La gran parte dei film che mettono in scena un futuro in cui la morte viene spettacolarizzata o i giochi di sangue inseguono l'audience, sono profondamente moralisti. La televisione, data per morta ormai quasi quanto il cinema, deve avere una scorza bella dura se già nel 1965 Elio Petri ne condannava le possibili derive (La decima vittima, tratto del resto da Robert Sheckley) e ancora nel 2013 siamo attratti nella ragnatela avventurosa di un talent show all'ultimo sangue, nella saga tratta dai libri di Suzanne Collins.
Ormai sepolto Twilight con le sue stucchevoli metafore adolescenziali, Hunger Games si presenta oggi assai più attrezzato nell'impattare l'immaginario di un pubblico teen ager e nel farsi apprezzare anche dalle barbe più bianche della critica accademica (molto affascinata, e giustamente, dal profluvio di simboli e riferimenti culturali, talvolta involontari, dei film della serie). Basti pensare al rapporto tra cinema e moda, che viene rappresentato in un corto circuito affascinante con la prefigurata dittatura postmoderna, dove nello spettacolo gladiatorio vi è una (parziale) libertà di inventiva stilistica mentre nei distretti e nell'iconografia del potere regna al solito il monumentalismo più squadrato.
O si ragioni anche sulla figura femminile incarnata da Katniss, da una parte protettrice e aruspice della libertà (la ghiandaia) e dall'altro icona pop tutto sommato soddisfatta di sé: una protagonista che potrebbe qualsiasi cosa, assopire il popolo con l'oppio della fama o al contrario sollevarlo con la disobbedienza del comportamento. In questo senso, le imperfezioni fisiche di Jennifer Lawrence, le sue forme morbide e il volto paffuto, innescano ovvie (ma consolanti) sintonie di identificazione. Dall'impacciata e un po' "emo" Bella, alla volitiva, femminea, abile ma spaventata Katniss. Un passo in avanti. Tornando, però, al tema iniziale, siamo completamente all'interno di un immaginario di natura televisiva. Se è vero che anche Francis Lawrence, armonizzandosi allo spirito dei romanzi, tende alla demonizzazione dello spettacolo mediale (difficile parlare ancora di piccoli schermi, caso mai di ologrammi da scrivania o da salotto), dall'altra tutta la materia epica del racconto nasce dalle formule del talent. A conferma che molto cinema fantastico di oggi insegue il modello di genere survival (Gravity o After Earth per citarne altri due recenti), Katniss e gli alleati sono alle prese con un mondo iconografico già mediatizzato dalla televisione, questo mezzo che pareva dover soccombere di fronte ai più rapidi e liquidi mezzi di informazione digitale e che invece ha mostrato una capacità di adattamento ai new media a dir poco sorprendente.
Ecco allora che dobbiamo allargare la prospettiva. Inutile elencare i film che hanno preceduto Hunger Games - e allora Rollerball, L'implacabile, Serie 7, Gamer, Live! - Ascolti record al primo colpo e così via... - meglio piuttosto notarne via via le trasformazioni interne, dall'idea di "blood sport" al concetto ancora rigido di reality show, per arrivare infine al meccanismo di X-Factor applicato alla fantascienza. Non solo infatti i concorrenti devono distruggersi l'un l'altro, ma gli autori (qui "strateghi") intervengono, plasmano, inventano varianti, modificano la scenografia, giocano demiurgicamente con il programma, e così via. Insomma, meglio non uscire esaltati da Hunger Games - La ragazza di fuoco ebbri di futura rivolta, perché se ci siamo esaltati nella caccia è perché questo è un talent e noi siamo spettatori deliziosamente presi all'amo.