iuriv
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venerdì 27 ottobre 2017
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ottimo lavoro.
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Sorprendentemente un gran bel film. Pur senza poter offrire l'impatto culturale del suo illustre genitore, ovviamente, il progetto 2049 funziona molto bene.
Lo fa innanzitutto perché Villeneuve si dimostra rispettoso dell'originale, senza per questo rinunciare a un po' di stile personale. Il regista sceglie di restare legato alla visione di Scott, tentando di evolverla senza stravolgerla. Scelta che impone qualche passaggio anacronistico forse (sorry Atari, cit.), ma che restituisce intatto il fascino di Blade Rinner. Alcuni momenti sono da bocca aperta, per come la scenografia interagisce con i personaggi.
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Sorprendentemente un gran bel film. Pur senza poter offrire l'impatto culturale del suo illustre genitore, ovviamente, il progetto 2049 funziona molto bene.
Lo fa innanzitutto perché Villeneuve si dimostra rispettoso dell'originale, senza per questo rinunciare a un po' di stile personale. Il regista sceglie di restare legato alla visione di Scott, tentando di evolverla senza stravolgerla. Scelta che impone qualche passaggio anacronistico forse (sorry Atari, cit.), ma che restituisce intatto il fascino di Blade Rinner. Alcuni momenti sono da bocca aperta, per come la scenografia interagisce con i personaggi.
2049 si gioca bene le sue carte anche da un punto di vista narrativo: una trama leggermente più lineare e una sceneggiatura onesta, fanno da corollario a una storia forse meno intrisa di filosofia rispetto al primo film, ma comunque non priva di interessanti spunti di riflessione (la love story tra entità sintetiche differenti è qualcosa di intrigante per davvero). Gli esseri organici quasi spariscono dalla vicenda per lasciare spazio a una generazione di replicanti evoluta e in grado di sostituire l'umanità anche di fronte agli spettatori.
La scelta di Gosling, in questo senso, mi è parsa azzeccata: l'attore con il suo scarso campionario di espressioni, ma aiutato da un magnetismo non comune, regge bene il ruolo principale della pellicola.
Mi piacerebbe dire lo stesso di Jared Leto, o quantomeno del personaggio che è stato scritto per lui. Wallace è una sorta di santone pieno di stereotipi il cui compito è poco approfondito e suona tanto di già sentito. Del resto le imperfezioni non mancano in questo film; in particolare ho notato una certa tendenza a inserire argomenti poco attinenti al succo centrale della trama, come, ad esempio, tutto il discorso sul black out, gettato li quasi solo per raccontare un contesto.
Al di la di questo, 2049 regge il confronto alla grande. Non mi aspettavo un risultato così soddifsfacente per un'operazione tanto rischiosa. La coppia Scott -Villeneuve ha dimostrato che non esistono mostri sacri che non possono essere ripresi in mano, a patto di farlo con la giusta mentalità.
Mi piacerebbe molto che la chiudessero qui, con quel finale semi-aperto e molto evocativo, lasciando agli spettatori il compito di immaginare l'eventuale evoluzione degli avvenimenti. Ma ho molta paura che la serialità s impadronirà anche di questo brand. E io la serialità la odio.
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vincenzoambriola
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venerdì 6 ottobre 2017
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ricordi e forti emozioni
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Un replicante è una copia di un originale, perfetta al punto che per riconoscerla è necessario ricorrere a un Blade Runner. Ma se anche il Blade Runner è un replicante, allora come si procede? Si cerca di capire la dinamica emotiva, indagando nei ricordi, cercando reazioni che l'originale non avrebbe o che avrebbe ma che il replicante non sente come sue. Ma anche i ricordi possono essere innestati. Insomma, reale e virtuale si mescolano, si inseguono tra di loro, facendo perdere di vista il punto di partenza. Blade Runner, l'originale mitico film, è un replicante di un romanzo di P.K. Dick, faciilmente riconoscibile dall'originale (almeno per chi l'ha letto).
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Un replicante è una copia di un originale, perfetta al punto che per riconoscerla è necessario ricorrere a un Blade Runner. Ma se anche il Blade Runner è un replicante, allora come si procede? Si cerca di capire la dinamica emotiva, indagando nei ricordi, cercando reazioni che l'originale non avrebbe o che avrebbe ma che il replicante non sente come sue. Ma anche i ricordi possono essere innestati. Insomma, reale e virtuale si mescolano, si inseguono tra di loro, facendo perdere di vista il punto di partenza. Blade Runner, l'originale mitico film, è un replicante di un romanzo di P.K. Dick, faciilmente riconoscibile dall'originale (almeno per chi l'ha letto). Anche Blade Runner 2049 è un replicante di Blade Runner, anche lui facilmente riconoscibile dall'originale. Eppure, la memoria delle due fonti originali rimane e fa sorgere il dubbio cheforse non sia veramente un replicante: la colonna sonora, una Los Angeles cupa piena di insegne luminose, limousine che volano e agenti a caccia di replicanti. Tutto ci riporta all'originale, anche se sappiamo bene che non lo è. Questo gioco di ricordi, di inganni, di nascita e di creazione, di amore tra macchine che non dovrebbero amarsi ma che invece lo vogliono e lo fanno, tutto questo è reale e piace, da godimento, evoca ricordi ed emozioni forti.
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fight_club
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venerdì 6 ottobre 2017
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film replicante in cerca di anima
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come i replicanti questo film vaga per i suoi 152 minuti in cerca di anima, visivamente bellissimo il tutto si perde per cercare di allacciarsi al Blade Runner originale, tutti i rimandi sanno di forzato, i temi principali hanno poco sapore forse per introdurre un nuovo universo che verrà sfruttato in futuro. Anche la musica non partecipa e assomiglia a un cupo sottofondo cittadino di una metropoli vastissima affollatta da abitanti di ultim'ordine mentre chi ha potuto è emigrato in altri mondi, insomma il futuro che nel primo film era disperato qui si trasforma in grigiore eterno come il cielo del 2049. La sceneggiatura tiene il filo abbastanza bene, la fotografia è eccezionale, il cast invece è male assemblato senza che nessuno spicchi tranne Harrison Ford che da sapore al finale.
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come i replicanti questo film vaga per i suoi 152 minuti in cerca di anima, visivamente bellissimo il tutto si perde per cercare di allacciarsi al Blade Runner originale, tutti i rimandi sanno di forzato, i temi principali hanno poco sapore forse per introdurre un nuovo universo che verrà sfruttato in futuro. Anche la musica non partecipa e assomiglia a un cupo sottofondo cittadino di una metropoli vastissima affollatta da abitanti di ultim'ordine mentre chi ha potuto è emigrato in altri mondi, insomma il futuro che nel primo film era disperato qui si trasforma in grigiore eterno come il cielo del 2049. La sceneggiatura tiene il filo abbastanza bene, la fotografia è eccezionale, il cast invece è male assemblato senza che nessuno spicchi tranne Harrison Ford che da sapore al finale. voto 7 1/2
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citizenkane
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venerdì 6 ottobre 2017
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il mondo e' nato senza l'uomo
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Il mondo è nato senza l'uomo e finirà senza di lui.Ottimo sequel di un capolavoro cinematografico dallo splendido testo di Dick, la poetica dei replicanti prosegue in un mondo sempre più cupo ed esasperato dalla assenza di spontaneità ed empatia.Le scene e il sound sono formidabilmente apocalittiche e suggestive anche se il lirismo epico delle musiche di Vangelis viene sostitutito da un martellante sottofondo di suoni assordanti e inquietanti.La regia non raggiunge le vette che Ridley Scott aveva toccato e gli interpreti
non esprimono altrettanta intensità:Gosling non ha la maturità interpretativa e la presenza scenica,anche il personaggio di Wallace ad un attore più maturo(Jeremy Irons?)Robin Wright inadatta per un capo della polizia, brave la De Armas e la Hoeck,splendida fotografia,le scene dei simulacri femminili un de ja vu, grande la scena apocalittica finale del pacifico in tempesta.
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Il mondo è nato senza l'uomo e finirà senza di lui.Ottimo sequel di un capolavoro cinematografico dallo splendido testo di Dick, la poetica dei replicanti prosegue in un mondo sempre più cupo ed esasperato dalla assenza di spontaneità ed empatia.Le scene e il sound sono formidabilmente apocalittiche e suggestive anche se il lirismo epico delle musiche di Vangelis viene sostitutito da un martellante sottofondo di suoni assordanti e inquietanti.La regia non raggiunge le vette che Ridley Scott aveva toccato e gli interpreti
non esprimono altrettanta intensità:Gosling non ha la maturità interpretativa e la presenza scenica,anche il personaggio di Wallace ad un attore più maturo(Jeremy Irons?)Robin Wright inadatta per un capo della polizia, brave la De Armas e la Hoeck,splendida fotografia,le scene dei simulacri femminili un de ja vu, grande la scena apocalittica finale del pacifico in tempesta.L'ultimo quarto del film viene intensamente e nobilmente polarizzato dalla figura di Deckard-Harrison Ford che come grande deus ex-machina conferisce
un grande valore all'intera storia narrata.La ricostruzione digitale del personaggio di Rachel impeccabile, rivedremo Bogart reinterpretare i noir?
La neve...il silenzio...la pace....è tempo di morire
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mokujohn
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venerdì 6 ottobre 2017
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le regole del sequel
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A 30 anni di distanza dalle vicende del detective Deckard e dei replicanti Nexus 6, ci ritroviamo a seguire il lavoro di un giovane Gosling nei panni dell'agente di polizia K. La missione è sostanzialmente la stessa: rintracciare dei replicanti (stavolta Nexus 8s) usciti dal controllo degli umani e "ritirarli". Fin dal primo incontro-scontro con uno dei Nexus, la storia si complica. L'ombra di un "evento miracoloso" ed il ritrovamento di una misteriosa cassa sepolta ai piedi di un vecchio albero, deviano la missione verso obiettivi ben più importanti ed insinuano un dubbio nella mente dell'agente, che accompagnerà il protagonista ed il pubblico per tutta la durata del film. Ritroviamo una Los Angeles apparentemente cambiata in seguito ad eventi epocali.
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A 30 anni di distanza dalle vicende del detective Deckard e dei replicanti Nexus 6, ci ritroviamo a seguire il lavoro di un giovane Gosling nei panni dell'agente di polizia K. La missione è sostanzialmente la stessa: rintracciare dei replicanti (stavolta Nexus 8s) usciti dal controllo degli umani e "ritirarli". Fin dal primo incontro-scontro con uno dei Nexus, la storia si complica. L'ombra di un "evento miracoloso" ed il ritrovamento di una misteriosa cassa sepolta ai piedi di un vecchio albero, deviano la missione verso obiettivi ben più importanti ed insinuano un dubbio nella mente dell'agente, che accompagnerà il protagonista ed il pubblico per tutta la durata del film. Ritroviamo una Los Angeles apparentemente cambiata in seguito ad eventi epocali. Nelle viste aeree, ogni cosa sembra, ora, replicante. Gli edifici, i campi sconfinati di pannelli fotovoltaici, le serre per coltivazioni intensive. Tutt'altro discorso invece, per le scene a terra, molto più rare rispetto all'episodio di Scott, ma che danno un'immagine della situazione simile a quella del 2019. Nelle strade e negli edifici domina ancora il caos, con accenni di "rabbia sociale", di cui non si aveva traccia nel primo episodio. Un caos ribelle a cui più in là si affiancano simboli di vita sottomessa o relegata a paesaggi più alieni che terrestri: i bambini, fra i rifiuti, schiavizzati; le api ed un fiore, unici organismi naturali ad attirare immediatamente l'attenzione del protagonista. Alcune sono le percezioni molto nette che si hanno in sala e nel post visione: Villeneuve ha creato un'opera bilanciata. Nonostante la durata, il "passaporto hollywoodiano" e l'inevitabile "ansia da botteghino", il canadese è riuscito a mantenersi in equilibrio evitando eccessi, risparmiando eventi insensati alla trama, gestendo in maniera magistrale il budget a disposizione, la troupe, il cast. Ma questo equilibrio rivela anche i limiti della sceneggiatura. I personaggi e la trama aggiungono poco ai contenuti espressi decenni prima. La sceneggiatura ha una lieve tendenza all'esplicitazione di ruoli e comportamenti, rischiando di appiattire il mistero del proseguimento. Il concetto di amore "sintetico", i dubbi sul significato di umanità e sul confine tra naturale ed artificiale, sono stati sostanzialmente già trattati. La riproposizione di qualcosa di già visto, per quanto stilisticamente impeccabile, non può più suscitare stupore o meraviglia, nè lo stesso impulsivo interesse, nè, infine, la sensazione di trovarsi di fronte ad un altro capolavoro. É una sorta di paradosso che regola il futuro di ogni sequel, almeno del genere fantascientifico. Come proseguire la storia quando i concetti espressi erano già innovativi, geniali, senza tempo? Beh, la scelta di Villeneuve è stata forse la più saggia: non lottare col passato stravolgendolo; evitare di seguire con troppa forza temi filosofici, socio/politici o sentimentali, correndo il rischio di essere accusato di scarsa personalità; salvaguardare il proprio stile e quello del predecessore senza comprometterlo a favore di logiche commerciali. Così, quello che sarebbe potuto diventare l'ennesimo sequel deludente, è invece, probabilmente, uno dei migliori film che ci si potesse aspettare, in un periodo, per il genere fantascientifico, in cui viene da chiedersi: avremo più l'opportunità di vedere qualcosa di veramente stravolgente?
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chilipalmer
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sabato 7 ottobre 2017
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un bel polpettone in gola, cane a parte.
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Comincerei dal cane. Non lo sceneggiatore a quello ci torniamo. l'unico attore con un briciolo di espressività è il simpatico e pulcioso cane di Ford che oltre a scolarsi liquore porta all'unica battuta degna del polpettone spaziale: 'è vero?' chiede Goslin, risponde Ford ' chiediglielo'. Il resto è una orrenda scopiazzatura di tutto. Scenografie spaziali e musiche le parti peggio copiate. vangelis dovrebbe citare i produttori per danni: un gingle ricopiato male e con batteria tecno da far rabbrividire. La simpatica Milady Wright recita davvero da cani e la scenetta esistenziale della stanza bianca fa ridere come pure la mono espressione dell'ottimo Leto che appannato a più non posso è salvato dalle splendide scenografie acquatiche che lo circondano.
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Comincerei dal cane. Non lo sceneggiatore a quello ci torniamo. l'unico attore con un briciolo di espressività è il simpatico e pulcioso cane di Ford che oltre a scolarsi liquore porta all'unica battuta degna del polpettone spaziale: 'è vero?' chiede Goslin, risponde Ford ' chiediglielo'. Il resto è una orrenda scopiazzatura di tutto. Scenografie spaziali e musiche le parti peggio copiate. vangelis dovrebbe citare i produttori per danni: un gingle ricopiato male e con batteria tecno da far rabbrividire. La simpatica Milady Wright recita davvero da cani e la scenetta esistenziale della stanza bianca fa ridere come pure la mono espressione dell'ottimo Leto che appannato a più non posso è salvato dalle splendide scenografie acquatiche che lo circondano. Anche dopo trenta minuti di tagli obbligati sarebbe comunque inguardabile. Spero che Scott fratello che collaborò con Ridley al primo Blade Runner non si rivolti nella tomba. Inutile più di tutto la girlfriend virtuale di Goslin che solo nudame gigante sembra avere un senso nella storia. Insomma una patacca spaziale in tutto. Peccato. Chiudo come promesso: consiglierei l'esilio allo sceneggiatore per evitare il linciaggio. Voto 1 e mezzo.
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[+] anch'io adoro il vero cinema,
(di citizenkane)
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il_caravaggio
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domenica 8 ottobre 2017
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lunghissimo, pesantissimo, insopportabile.
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Le aspettative erano altissime, complice un battage pubblicitario e markettaro senza precedenti e la paura di essere deluso altissima pure quella. Ho avuto la malaugurata idea di andare al cinema subito dopo aver cenato in pizzeria che ha mi instillato una certa sonnolenza e che blade runner ha trasformato in narcolessia, quasi coma. Film lunghissimo e di una lentezza disumana, copione francamente banale (ammetto che non fosse facile imitare l'originale). tanto potente e futuristico era stato il prequel tanto prevedibile e scontato questo (per fare un paragone ho trovato ex machina decisamente migliore di blade runner 2049). Ryan gosling troneggia per inespressività, Harrison Ford l'espressività l'ha persa negli anni 80.
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Le aspettative erano altissime, complice un battage pubblicitario e markettaro senza precedenti e la paura di essere deluso altissima pure quella. Ho avuto la malaugurata idea di andare al cinema subito dopo aver cenato in pizzeria che ha mi instillato una certa sonnolenza e che blade runner ha trasformato in narcolessia, quasi coma. Film lunghissimo e di una lentezza disumana, copione francamente banale (ammetto che non fosse facile imitare l'originale). tanto potente e futuristico era stato il prequel tanto prevedibile e scontato questo (per fare un paragone ho trovato ex machina decisamente migliore di blade runner 2049). Ryan gosling troneggia per inespressività, Harrison Ford l'espressività l'ha persa negli anni 80. Vogliamo parlare della colonna sonora? Indimenticabile quella originale di vangelis, l'attuale è una potente sequenza di forti rumori che servono, a cadenza regolare, a svegliare dal torpore in cui irrimediabilmente si cade nel vedere scene dilatate sino ad essere insopportabili. Scenografie imponenti,fotografia meravigliosa ma è un po poco per gridare al capolavoro. Profondamente deluso.
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(di filippodr)
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(di lunderperzo)
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flyanto
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mercoledì 11 ottobre 2017
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un altro blade runner contro i replicanti
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E' uscito in questi giorni nelle sale cinematografiche il tanto atteso (e temuto flop) "Blade Runner 2049" , seguito del tanto apprezzato primo "Blade Runner".
Anche in questa seconda pellicola il protagonista principale è un blade runner (Ryan Gosling), agente della Polizia di Los Angeles, che deve andare a caccia ed eliminare dei replicanti che, dopo essere stati sconfitti, pare siano ritornati in vita.
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E' uscito in questi giorni nelle sale cinematografiche il tanto atteso (e temuto flop) "Blade Runner 2049" , seguito del tanto apprezzato primo "Blade Runner".
Anche in questa seconda pellicola il protagonista principale è un blade runner (Ryan Gosling), agente della Polizia di Los Angeles, che deve andare a caccia ed eliminare dei replicanti che, dopo essere stati sconfitti, pare siano ritornati in vita. Dall'eliminazione di uno di loro al suddetto agente si presenta come conseguenza un nuovo caso da risolvere concernente la ricerca di un essere umano di cui non si sa se esista o meno ancora l'esistenza. A questa nuova entità da scovare sono interessati in molti e così il blade runner deve affrontare numerosi nemici ed avventure sino al raggiungimento della verità.
Diversa la regia dove al precedente Ridley Scott si sostituisce il canadese Denis Villeneuve, un cast di attori acclamati, tra cui si distingue il bel Ryan Gosling e nuovamente Harrison Ford, e scene apocalittiche o meno molto suggestive e ben realizzate al computer costituiscono questo secondo capitolo della saga di "Blade Runner" che si dimostra tutt'altro che un flop. All'originalità del plot del primo "Blade Runner" di 30 anni e più fa, l'attuale pellicola si sostituisce e si distingue non tanto, appunto, come novità, dal momento che nel periodo di tempo intercorso sono stati girati moltissimi films di fantascienza e sempre più accurati, ma come opera molto ben costruita soprattutto dal punto di vista delle immagini e della fotografia che creano nello spettatore un impatto visivo non indifferente. La forza del film sta proprio in ciò, dunque, ed anche la trama come seguito funziona bene in quanto avvincente e con una verità tutta da scoprire.
Insomma, come sequel, direi, del tutto consigliabile.
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alesimoni
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giovedì 12 ottobre 2017
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missione compiuta agente k
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La prova era davvero ardua e i fan di tutto il mondo erano terrorizzati: sarà una boiata?!Confrontarsi con un'opera del genere che ha sicuramente inciso sulla cultura e sulla visione di futuro di una generazione e mezza avrebbe impaurito chiunque, ma Villeneuve è stato all'altezza e ha fatto un gran film. Dal punto di vista scenografico, degli interni e delle architetture possiamo tranquillamente parlare di un capolavoro: scene sensazionali illuminate da una fotografia cupa grigia o tendente a un rosso fantastico a seconda delle situazioni. Anche qui è presente la visione di un ecosistema compromesso dall'attività antropica, con enormi discariche, assenza di vita e l'unico albero visto come una reliquia: mai messaggio fu più attuale visto l'era in cui viviamo.
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La prova era davvero ardua e i fan di tutto il mondo erano terrorizzati: sarà una boiata?!Confrontarsi con un'opera del genere che ha sicuramente inciso sulla cultura e sulla visione di futuro di una generazione e mezza avrebbe impaurito chiunque, ma Villeneuve è stato all'altezza e ha fatto un gran film. Dal punto di vista scenografico, degli interni e delle architetture possiamo tranquillamente parlare di un capolavoro: scene sensazionali illuminate da una fotografia cupa grigia o tendente a un rosso fantastico a seconda delle situazioni. Anche qui è presente la visione di un ecosistema compromesso dall'attività antropica, con enormi discariche, assenza di vita e l'unico albero visto come una reliquia: mai messaggio fu più attuale visto l'era in cui viviamo. La sceneggiatura: anche qui risultato credibile, sono riusciti a riallacciarla bene al film originale e ne segue una tutta sua che si inserisce bene nel filone della filosofia dickiana. Il personaggio di K è scritto molto bene e in generale ben rappresentata la voglia di autodeterminarsi e il prendere coscienza di sé del mondo dei replicanti. Anche il personaggio di Joi è una buona idea, anche se sembra una copia (in ologramma) della voce di Her di Spike Jonze. L'unica cosa che mi è piacita meno e da cui mi aspettavo tanto è il personaggio e l'interpretazione di Jared Leto : dal trailer pensavo a un qualcosa di unico invece il suo "cattivo" non è affatto approfondito e reso accattivante. Domanda finale: Stelline deve veramente stare nella cupola o ci è stata messa per proteggerla?!
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mattiagualeni
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martedì 17 ottobre 2017
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blade runner 2049, un film visivamente potente che ci conduce in una nuova saga
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente.
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente. Qui prende avvio la vicenda, da un’indagine, come nel primo film, ma il protagonista è l’agente K (Ryan Gosling), un Blade Runner. La vicenda si svolge trenta anni dopo il primo film e in questo arco temporale la Tyrell corporation viene acquisita dalla Wallace, il mondo subisce un blackout che cancella gran parte dei dati tenuti su internet ed i replicanti sono nuovamente in commercio, grazie alla Wallace, per svolgere quei lavori che gli uomini non vogliono più fare. L’agente K ha il compito di “ritirare” i vecchi modelli della Tyrell che sono sfuggiti. L’agente K è un replicante però. Fin dall’inizio muta quindi l’impostazione rispetto all’ambiguità del film del 1982 che ci aveva lasciato con il dubbio se il protagonista Deckard (Harrison Ford) fosse o meno un replicante. Villeneuve mantiene l’impostazione noir e retrofuturista e dirige lo spettatore in una serrata indagine che porterà l’agente K a dissotterrare un segreto che, come afferma il Tenente Joshi (Robin Wright), “potrebbe spaccare il mondo”. Parallelamente al disvelamento degli indizi lo spettatore viene posto davanti a quelle domande etiche che già erano proprie del primo film ma queste vengono affiancate da nuove, più per un procedimento di somma algebrica che di analisi. Se nella pellicola del 1982 lo slogan della Tyrell era: “Più umano dell'umano” e ci si interrogava sul concetto di che cosa sia umano e sul significato della morte, qui ci si chiede se servono ancora gli uomini quando le macchine provano sentimenti e sul significato della vita e delle correlate conseguenze. Tuttavia queste domande trovano una minore profondità rispetto al Blade Runner del 1982 e sembrano stratificarsi più per un procedimento di sedimentazione col procedere dell’intreccio piuttosto che venir poste e analizzate mediante la sceneggiatura che rimane criptica e aperta in attesa di un sequel. L’Easter egg (termine coniato da Steve Wright della Atari, società che compariva nelle insegne pubblicitarie nel film del 1982 e anche in quello attuale) rappresentato dagli innesti di memoria nell’agente K è il fil rouge della trama di Blade Runner 2049 ma la rende estremamente ermetica e non scorre come nell’originale. Anche nella Director’s cut del 1992 venne introdotto un Easter egg: ossia la scena in cui Deckard sogna un unicorno che, letta insieme alla sequenza finale in cui Rachael colpisce con la scarpa l'origami in foggia del fiabesco animale, insinuano il dubbio, che lo stesso Deckard possa essere un replicante. Tuttavia il risultato non ha lo stesso fascino ambiguo e gli ingranaggi del film sembrano mancare di un qualche giunto cardanico atto a trasmettere con fluidità il moto ai vari assi della trama. Il lavoro di Villeneuve, coprodotto da Ridley Scott, e sceneggiato da Hampton Fancher che fu tra gli autori del capolavoro del 1982, è stato rivolto all’estendere il mondo di Blade Runner come una sprawl in continua espansione. Durante la Blade Runner 2049 Experience del Comic-Con di San Diego 2017 è stato proiettato un video che narrava la cronistoria di cosa fosse successo tra il 2019 ed il 2049 ed il regista aveva affermato: “Abbiamo creato un mondo che è un’estensione del primo film, una proiezione del suo futuro, in cui alcune leggi e regole saranno in relazione con il precedente e non con l’attualità”. Difatti il film è stato anticipato da tre cortometraggi che ci spiegano cosa sia successo nel 2022, nel 2036 e nel 2048 (nel quale vengono anche presentati il villain Neander Wallace e Sapper Morton interpretati rispettivamente da Jared Leto e Dave Bautista). Nel film si è ampliato il mondo di Blade Runner, uscendo da Los Angeles, arricchendolo di atmosfere retrofuturistiche e apocalittiche a Las Vegas, di luci e colori nuovi e persino di nove extramondi. Alla fotografia Roger Deakins ritorna, dopo Prisoners e Sicario, a collaborare con Villeneuve e si fiuta odore di Oscar. L’intensità poetica dell’immagine è tale che ogni inquadratura è un’opera d’arte vedutista dipinta da un pittore del futuro. I colori sono la cifra aggiunta a questo film di fantascienza che ci regala perle come la silhouette di Ryan Gosling, in mezzo all’inquadratura dalle atmosfere quasi marziane, che richiama la fredda solitudine di “Viandante sul mare di nebbia” e “Donna al tramonto del sole” di Friedrich. Le inquadrature in volo degli “spinner”, le auto volanti, sono l’occasione per Deakins per ampliare il panorama di Blade Runner 2049 non più confinato ad una eterna Los Angeles notturna e piovosa. Il film inizia con una ripresa aerea dei campi freddi e distopici del 2049 che ci immerge fin dal principio in un mondo che rimpiange l’attuazione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. La neve è il pretesto per regalare giochi di luci e atmosfere inattese ed il mare ha la stessa cupa e biblica forza di un’incisione del Dorè. Due scene probabilmente entreranno nell’immaginario collettivo: la prima una scena d’amore, la seconda un duello a Las vegas. La scena d’amore è un bellissimo uso del digitale per creare un inedito menage a trois tra il protagonista, una replicante e l’applicazione olografica Joi (Ana de Armas), dove non vi è bisogno alcuno di nudità per raccontare. La seconda è un duello a Las Vegas, nel salone di un club, il cui buio e silenzio sono rotti dagli ologrammi e dalle voci di Elvis Presley e di Marilyn Monroe. Il carattere retrofuturistico del film è reso ancor più evidente dalla scelta di non presentare un mondo tecnologicamente molto più avanzato rispetto alla pellicola del 1982. Questa scelta stilistica rende Blade Runner 2049 un innesto credibile al mondo di Deckard. L’espediente del blackout, che ha portato alla distruzione di tutti i dati informatici, causato da un impulso elettromagnetico è un espediente interessante. Non è una novità perché è stato già utilizzato nella serie Tv Dark Angel, creata da James Cameron, dove un ordigno nucleare esplodendo nella ionosfera aveva causato una potentissima onda elettromagnetica che aveva azzerato i sistemi informatici e di comunicazione di gran parte degli Stati Uniti. Questo azzeramento della memoria dei dati informatici è certamente un parallelismo con il fil rouge degli innesti di memoria del protagonista ed è un invito del regista a riflettere su internet come memoria collettiva e su quella individuale. L’espediente viene qui valorizzato, a differenza di Dark Angel, dal ritorno all’uso dell’analogico e questo approccio rende la pellicola molto particolare e interessante. Se nel primo film i replicanti erano ossessionati per le fotografie, in uno struggente tentativo di costruirsi una memoria affettiva per quanto artefatta, in Blade Runner 2049 compare l'espediente del giocattolo. Il protagonista si emoziona come un novello Ulisse alle parole di Demodoco quando ricorda questo frammento della propria memoria: un piccolo cavallo di legno intagliato a mano. Ryan Gosling, l’agente K, sostiene un film lento ed ermetico anche se è evidente la ricerca di rassomigliare al Deckard del 1982. Ana de Armas, l’applicazione Joi, offre un’ottima interpretazione e ci insinua il dubbio che anche un’app può amare. Harrison Ford, l’agente Deckard, si redime dopo la pessima reinterpretazione di Han Solo e ci presenta un personaggio sofferto, invecchiato e credibile che vive autoesiliatosi in compagnia di un cane (vero o replicante che sia è un omaggio a Philip K. Dick). Jared Leto intrepreta il magnate Neander Wallace, il “non cattivo” del film perché ha un ruolo ambiguo e marginale, confinato a poche scene nelle quali si esprime come un profeta biblico mentre gioca a fare il Demiurgo nella sua piramide dorata, ed è carente della funzione cardine per la trama che invece aveva Tyrell nel film del 1982. Wallace è presentato come un magnate cieco, con la barba, a tratti simile ad un profeta veterotestamentario, in altri ad un fantascientifico John Milton e in altri ancora al demiurgo di William Blake. Tuttavia si sente la mancanza di un Roy Batty (Rutger Hauer) che pareva un luciferino angelo caduto, sofferente nella sua ricerca di senso e di vita, e che ci ha donato uno dei monologhi più intensi e famosi della storia del cinema. Quindi Blade Runner 2049 è un ottimo film di fantascienza ma non è un capolavoro come la pellicola del 1982. Nonostante cerchi di creare una propria mitologia grazie ad un Roger Deakins strepitoso, ad allusioni e citazionismi vari, non ha la ruvida e carismatica forza del Blade Runner di Scott. La sceneggiatura non è al pari della fotografia: manca il pathos tragico della compagnia di replicanti di Roy Batty e molte scelte narrative fanno pensare all'inizio di una saga. L'opera di Villeneuve sicuramente rimarrà come modello estetico per i film di fantascienza a venire sia per la fotografia che per la scenografia e gli effetti speciali, ma non è andato oltre e purtroppo non ci ha fatto immaginare le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione né i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
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