Ecco chi è il versatile regista che torna al cinema dal 3 marzo con Legend.
di Mauro Gervasini
Brian Helgeland, classe 1961, cineasta statunitense di origine norvegese: uno degli unici tre (gli altri due sono Sandra Bullock e il musicista Alan Menken) ad avere vinto contemporaneamente, lo stesso anno, un Oscar e un Razzie (il premio al peggio). A lui capita nel 1998 per le sceneggiature di L.A. Confidential (Oscar) e per quella di L'uomo del giorno dopo, fantadistopico di e con Kevin Costner (con il senno di poi, fin troppo maltrattato).
Negli anni '90 pareva scrivere tutto lui. Bulimico, infaticabile, spesso sotto copertura (collabora con Paul Greengrass nello sviluppo di alcuni progetti, partecipa allo script di The Bourne Supremacy ma non lo firma), un personaggio inossidabile tra alti e bassi creativi.
Sceneggia Debito di sangue (2002), Mystic River (2003), il Robin Hood di Ridley Scott (2010), Pelham 1-2-3: Ostaggi in metropolitana (2009, un remake non irrinunciabile di Il colpo della metropolitana di Joseph Sargent del 1974, tra le fonti di ispirazione di Quentin Tarantino per Le iene - Cani da rapina).
Al netto della statuetta, e dei meriti riflessi (se Mystic River è un grande film, un po' è anche merito suo), Helgeland, come tanti "scrittori" di Hollywood costretti a restare in retroguardia, era forse destinato a una vita da mediano. Invece no, passa dietro la macchina da presa, si mette a fare il produttore, decide di portare a termine i propri progetti.
Da anni sogna di realizzare un nuovo film tratto dal Moby Dick di Melville, inutilmente.
Forse il flop del recente Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick di Ron Howard metterà una pietra sopra al suo proposito. Helgeland anche come regista non ha il talento di alcune persone con le quali ha collaborato, da Clint Eastwood ai fratelli Scott, e infatti nella sua filmografia si contano scivoloni clamorosi come Il destino di un cavaliere (2001).
Nella sua filmografia c'è anche una perla, oppure, diciamo così, un "culto non colto" personale: Payback - La rivincita di Porter (1999), tratto da uno dei classici hard boiled di Richard Stark (ovvero Donald E. Westlake).
Mel Gibson al suo massimo è appunto Porter (non sono riusciti a usare il nome originale Parker; d'altro canto anche John Boorman in Senza un attimo di tregua chiama Lee Marvin Walker, ma è sempre lo stesso personaggio), un rapinatore che dovrebbe essere morto.
Invece no, Porter è poco gradito persino all'inferno, e poi ha delle cose da fare, tipo vendicarsi della moglie adorata che l'ha tradito e di tutta la cricca. Un sottile velo di ironia - peraltro del tutto estranea a Westlake quando si firma Stark - conferisce a Payback - La rivincita di Porter una patina originale, pur nella sua cupezza standard. Che tradotto significa questo: si tratta di un noir stracolmo di clichè ma con un tocco surreale che non guasta, anzi, rende più di una situazione memorabile. Merito anche di un formidabile cast da serie B di lusso, del quale citiamo almeno Bill Duke, Kris Kristofferson e la dark lady Deborah Kara Unger.
Il nuovo film da lui scritto e diretto, Legend, in sala dal 3 marzo, è un biopic sui gemelli Kreys, famigerati gangster londinesi entrambi interpretati da Tom Hardy.
Va dato atto a Helgeland di essere molto versatile nel trattare un genere, il noir, che ha in effetti bisogno di nuovo ossigeno.
Gli esordi del Nostro sono però nell'horror. Scrive il quarto sequel di Nightmare (Nightmare 4: Il non risveglio, 1988) e Autostrada per l'inferno (1992), curioso road movie con annesso patto col diavolo, fino al trascurabile La setta dei dannati (2003) del quale firma anche la regia.