floyd80
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martedì 24 novembre 2015
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che fine ha fatto?
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Ragazzi ma Tim Burton che fine ha fatto?
Ultimamente sta sfornando film noiosi e banali...noiosi e banali tipo questo.
Ok...sì...va bene...il tocco fatato del regista anche in questa pellicola si nota e indubbiamente qua e là la magia torna...ma è una magia effimera e senza contenuto, fredda e distaccata.
Sembra un film fatto su commissione.
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Ragazzi ma Tim Burton che fine ha fatto?
Ultimamente sta sfornando film noiosi e banali...noiosi e banali tipo questo.
Ok...sì...va bene...il tocco fatato del regista anche in questa pellicola si nota e indubbiamente qua e là la magia torna...ma è una magia effimera e senza contenuto, fredda e distaccata.
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eleonora panzeri
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sabato 12 settembre 2015
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il merito ha mille padri
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Che un artista possegga solo la sua arte è una grande verità, non vi è torto più grande che rubare un opera al suo creatore. Tuttavia nel mondo di oggi, come in quello di ieri chi muove le fila è il demone del successo, l’arte e la passione non bastano. Sembra sia più utile la capacità di vendere e svendersi a costo di perdere tutto, anche il senso di quello che stavamo facendo in principio. In Walter Keane tuttavia non vedo solo un mostro ma un uomo travolto dalla popolarità che come una droga ha poi generato dipendenza, crudeltà e follia.
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Che un artista possegga solo la sua arte è una grande verità, non vi è torto più grande che rubare un opera al suo creatore. Tuttavia nel mondo di oggi, come in quello di ieri chi muove le fila è il demone del successo, l’arte e la passione non bastano. Sembra sia più utile la capacità di vendere e svendersi a costo di perdere tutto, anche il senso di quello che stavamo facendo in principio. In Walter Keane tuttavia non vedo solo un mostro ma un uomo travolto dalla popolarità che come una droga ha poi generato dipendenza, crudeltà e follia. Margaret che è sì vittima di un uomo arrivista e di un sistema maschilista non avrebbe potuto avere la fama raggiunta senza il contributo di Walter, che ne esce così colpevole a metà, vittima lui stesso di una condanna terribile: non si può provare gioia per qualcosa che non si è creato, che non ti ha dato emozioni. L’arte è sentimento, critiche e lodi raggiungono il cuore di chi le ha plasmate. Un ladro d’arte non può provare nulla se non il rammarico di essere un impostore. I soldi e l’alcool tuttavia possono essere dei “buoni” compagni e per qualcuno forse migliori del vero talento.
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francy99
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sabato 22 agosto 2015
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che occhio tim!
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Elegante, Brillante, Lucida, questa biografia propostaci da Tim Burton mette in risalto le ottime qualità della regia nel sapersi ambientare fuori dal fantasy. Il film è scorrevole, gli attori ECCEZIONALI (un applauso ad Amy Adams) e lo stile anni '50 / '60 è ben riuscito!
UN CAPOLAVORO!!!
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harry manback
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venerdì 21 agosto 2015
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una "grande" delusione
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Non mi ritengo un esperto del cinema di Burton, né tantomeno un esperto di cinema in generale, coltivo questa passione da svariati anni e ho deciso di intraprendere degli studi specifici per approfondirla, ma sono ancora agli inizi, quindi la seguente opinione potrebbe anche cambiare nel corso degli anni.
Parlando di Burton, penso sia uno di quei registi che non riesce mai a mettere d'accordo gli spettatori (un po' tipo Nolan), tra chi lo considera come uno dei migliori registi della storia del cinema e chi lo considera come un bambino con la macchina da presa e i suoi pupazzi.
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Non mi ritengo un esperto del cinema di Burton, né tantomeno un esperto di cinema in generale, coltivo questa passione da svariati anni e ho deciso di intraprendere degli studi specifici per approfondirla, ma sono ancora agli inizi, quindi la seguente opinione potrebbe anche cambiare nel corso degli anni.
Parlando di Burton, penso sia uno di quei registi che non riesce mai a mettere d'accordo gli spettatori (un po' tipo Nolan), tra chi lo considera come uno dei migliori registi della storia del cinema e chi lo considera come un bambino con la macchina da presa e i suoi pupazzi.
Per quanto mi riguarda, nonostante mi manchino ancora tre film per finire la sua filmografia, io mi trovo come sempre nel mezzo, ha fatto si dei capolavori ("Edward scissorhands" e "Ed Wood"), ma anche dei film piattissimi che sembrano parodizzare se stesso ("Alice in wonderland" e "Dark Shadows").
Ed eccoci giunti a "Big Eyes", il film che doveva risollevare lo stile unico di Burton (in realtà ci aveva già pensato "Frankenweenie", che io considero un film magnifico, a riportare in auge il suo stile, ma vabbè), ma che invece, per ironia della sorte, lo ha reso ancora più piatto, abbassandolo al livello di qualsiasi regista medio hollywoodiano.
Un film che di Burtoniano non ha veramente niente, se non qualche trovata visiva sfuggente, molto sfuggente.
Dove sono finiti i personaggi stravaganti e simpatici del cinema di Burton ?, qui non ce n'è uno che si salvi.
Christoph Waltz non doveva certo interpretare un personaggio simpatico, ma quel sorriso gigionesco che sfoggia ogni due secondi e quell'orribile doppiaggio italiano lo hanno reso solo ridicolo all'inverosimile.
Amy Adams, invece, aveva tutte le carte in regola per regalarci un gran bel personaggio, ma , probabilmente a causa dello sviluppo incerto e frenetico della sceneggiatura, non sono riusciti a caratterizzarlo bene, rendendo piatto e per niente coinvolgente tutto il suo lato psicologico.
Ora qualcuno potrebbe dire: "ma si tratta di una storia vera, non c'è bisogno per forza di personaggi stravaganti".
Anche "Ed Wood" è una storia vera, ma non c'è un personaggio che non sia convincente, anche quelli più marginali hanno qualcosa da dire, e questa era una carattestica veramente unica del cinema di Burton.
In "Big eyes", oltre alla caratterizzazione dei personaggi, non convince per niente lo sviluppo della sceneggiatura che ,come ho accennato prima, risulta essere frenetico, poco coinvolgente e oltremodo banale.
Non c'è nessuna trovata veramente originale o interessante, e quelli che dovrebbero essere i momenti di maggiore tensione del film sembrano addirittura inseriti nei punti sbagliati, in quanto non c'è alcun climax che li avvalori o gli dia spessore, o una colonna sonora che ricalchi abilmente lo stato d'animo dei personaggi (mai Danny Elfman mi aveva deluso così tanto).
Nonostante film come "Alice in wonderland" e " Dark shadows" siano pieni di difetti , ammetto che li riguarderei molte più volte rispetto a "Big eyes", perché quantomeno rispettano a tratti le regole del cinema di Burton.
Con questo non voglio assolutamente dire che un regista deve omologarsi ad uno stile senza mai apportare modifiche, anzi è giusto ricercare sempre idee nuove, ma se il risultato è un film piatto e vuoto come "Big Eyes" forse Burton dovrebbe considerare l'idea di ritornare un attimo sui propri passi.
Ora potrebbe sembrare che il film l'abbia odiato, invece no, è un film che si lascia guardare tranquillamente, e che scorre in modo fluido e spensierato, anche grazie alla fotografia luminosissima (raro in un film di Burton), ma che delude ampiamente se si conosce un minimo del lavoro cinematografico di Burton, un regista che a suo modo è stato geniale, e adesso sembra conformarsi al livello medio/basso degli standard Hollywoodiani.
VOTO 5,5
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angelo franco giordi
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giovedì 7 maggio 2015
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hai un milione di motivi per dire di si
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I film di Tim Burton mi danno la sensazione di essere ricoperti di quella glassa colorata che sta sopra i dolcetti e le ciambelline, ma credo sia una suggestione del tutto personale.
Ad ogni modo nessuna glassa colorata per Big Eyes, che sinceramente, sono d'accordo con molti, non rispecchia a pieno lo sguardo unico di Burton. Ma può anche essere che questo sguardo non sia unico. Voglio dire che i registi, anche loro tentano di variare, di non fossilizzarsi, può succedere che sentano il bisogno di arricchirsi, ruotando ispirazioni e sperimentando nuovi codici e messaggi. È il boccone completo che conta. L'ho visto volentieri, sfatando i facili alternativismi e gli altrettanto veloci e plateali processi alla regia.
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I film di Tim Burton mi danno la sensazione di essere ricoperti di quella glassa colorata che sta sopra i dolcetti e le ciambelline, ma credo sia una suggestione del tutto personale.
Ad ogni modo nessuna glassa colorata per Big Eyes, che sinceramente, sono d'accordo con molti, non rispecchia a pieno lo sguardo unico di Burton. Ma può anche essere che questo sguardo non sia unico. Voglio dire che i registi, anche loro tentano di variare, di non fossilizzarsi, può succedere che sentano il bisogno di arricchirsi, ruotando ispirazioni e sperimentando nuovi codici e messaggi. È il boccone completo che conta. L'ho visto volentieri, sfatando i facili alternativismi e gli altrettanto veloci e plateali processi alla regia.
A quei tempi le donne non se ne andavano di casa, non si separavano con i mariti, questa strana perversione non era ancora contemplata. Quando capitava, succedeva di corsa, mentre lui stava fuori, due valige fatte in fretta e una bambina piccola lanciata in macchina, bloccata istericamente dietro le cinture di sicurezza, attentamente sistemate da una mamma in lacrime, spaventata, pensierosa e nascostamente eccitata al pensiero di una nuova vita.
La donna che fugge è un'artista destinata a conquistare l'America con i suoi dipinti. Una bambolina bionda chiusa tra le quattro mura di una storia fasulla con un uomo fasullo, la pittrice degli occhi grandi. Quella che con una mano tiene il pennello e con l'altra la sigaretta.
"Non pensare a un motivo per dire di no, se hai un milione di motivi per dire di si"
Geniale il prete che consiglia dolcemente a Margaret di continuare a stare al fianco di suo marito senza dubitare di lui, mentre lei si sfoga e confessa delle assurde ingiustizie subite. Un dettaglio che illumina e denuncia l'atteggiamento della chiesa di allora; per non parlare di quanto fosse strano che una donna facesse l'artista. Questo tipo di passività imposta al ruolo della donna è un concetto nobile da esplorare, un tema che sotto certi aspetti è molto attuale; proprio in questo apprezzo e sostengo le scelte del regista.
Margaret poteva essere un pochetto più frizzante, certo, mentre Water Keane poteva essere un po' meno idiota e quindi più credibile come genio del marketing. Ridicolo il processo finale in cui il pirla si fa le domande da solo. Il suo atteggiamento è una grande metafora, un bello specchio.
Grazie
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jacopo b98
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mercoledì 18 marzo 2015
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un insolito burton, con momenti di ottimo cinema
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Nel 1958 Margaret Ulbrich (Adams) lascia il proprio marito e si porta dietro la figlia. Senza il becco di un quattrino, capace solo a dipingere, incontra Walter Keane (Waltz), pittore di discreto successo specializzato nel rappresentare strade parigine da lui visitate in gioventù. I due si innamorano, si sposano e Walter è sempre più colpito dal grande talento della moglie nel dipingere le persone con degli occhi giganteschi. Un po’ per caso Walter comincia a sfruttare il suo straordinario talento nel “vendere” per far guadagnare più soldi alla moglie, ma per farlo spaccia i quadri per suoi. Margaret, all’inizio molto perplessa, pian piano si convince e sta al gioco: lei produce, lui vende.
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Nel 1958 Margaret Ulbrich (Adams) lascia il proprio marito e si porta dietro la figlia. Senza il becco di un quattrino, capace solo a dipingere, incontra Walter Keane (Waltz), pittore di discreto successo specializzato nel rappresentare strade parigine da lui visitate in gioventù. I due si innamorano, si sposano e Walter è sempre più colpito dal grande talento della moglie nel dipingere le persone con degli occhi giganteschi. Un po’ per caso Walter comincia a sfruttare il suo straordinario talento nel “vendere” per far guadagnare più soldi alla moglie, ma per farlo spaccia i quadri per suoi. Margaret, all’inizio molto perplessa, pian piano si convince e sta al gioco: lei produce, lui vende. Ma Walter diventa sempre più avido, e Margaret scoprirà che suo marito anche nella pittura è molto meno talentuoso di quel che sembra. Sceneggiato da Larry Karaszewski e Scott Alexander a partire dalla incredibile storia vera dei coniugi Keane, Burton ne ha tratto il suo film più convenzionale, meno bizzarro e meno burtoniano: il regista abbandona i soliti freaks, per dedicarsi ad una storia pazzesca, difficile a credersi e comunque non lontana dalle corde del regista. Se l’inizio è a tratti folgorante, con invenzioni registiche a ogni scena e due interpreti principali meravigliosi, il film si perde un po’ nella parte centrale, un po’ troppo ripetitiva nel voler ribadire le indecisioni di Margaret, per poi ingranare di nuovo in una seconda parte decisamente migliore, dove tra un marito mostruoso (che nella sequenza più burtoniana del film cerca di dar fuoco alla casa), un processo tragi-comico e alcune scene esilaranti nella loro buffa drammaticità, Burton mette a segno alcune trovate notevoli. Con ciò è lungi dall’essere il miglior film del regista, forse anche perché è uno dei meno personali che abbia prodotto, e i difetti non mancano, a partire da qualche lungaggine di troppo qua e là. Infine la cosa più curiosa del film è l’interpretazione di C. Waltz. In effetti l’attore austriaco è semplicemente magnifico nella parte di Walter, ma sembra non essere riuscito a lasciarsi alle spalle l’over-statement, che tanto calzava nei film di Tarantino che lo hanno reso famoso, per un più consono under-statement. In effetti Waltz stavolta, per quanto sia bravissimo, stona un po’, proprio nel suo tentativo di essere gigionesco anche quando non ce n’è bisogno (la Adams è una meraviglia, ma assolutamente sotto le righe). Ad ogni modo la critica si è divisa: negli USA è piaciuto poco, qui da noi di più. Ottimo il cast tecnico: fotografia: Bruno Delbonnel, musiche: Danny Elfman.
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sabrina lanzillotti
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venerdì 13 marzo 2015
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i grandi occhi di margaret
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California, anni ’50. Margaret è una giovane madre neoseparata che fugge a San Francisco con la figlia alla ricerca di un futuro migliore, lontano dall’ex marito Frank.
Giunta a destinazione, la donna trova lavoro in una fabbrica di mobili e, per arrotondare, la domenica vende i suoi dipinti al mercato degli artisti. Qui incontra Walter Keane, un sedicente pittore dai modi affascinanti ed imprevedibili, che la conquista subito con la sua simpatia e la promessa di un futuro migliore. Dopo pochi mesi di frequentazione, i due convolano a nozze e l’uomo, non volendo rinunciare al suo sogno di mantenersi solo grazie alla sua arte, tenta in ogni modo a piazzare i suoi quadri nelle gallerie californiane.
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California, anni ’50. Margaret è una giovane madre neoseparata che fugge a San Francisco con la figlia alla ricerca di un futuro migliore, lontano dall’ex marito Frank.
Giunta a destinazione, la donna trova lavoro in una fabbrica di mobili e, per arrotondare, la domenica vende i suoi dipinti al mercato degli artisti. Qui incontra Walter Keane, un sedicente pittore dai modi affascinanti ed imprevedibili, che la conquista subito con la sua simpatia e la promessa di un futuro migliore. Dopo pochi mesi di frequentazione, i due convolano a nozze e l’uomo, non volendo rinunciare al suo sogno di mantenersi solo grazie alla sua arte, tenta in ogni modo a piazzare i suoi quadri nelle gallerie californiane. Dopo una serie di risposte negative, Walter decide di affittare un corridoio in un locale molto in voga e di esporre qui le proprie opere e quelle della moglie. Con incredibile sorpresa, però, scopre che gli unici quadri che piacciono alla gente sono quelli di Margaret e decide così di rubarne la paternità.
Negli corso degli anni, Walter diventa sempre più ricco e famoso e Margaret sempre più sola e sottomessa. Quando, però, una sera, l’uomo, a seguito di una stroncatura, tenta di uccidere lei e sua figlia, Margaret fugge alle Hawaii dove, dopo essersi ricostruita una vita, decide di riprendersi ciò che le spetta: la sua dignità e i suoi bambini dagli occhi grandi. Inizia così un processo giudiziario e mediatico dai risvolti tutt’altro che prevedibili.
Nel film meno burtoniano di sempre, il celebre regista di Edward mani di forbice e Il mistero di Sleepy Hollow, porta sullo schermo la vera storia di Margaret Keane, una donna che, con i suoi dipinti raffiguranti bimbi dagli occhi grandi, ha rivoluzionato l’arte americana.
Nell’anno in cui i biopic vanno tanto di moda (basti pensare a The Imitation Game, La teoria del tutto e American Sniper, tutti papabili agli Oscar), anche Tim Burtonsi cimenta per la seconda volta in questo genere (la prima è stata nel 1994 con Ed Wood) e lo fa con eleganza, lasciando ampio spazio alla storia della protagonista, una donna determinata e di immenso talento, imprigionata nel suo tempo ma forte abbastanza per imporsi in una società falsa e maschilista.
I ruoli di Margaret e Walter Keane sono rispettivamente affidati ad Amy Adamse Christoph Waltz. Entrambi hanno studiato attentamente i propri personaggi e, dopo mesi di prove, il risultato è eccezionale. A tratti volutamente eccessivi ma sempre realistici, la coppia accompagna lo spettatore in un escalation di sentimenti, prima amore e divertimento, poi rabbia e risentimento.
Tanta è la cura per la scenografia affidata, ancora una volta, a Scott Alexandere Larry Karaszewski (gli stessi di Ed Wood). I due ci riportano nella San Francisco multiculturale degli anni ’50 e ’60, tra capigliature cotonate e arredamenti kitsch, senza mai eccedere; tutto, infatti, è posto al servizio della storia tra Margaret e Walter, senza introspezioni o giudizi di alcun genere.
Burton rispolvera per questo film la struttura del cinema classico e racconta una storia per certi aspetti drammatica come fosse una commedia, forse a tratti nera, ma pur sempre una commedia.
Big Eyesè la prova evidente della grandezza di Tim Burton, un regista che abbandona lo stile dark che da sempre lo contraddistingue per cimentarsi in qualcosa di nuovo, un regista che continua a crescere e a sorprendere il suo pubblico.
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killbillvol2
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martedì 3 marzo 2015
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"un'invasione degli ultracorpi affettiva" ***1/2
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All'inizio de Il Dormiglione, bellissimo e divertentissimo slapstick di Woody Allen, il personaggio di Diane Keaton dà una festa in un futuro alienato e distopico quando uno degli invitati porta un quadro. Un ritratto strano, raffigurante una bambina dagli occhi enormi e sproporzionati. "Non ci credo, un Keane originale!" urla l'ignorante Keaton. Per il genio di New York, tra duecento anni non sapremo più chi siano stati Nixon o Stalin, ma i quadri di Margaret Keane saranno ancora venduti e apprezzati.
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All'inizio de Il Dormiglione, bellissimo e divertentissimo slapstick di Woody Allen, il personaggio di Diane Keaton dà una festa in un futuro alienato e distopico quando uno degli invitati porta un quadro. Un ritratto strano, raffigurante una bambina dagli occhi enormi e sproporzionati. "Non ci credo, un Keane originale!" urla l'ignorante Keaton. Per il genio di New York, tra duecento anni non sapremo più chi siano stati Nixon o Stalin, ma i quadri di Margaret Keane saranno ancora venduti e apprezzati. Tim Burton, grande estimatore dell'opera della pittrice e suo amico, ha deciso di trasporre sul grande schermo la grande frode che si celava dietro il viso angelico di MDH: Walter Keane, il marito, si era attribuito la paternità di tutte le opere, di ogni grande occhio. E una domanda è sulla bocca di tutti: perché un regista come Tim Burton ha deciso di girare un film su una storia vera che di "burtoniano" ha poco o niente? Infatti, Ed Wood, altro meraviglioso biopic girato dal regista di Burbank a metà degli anni Novanta e scritto dagli stessi sceneggiatori di Big Eyes, aveva molte più possibilità e occasioni di sfruttare e mettere in mostra il talento visionario di un regista a suo modo rivoluzionario, nonostante la genesi dell'opera fosse, come in questo caso, prettamente sentimentale (Burton adorava le pellicole di Edward J. Wood Jr). Probabilmente, Big Eyes è l'A Dangerous Method (altro bellissimo film odiato senza motivo da tutti, fan e detrattori di Cronenberg) di Burton. Perché, quando tutto rischiava fin troppo di cadere nel manierismo (secondo me no, ma cercherò di essere il meno soggettivo possibile) più becero e, citando FilmTV, "nel continuo ripetersi dello schema Burton", quando la linfa vitale sembrava essersi estinta per sempre, quando per sfornare un'altra pellicola si era andati a ripescare nel passato recondito (badate, il sottoscritto considera Frankenweenie un film bellissimo, ma cerchiamo di continuare nel modo più asettico possibile), ecco approdare nelle sale un film all'apparenza totalmente estraneo alla filmografia del regista, completamente fuori dagli schemi forse un po' stantii che erano stati stabiliti all'inizio degli anni Novanta. Big Eyes è l'ennesima dimostrazione (per chi ne avesse bisogno) del talento di un immenso regista che ha confermato di saper gestire un dramma umanissimo alla perfezione, senza aver bisogno di un pallido Johnny Depp. Dopo Big Fish un nuovo "grande" titolo, una nuova tragedia reale e plausibile, uno scontro di coppia come recentemente abbiamo visto al cinema nel bellissimo Gone Girl di David Fincher, solo con i caratteri invertiti: qui l'orco (come si autodefinisce nella lunga sequenza del processo) è lui, un Christoph Waltz perennemente e, a tratti, stancamente sopra le righe, il mostro cattivo che adesca una Cappuccetto Rosso indifesa e credulona, ma, come ogni eroina che si rispetti, combattiva e ribelle, sfaccettature approfondite grazie a un'immensa Amy Adams, la cui dolcezza e ingenuità fa quasi paura. Una fiaba a lieto fine, piena dei colori che hanno contraddistinto i paradisi fittizi delle favole nerissime del regista, uno dei pochi a Hollywood degno del nome di autore. Autore che si mostra anche qui, in poche e (fin troppo) sfuggevoli sequenze, ma una su tutte coglie l'attenzione: nel finale, Margaret scappa con la figlia in macchina, piangendo, e le lacrime le rovinano il trucco, fino a crearle dei grandi occhi, come quelli dei suoi quadri. E' solo qui che l'artista diventa l'arte che ha creato e non nelle visioni precedenti (anch'esse Burtoniane) o negli affascinanti dialoghi sulla paternità o meno di un'opera (Keane è stato il primo a mettere in piedi una vera e propria Factory, come sarà poi quella di Andy Warhol). E' vero che si poteva osare di più, si poteva calcare di più la mano sulla provata Amy Adams che si aggira sfinita per un super-market vedendo chiunque con i SUOI enormi occhi, ma questo è un Burton controllato, che si trattiene in ogni modo e riesce a imbastire una regia perfetta (guardare la stupenda pausa tra la domanda "Chi è l'artista?" e la decisione se a rispondere debba essere Walter o Margaret) senza alcun fronzolo o virtuosismo. E molti si chiederanno: ma questo è ancora Burton? Certo: è un Burton che ha voluto dimostrare di saper realizzare un film diverso dai suoi soliti lavori (se non completamente estraneo: sulla carta, l'le uniche cose nelle corde del regista sono i quadri della protagonista), senza perdersi per strada e mostrando a tratti la sua presenza dietro la macchina da presa. L'operazione è riuscita? In pieno.
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anty_capp
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lunedì 2 febbraio 2015
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waltz odioso unico neo positivo
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Tim Burton, per me, è quello del primo Batman, ma evidentemente, c'era molto zampino di Nicholson come è facile intuire. Fortunatamente, per tutto il film c'è il buon Waltz a tirar su il baraccone, altrimenti noioso e privo di originalità, anche se la trovata degli occhioni grandi come caratteristica pittorica, può essere una buona ispirazione, ma non sufficiente a scrivere una sceneggiatura per un buon film. Non si riesce a tenere il film per mezzora che si pensa a quando decollerà, la risposta è mai. Waltz, alla fine del film costretto a fare il cartone animato in tribunale è la prova che Burton, ha avuto, ha ed avrà, credo, bisogno disperato di soldi, per fare prodotti come questo che scarseggiano di idee.
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Tim Burton, per me, è quello del primo Batman, ma evidentemente, c'era molto zampino di Nicholson come è facile intuire. Fortunatamente, per tutto il film c'è il buon Waltz a tirar su il baraccone, altrimenti noioso e privo di originalità, anche se la trovata degli occhioni grandi come caratteristica pittorica, può essere una buona ispirazione, ma non sufficiente a scrivere una sceneggiatura per un buon film. Non si riesce a tenere il film per mezzora che si pensa a quando decollerà, la risposta è mai. Waltz, alla fine del film costretto a fare il cartone animato in tribunale è la prova che Burton, ha avuto, ha ed avrà, credo, bisogno disperato di soldi, per fare prodotti come questo che scarseggiano di idee. Se si può vedere altro consiglio di farlo. Deludente.
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gabrykeegan
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venerdì 30 gennaio 2015
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burton cambia stile per margaret
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La nuova pellicola di Tim Burton è stata definita da molti la "meno burtoniana di sempre", e in effetti la narrazione lineare e senza troppi fronzoli prodotta dalla sceneggiatura Scott Alexander e Larry Karaszeswki non è quella tipica del genio del gotico e dark cinematografico.
Forse la conoscenza con la vera protagonista della storia e l'amore per una delle più grandi colossali ingiustizie dell'arte ha portato il regista ha lasciare per una volta le sue tipiche atmosfere oscure e raccontare una storia oscura in maniera totalmente contraria.
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La nuova pellicola di Tim Burton è stata definita da molti la "meno burtoniana di sempre", e in effetti la narrazione lineare e senza troppi fronzoli prodotta dalla sceneggiatura Scott Alexander e Larry Karaszeswki non è quella tipica del genio del gotico e dark cinematografico.
Forse la conoscenza con la vera protagonista della storia e l'amore per una delle più grandi colossali ingiustizie dell'arte ha portato il regista ha lasciare per una volta le sue tipiche atmosfere oscure e raccontare una storia oscura in maniera totalmente contraria.
I vaporosi anni '60 sono lo sfondo perfetto per l'eccesso burtoniano, nonostante ciò non sia di primaria importanza, ma sia un tempo quasi oltre la nostra concezione (alla "Edward mani di forbice"). L'eccesso però questa volta si trasforma anche in un'esagerazione di colori e luminosità, un'iperbole cromatica da far rabbrividire i più grandi fan di Tim, ma sicuramente frutto di una trama ben scritta.
Cosa se non l'eccesso di colori e luce può rappresentare meglio la fantastica vita pubblica dei Keane? Tra menzogna e sorrisi falsi, mentre nel buio delle sale di pittura casalinghe si consuma il dramma di una donna sfruttata per le sue doti.
Lasciati per una volta il fido Johnny Depp e la moglie Helena Bonham Carter, ci si affida a due attori di altissimo spessore: la ormai affermatissima Amy Adams e il due volte premio Oscar Christopher Waltz.
Lei bravissima nel ruolo di artista innovatrice e sognatrice che si innamora troppo facilmente di un affabile simpaticone che nulla ha a che vedere con l'arte se non il fatto di saperla vendere bene.
Gli occhi della Adams sono il vero fulcro della recitazione, l'anima di una storia commovente e a tratti quasi paradossale. Intorno a lei gira un mondo fatto di soldi e fotografie, di interviste e case di lusso, tutte portate dalla bravura commerciale di un marito tanto dispotico quanto irriverentemente simpatico al primo impatto.
Ecco che tornano le espressioni di Chris Waltz, quelle del colonello Hans Landa di Bastardi Senza Gloria. Bastardo dentro appunto, ma simpatico come pochi sanno esserlo, incapace di dire la verità su qualsiasi cosa e sempre sul pezzo quando si tratta di vendere qualcosa e lucrare sul lavoro altrui.
La tristezza della storia viene spesso interrotta dal malinconico umorismo nero burtoniano che esce fuori anche in situazioni drammatiche, in cui Waltz la fa da padrone con le sue movenze e la sua capacità di ammaliare il pubblico.
Burton è un artista che racconta un'altra artista, lasciando il suo stile per far risaltare la realtà dei fatti, per far risplendere gli occhi di Margaret, attraverso una figlia che sembra il personaggio di uno dei quadri, agli occhi enormi dell'amica, a quelli diversi degli abitanti delle Hawaii che sono fondamentali per la rinascita della pittrice.
Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, forse questo film non è lo specchio di Tim Burton, ma è sicuramente il riflesso della sua voglia di raccontare la vita di una grande donna e di come l'arte, spesso, possa essere fraintesa e misteriosa.
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