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Lanterna Verde, la costruzione della tuta anatomica

Studi e progetti per vestire Reynolds come richiesto da fan e produzione.
di Gabriele Niola

In foto Ryan Reynolds, protagonista del film Lanterna Verde di Martin Campbell.
Ryan Reynolds (Ryan Rodney Reynolds) (47 anni) 23 ottobre 1976, Vancouver (Canada) - Scorpione. Interpreta Hal Jordan / Lanterna Verde nel film di Martin Campbell Lanterna Verde.

mercoledì 31 agosto 2011 - Making Of

Ci sono gli effetti speciali digitali dei film d’azione, quelli dei film di fantascienza e poi ci sono gli effetti speciali dei film tratti da fumetti, che sono tutta un’altra storia. Settore in grande espansione ma incubo di qualsiasi studio perchè richiedenti di un livello di dettaglio e maniacalità completamente diversi.
Se infatti per un film normale occorre “inventare” dinamiche ex novo, potendo spaziare con la fantasia e se occorre semplificare certi passaggi, nei film tratti da fumetti occorre replicare qualcosa che già è stato disegnato e senza sbagliare nulla, perchè ad essere soddisfatti non devono essere solo regista e produzione ma soprattutto i fan, il pubblico più esigente possibile. L'attenzione quindi si sposta verso una maniacale e pedissequa replica delle più minute funzionalità e caratteristiche estetiche del modello di provenienza.
Con questa mentalità la Sony Imageworks si è avvicinata alla tuta anatomica virtualmente "calzata" da Ryan Reynolds in Lanterna Verde, una replica a tutti gli effetti del corpo dell'attore che doveva muoversi con lui e come lui, oltre a risplendere "di una luce che fosse sinonimo di energia ma diversa da quella elettrica e dal fuoco", come era stato chiesto a Jim Berney, il capo progetto Sony.

Innanzitutto lo studio
Per affrontare un compito del genere si parte da uno studio della logistica e delle dinamiche che dovranno reggere tutto il funzionamento del risultato finale.
Serviva dunque uno strato esteriore al corpo che ne replicasse la parte interiore (tessuti e muscolatura) oltre ad un ulteriore strato sopra di esso per l'illuminazione. Tutto a partire, ovviamente dal simbolo sul petto, fonte di luce, energia e colore.
Individuate le dinamiche chiave occorre tenere presente che queste non rimangono costanti. Ci sono diverse intensità a seconda di cosa stia facendo il personaggio. Quando è in modalità "stand by" la luce segue determinati percorsi attraverso il corpo, quando si attiva e combatte ne segue altri, quando vola, altri ancora e infine si raggiunge il massimo del dinamismo e dell'accumulo energetico quando è in procinto di generare un oggetto attraverso l'anello.
Infine l’energia che si sposta lungo il corpo doveva seguire iterazioni e percorsi non ortodossi e possibilmente diversi da qualsiasi modello in materia come ad esempio i circuiti integrati.
Roba da niente.

Tutto parte dal collo
Nel risultato finale tutto il corpo di Ryan Reynolds è coperto dalla tuta eccetto la testa e il collo, dunque proprio da quest’ultimo la Sony Imageworks ha deciso di partire per cominciare a stabilire movimenti e “priorità”. Le priorità sono quei movimenti che ne determinano altri, come la spalla che muovendosi causerà anche conseguenti movimenti nel braccio.
Dunque i primi rilevatori di movimento, ovvero i puntini applicati sulla pelle che registrano i movimenti muscolari, sono stati applicati proprio sul collo dell’attore durante le riprese in questione.
Ma il risultato non è stato solo frutto di un attento motion capture, gli effetti speciali ben riusciti non sono mai la diretta conseguenza di un lavoro del computer. La difficile combinazione di un corpo digitale su una testa reale che sembrassero tutt’uno ha richiesto ben più di una correzione a mano, ovvero deformazioni della struttura primaria per poter seguire con maggiore efficienza i movimenti in modo da sembrare sempre naturale. Insomma piccoli ritocchi disegnati.
A questo è stato poi sovrapposto il secondo livello d’effettistica ovvero la luce. Si tratta proprio di due lavorazioni differenti, nel primo caso era una questione di movimenti, nel secondo di illuminazione. Questo ha consentito a due reparti di lavorare separatamente e poi unire i risultati. Il reparto “luce” infatti doveva risolvere i problemi di circolazione dell’energia lungo il corpo, la sua apparenza aliena e la gestione dell’intensità dello splendore verde nei differenti momenti del film.
Ancora una volta però per arrivare al successo non è bastato prendere e chiedere al computer di fare un lavoro umano. Come spesso accade per raggiungere risultati inediti servono strumenti inediti e dunque Sony si è appoggiata ad un software proprietario sviluppato da lei stessa e chiamato Arnold. Il software ha premesso, invece di immettere dati e calcolare le ombre, di spostare i punti luminosi come fossero lampadine attaccate al corpo, la direzione della luce era di volta in volta determinata a mano.

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