente dall'originale), fino alle soluzioni psicanalitiche, finendo col ridurre un'opera che aspirava all'universale ad una banale questione privata.
Più difficile contestare la qualità della messa in scena che è gradevole e ricercata seppur costretta a riproporre gli elementi visivi che avevano reso celebre il primo film senza particolari scatti di originalità (a partire dalla colonna sonora).
Una delusione annunciata.
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