Big Eyes |
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Un film di Tim Burton.
Con Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Krysten Ritter.
continua»
Biografico,
Ratings: Kids+13,
durata 106 min.
- USA 2014.
- Lucky Red
uscita giovedì 1 gennaio 2015.
MYMONETRO
Big Eyes
valutazione media:
3,18
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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"Un'invasione degli ultracorpi affettiva" ***1/2di KillBillvol2Feedback: 351 | altri commenti e recensioni di KillBillvol2 |
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martedì 3 marzo 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
All'inizio de Il Dormiglione, bellissimo e divertentissimo slapstick di Woody Allen, il personaggio di Diane Keaton dà una festa in un futuro alienato e distopico quando uno degli invitati porta un quadro. Un ritratto strano, raffigurante una bambina dagli occhi enormi e sproporzionati. "Non ci credo, un Keane originale!" urla l'ignorante Keaton. Per il genio di New York, tra duecento anni non sapremo più chi siano stati Nixon o Stalin, ma i quadri di Margaret Keane saranno ancora venduti e apprezzati. Tim Burton, grande estimatore dell'opera della pittrice e suo amico, ha deciso di trasporre sul grande schermo la grande frode che si celava dietro il viso angelico di MDH: Walter Keane, il marito, si era attribuito la paternità di tutte le opere, di ogni grande occhio. E una domanda è sulla bocca di tutti: perché un regista come Tim Burton ha deciso di girare un film su una storia vera che di "burtoniano" ha poco o niente? Infatti, Ed Wood, altro meraviglioso biopic girato dal regista di Burbank a metà degli anni Novanta e scritto dagli stessi sceneggiatori di Big Eyes, aveva molte più possibilità e occasioni di sfruttare e mettere in mostra il talento visionario di un regista a suo modo rivoluzionario, nonostante la genesi dell'opera fosse, come in questo caso, prettamente sentimentale (Burton adorava le pellicole di Edward J. Wood Jr). Probabilmente, Big Eyes è l'A Dangerous Method (altro bellissimo film odiato senza motivo da tutti, fan e detrattori di Cronenberg) di Burton. Perché, quando tutto rischiava fin troppo di cadere nel manierismo (secondo me no, ma cercherò di essere il meno soggettivo possibile) più becero e, citando FilmTV, "nel continuo ripetersi dello schema Burton", quando la linfa vitale sembrava essersi estinta per sempre, quando per sfornare un'altra pellicola si era andati a ripescare nel passato recondito (badate, il sottoscritto considera Frankenweenie un film bellissimo, ma cerchiamo di continuare nel modo più asettico possibile), ecco approdare nelle sale un film all'apparenza totalmente estraneo alla filmografia del regista, completamente fuori dagli schemi forse un po' stantii che erano stati stabiliti all'inizio degli anni Novanta. Big Eyes è l'ennesima dimostrazione (per chi ne avesse bisogno) del talento di un immenso regista che ha confermato di saper gestire un dramma umanissimo alla perfezione, senza aver bisogno di un pallido Johnny Depp. Dopo Big Fish un nuovo "grande" titolo, una nuova tragedia reale e plausibile, uno scontro di coppia come recentemente abbiamo visto al cinema nel bellissimo Gone Girl di David Fincher, solo con i caratteri invertiti: qui l'orco (come si autodefinisce nella lunga sequenza del processo) è lui, un Christoph Waltz perennemente e, a tratti, stancamente sopra le righe, il mostro cattivo che adesca una Cappuccetto Rosso indifesa e credulona, ma, come ogni eroina che si rispetti, combattiva e ribelle, sfaccettature approfondite grazie a un'immensa Amy Adams, la cui dolcezza e ingenuità fa quasi paura. Una fiaba a lieto fine, piena dei colori che hanno contraddistinto i paradisi fittizi delle favole nerissime del regista, uno dei pochi a Hollywood degno del nome di autore. Autore che si mostra anche qui, in poche e (fin troppo) sfuggevoli sequenze, ma una su tutte coglie l'attenzione: nel finale, Margaret scappa con la figlia in macchina, piangendo, e le lacrime le rovinano il trucco, fino a crearle dei grandi occhi, come quelli dei suoi quadri. E' solo qui che l'artista diventa l'arte che ha creato e non nelle visioni precedenti (anch'esse Burtoniane) o negli affascinanti dialoghi sulla paternità o meno di un'opera (Keane è stato il primo a mettere in piedi una vera e propria Factory, come sarà poi quella di Andy Warhol). E' vero che si poteva osare di più, si poteva calcare di più la mano sulla provata Amy Adams che si aggira sfinita per un super-market vedendo chiunque con i SUOI enormi occhi, ma questo è un Burton controllato, che si trattiene in ogni modo e riesce a imbastire una regia perfetta (guardare la stupenda pausa tra la domanda "Chi è l'artista?" e la decisione se a rispondere debba essere Walter o Margaret) senza alcun fronzolo o virtuosismo. E molti si chiederanno: ma questo è ancora Burton? Certo: è un Burton che ha voluto dimostrare di saper realizzare un film diverso dai suoi soliti lavori (se non completamente estraneo: sulla carta, l'le uniche cose nelle corde del regista sono i quadri della protagonista), senza perdersi per strada e mostrando a tratti la sua presenza dietro la macchina da presa. L'operazione è riuscita? In pieno.
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