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wbgraphic
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giovedì 20 gennaio 2011
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raccontare la vita attraverso la morte
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E già bello il titolo, che nasconde quel che e cosi difficile da dire, dire che siamo soli, cosi bisognosi di empatia, mendicanti soggiogati dalle apparenze, eppure non è sempre stato cosi, ma oggi ecco il grido di Eastwood, a 80 anni si e consapevoli del prezioso dono che ci viene fatto, di quanto dimentichiamo le opportunità che abbiamo. Con poesia e delicatezza Clint ci parla della morte, per parlarci della vita, ormai siamo cosi oberati da emozioni forti che ci vengono dai media che non riusciamo più a empatizare con chi ci è vicino, con chi desideriamo.
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E già bello il titolo, che nasconde quel che e cosi difficile da dire, dire che siamo soli, cosi bisognosi di empatia, mendicanti soggiogati dalle apparenze, eppure non è sempre stato cosi, ma oggi ecco il grido di Eastwood, a 80 anni si e consapevoli del prezioso dono che ci viene fatto, di quanto dimentichiamo le opportunità che abbiamo. Con poesia e delicatezza Clint ci parla della morte, per parlarci della vita, ormai siamo cosi oberati da emozioni forti che ci vengono dai media che non riusciamo più a empatizare con chi ci è vicino, con chi desideriamo. Le drammatiche solitudine dei personaggi, non determinate da un cliche, ma ognuna da una diversa e unica realtà, I personaggi , tutti giovani vengono prematuramente a contatto con la morte, ognuno in modo diverso, e violento, crudele, ma è solo cosi che Clint ci puo scuoter per aprire gli occhi ai protagonisti, urlando con voce lieve un messaggio che diverrà chiaro solo con gli anni, ma che se ascoltato prima accrescerà quello che unico è proprio a tutta la razza degli uomini. Clint riesce a abbracciarci ricordarci di ricercare negli altri la comprensione della nostra Umanità il vero senso della nostra partecipazione a questo tempo. Eastwood come un padre, o come un filosofo ci sfiora elegantemente con immagini, dosate elegantemente per penetrare, la furia a cui siamo sottoposti di una realtà cosi terribilmente cruda è inumana, prendendoci per mano come un saggio nonno ci racconta la favola della vita, catturando la nostra attenzione attraverso le nostra primitive insicurezze. Grazie Clint Walter Buonfino Se badi bene, la maggior parte della vita ci sfugge nel male, una gran parte nel non fare nulla, tutta quanta nel fare altro da quello che dovremmo. Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo e alla sua giornata, e si renda conto com'egli muoia giorno per giorno ? (Seneca)3 a.c.
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dado1987
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martedì 1 marzo 2011
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il paranormale è defunto.
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Tre storie parallele: un sensitivo che riesce ad entrare in contatto con i defunti, una giornalista francese che ha vissuto un'esperienza di quasi morte, ed un bambino inglese a cui è morto il fratello gemello. Fondamentalmente non succede niente, Hereafter invece che essere uno tsunami è un esile sassolino lasciato cadere in un bicchiere mezzo vuoto.
Forse per poter apprezzare meglio questo film, bisognerebbe essere dei credenti in qualsiasi religione, per tutti gli altri con gli occhi aperti questo film sembrerà realistico come Harry Potter, Superman o i Puffi. Infatti non viene spiegato niente sull'aldilà, d'altronde non riescono a dimostrarne l'esistenza nel mondo reale, figuriamoci in un mondo di finzione.
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Tre storie parallele: un sensitivo che riesce ad entrare in contatto con i defunti, una giornalista francese che ha vissuto un'esperienza di quasi morte, ed un bambino inglese a cui è morto il fratello gemello. Fondamentalmente non succede niente, Hereafter invece che essere uno tsunami è un esile sassolino lasciato cadere in un bicchiere mezzo vuoto.
Forse per poter apprezzare meglio questo film, bisognerebbe essere dei credenti in qualsiasi religione, per tutti gli altri con gli occhi aperti questo film sembrerà realistico come Harry Potter, Superman o i Puffi. Infatti non viene spiegato niente sull'aldilà, d'altronde non riescono a dimostrarne l'esistenza nel mondo reale, figuriamoci in un mondo di finzione...
Film di cui se ne poteva tranquillamente fare a meno, un passo falso del grandissimo Clint, Hereafter è decisamente sotto la media dei suoi film. Il paranormale ha veramente rotto le scatole, non porta niente di nuovo, ma sempre la stessa minestra riscaldata, che barba!
Voto 4,5
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taxidriver
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venerdì 4 novembre 2011
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oltre la morte
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Clint ci stupisce ancora una volta. Dopo Gran Torino, realizza un altro grande film, addirittura superiore a quest'ultimo. Lo sguardo di Eastwood, pur essendo quasi totalmente descrittivo e privo di moralismi, riesce ad essere penetrante e allo stesso tempo delicato più di qualsiasi lezione morale. Cinema scarno ed essenziale, narrato con maestria e grandissimo pathos. A Clint bastano poche inquadrature azzeccate, sguardi emblematici, dialoghi brevi, sequenze disposte ad arte, per essere profondo come pochi. Ma l'intreccio fra le storie, i personaggi, i luoghi, coinvolge e stupisce, nonostante Clint non cerchi a tutti i costi l'effetto-shock, la suspence; eppure nel film succedono cose enormi, gravi, spaventose.
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Clint ci stupisce ancora una volta. Dopo Gran Torino, realizza un altro grande film, addirittura superiore a quest'ultimo. Lo sguardo di Eastwood, pur essendo quasi totalmente descrittivo e privo di moralismi, riesce ad essere penetrante e allo stesso tempo delicato più di qualsiasi lezione morale. Cinema scarno ed essenziale, narrato con maestria e grandissimo pathos. A Clint bastano poche inquadrature azzeccate, sguardi emblematici, dialoghi brevi, sequenze disposte ad arte, per essere profondo come pochi. Ma l'intreccio fra le storie, i personaggi, i luoghi, coinvolge e stupisce, nonostante Clint non cerchi a tutti i costi l'effetto-shock, la suspence; eppure nel film succedono cose enormi, gravi, spaventose. Ma non perde mai la bussola, e riesce ogni volta a trasformare il dramma, a elaborare il lutto dei personaggi insieme allo spettatore. Forse perchè nell'aldilà c'è un'altra vita, come sa bene il bravissimo Matt Damon, e come ha potuto constatare personalmente anche Cècile De France. Ma ne siamo così sicuri, poi? oppure, forse, alle persone basta crederlo, basta credere che da qualche parte i loro cari defunti siano ancora in vita.
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fabio57
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venerdì 23 ottobre 2015
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duro e asciutto
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Eastwood ancora una volta riesce a sorprenderci,il film è insolito,affascinante e angosciante.Il più grande tema che l'uomo ha mai preso in esame, viene qui proposto in una prospettiva originale,spirituale ma non religiosa in senso stretto, tuttavia difficile, ostica.Il lavoro è discontinuo, ma con un suo rigore stilistico.Matt damon scopre una nuova dimensione di attore,niente action ma profonde riflessioni.
Lo spettatore è spiazzato e come è giusto che sia, si ritrova senza risposte ma con più dubbi di prima.
Da vedere
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massimo allegri
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venerdì 7 gennaio 2011
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hereafter: gran bel film, assolutamente da vedere
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Un buon film ti fa riconoscere luoghi del cuore o della mente in cui sei stato. Un capolavoro come questo ti fa ri-conoscere luoghi e "non luoghi come l'aldilà". Il tutto senza retorica, suggestioni di tipo filosofico-religioso, preconcetti culturali, éscamotages metafisici. Hereafter è un fiume che scorre a volte lento, ma sempre maestoso. I tre protagonisti George, Marcus e Marie, continuano a vivere di vita propria anche il giorno successivo alla visione: segno che lo speciale osservatorio dato dall'età di Clint, insieme allo script di Peter Morgan ha prodotto delle vere emozioni in grado di toccarci dentro.
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Un buon film ti fa riconoscere luoghi del cuore o della mente in cui sei stato. Un capolavoro come questo ti fa ri-conoscere luoghi e "non luoghi come l'aldilà". Il tutto senza retorica, suggestioni di tipo filosofico-religioso, preconcetti culturali, éscamotages metafisici. Hereafter è un fiume che scorre a volte lento, ma sempre maestoso. I tre protagonisti George, Marcus e Marie, continuano a vivere di vita propria anche il giorno successivo alla visione: segno che lo speciale osservatorio dato dall'età di Clint, insieme allo script di Peter Morgan ha prodotto delle vere emozioni in grado di toccarci dentro. Siamo al di là dei generi. Qui c'è qualcosa da dire e lo si dice. Assolutamente da vedere.
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davidestanzione
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sabato 8 gennaio 2011
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clint, ancora lui. classico e moderno. al di là.
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Non é un thriller, l'ultimo film di Clint Eastwood, non nell'accezione comune. Certo, se riconduciamo il termine alla radice inglese del verbo "to thrill" ("emozionare") probabilmente ci avviciniamo con più esattezza alla matrice profonda, intima e "grezza", dell'ultima perla eastwoodiana. Precisazione d'obbligo, sì, ma inutile. Perché Eastwood si conferma ancora una volta al di là. Dei generi, delle etichette, delle mode. Lui, Clint, (oggi) maestro assoluto e transgenere, la moda la seguiva (da giovane), eccome. Ma ora, giunto all'apice della maturità espressiva, ha come l'esigenza di sondare nuovi angoli di cinema, nuove pieghettature emozionali, nuove storie disposte a viaggiare sul confine sfumato e nebuloso tra vita e non vita.
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Non é un thriller, l'ultimo film di Clint Eastwood, non nell'accezione comune. Certo, se riconduciamo il termine alla radice inglese del verbo "to thrill" ("emozionare") probabilmente ci avviciniamo con più esattezza alla matrice profonda, intima e "grezza", dell'ultima perla eastwoodiana. Precisazione d'obbligo, sì, ma inutile. Perché Eastwood si conferma ancora una volta al di là. Dei generi, delle etichette, delle mode. Lui, Clint, (oggi) maestro assoluto e transgenere, la moda la seguiva (da giovane), eccome. Ma ora, giunto all'apice della maturità espressiva, ha come l'esigenza di sondare nuovi angoli di cinema, nuove pieghettature emozionali, nuove storie disposte a viaggiare sul confine sfumato e nebuloso tra vita e non vita. Tre distinte città (Londra, Parigi e soprattutto San Francisco, il selvaggio borgo natio di Clint) a incorniciare e includere tre personaggi diversi per estrazione ma uguali e intimamente vicini per astrazione (ultraterrena): il dodicenne Marcus, che ha perso il gemello Jason per una tragica fatalità; la giornalista francese Marie (la belga Cecile de France, col cognome a presagirne il ruolo nel film della consacrazione extraeuropea), scampata allo tsunami del 2004; e il sensitivo riluttante Matt Damon, che vive il suo "dono" come una condanna e gli preferisce un placida malretribuzione operaia. Tre fantasmi dickensiani, distanti dal pragmatismo umano e dal "materialismo tragico" shakesperiano, accomunati da un'unica comune, riecheggiante esperienza: il contatto con l'al di là, col post mortem, col dopo di qui, a voler riprodurre i misteriosi e magnetici effluvi del titolo originale. Eastwood sceglie l'intreccio corale scritto da Peter Morgan per travalicare l'ultimo grande limite della sua carriera. E lo fa con l'accorata discrezione di un intimismo che da un po' di tempo a questa parte lo caratterizza. Non si lascia sedurre dalla smaccata e talvolta grossolana coralità contemporanea (Arriaga, Inarritu, il P.T. Anderson di Magnolia) e riannoda i fili dell'intreccio solo alla fine, con austero rigore e immenso tatto, emotivo, attoriale, autoriale. I suoi occhi azzurri scoloriti dal tempo ma rilucenti di sconfinata sensibilità sembrano essere l'involucro propizio e più adatto, per l'annidamento di una simile storia, in cui l'umanità pistolera e sanguigna di un tempo sfuma, per lasciar posto ai dubbi, alle ombre grigiastre, agli interrogativi sfuggenti che ci accomunano (tutti). Domande a cui Eastwood ovviamente non risponde ma che si limita a suscitare, lasciando che sia un ragazzino (Marcus) a scuotere la testa al suo posto dinanzi a un monitor e proiettando i suoi fantasmi dickensiani in un futuro non meglio definito ma di sicuro interrogativo, risoluto più che risolutivo. Eastwood minore? No. Il corso di cucina italiana può sembrare un pallido omaggio leoniano e far incrostare un arcaico sorriso di circostanza sulle labbra di qualcuno, ma provate a guardare l'uso delle luci che non ha nulla da invidiare a Million Dollar Baby o a Mystic River, la naturalezza di molti ciak zero, la scena in cui il sensitivo Damon incontra il piccolo Marcus: una sequenza impeccabile per costruzione dell'inquadratura (quei volti, illuminati a metà) e memorabile tanto quanto lo tsunami ricreato digitalmente dalla Scanline VFX. L'ambientazione francese appare sì sballottata rispetto ai canoni paesaggisti eastwoodiani ma é tratteggiata con verità e decoro, oltre che sottotitolata alla maniera di Lettere da Iwo Jima. Eastwood è l’ultimo, immenso baluardo di un cinema classico cui si sovrappone con disarmante naturalezza il moderno. E lo sapevamo.
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pipay
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sabato 8 gennaio 2011
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la vita, sempre la vita
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Clint Eastwood, in questo film, si è addentrato in un vero e proprio "campo minato" che ha portato spesso al completo insuccesso film e registi di ogni paese. Ma Clint è Clint. E solo lui poteva affrontare senza cedimenti, senza retorica e senza esiti ridicoli o discutibili problematiche riguardanti l'aldilà, le percezioni extrasensoriali, le visioni, il mistero della vita dopo la vita. Il film, infatti, nelle diverse sfumature rimane sempre perfettamente ancorato alla realtà, ai fatti concreti che possono anche sconvolgere un'esistenza, con la consapevolezza che l'uomo cerca sempre una spiegazione irrazionale e anche trascendente. E a questa spesso si aggrappa per sopravvivere, a prescindere dalla religione, a prescindere dal credere o non credere.
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Clint Eastwood, in questo film, si è addentrato in un vero e proprio "campo minato" che ha portato spesso al completo insuccesso film e registi di ogni paese. Ma Clint è Clint. E solo lui poteva affrontare senza cedimenti, senza retorica e senza esiti ridicoli o discutibili problematiche riguardanti l'aldilà, le percezioni extrasensoriali, le visioni, il mistero della vita dopo la vita. Il film, infatti, nelle diverse sfumature rimane sempre perfettamente ancorato alla realtà, ai fatti concreti che possono anche sconvolgere un'esistenza, con la consapevolezza che l'uomo cerca sempre una spiegazione irrazionale e anche trascendente. E a questa spesso si aggrappa per sopravvivere, a prescindere dalla religione, a prescindere dal credere o non credere. Film concreto, dunque, diretto con mano ferma e in modo eccellente. Ottimo anche il commento musicale, dello stesso Eastwood (anche se certi passaggi, magnifici, al pianoforte, ricalcano fortemente brani classici già sentiti). "Hereafter" è la conferma - se mai ce ne fosse bisogno - che ogni film di Clint Eastwood ci arricchisce e ci rimane nel cuore e nella mente.
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bobdex
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lunedì 10 gennaio 2011
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clint riflette
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Clint riflette e fa riflettere attraverso un argomento delicato, sul quale si poteva facilmente scadere sul banale. La morte, l'aldilà. Senza fare troppi giri di parole, io che mi ritengo ateo e che personalmente non credo in un aldilà ma solo in un aldiquà, ho comunque apprezzato le riflessioni proposte dal regista, che secondo me vertono più sull'esperienza della vita che su quella della morte. Le descrizioni dei personaggi, soli e incompresi, dei loro pensieri che troppo spesso si rifanno all'idea della fine, rappresentano un messaggio che incita alla vita. Per esempio come accade nella seduta finale di George a Marcus. Tramite il fratellino defunto, George riuscirà a dare più forza, più voglia di vivere a Marcus.
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Clint riflette e fa riflettere attraverso un argomento delicato, sul quale si poteva facilmente scadere sul banale. La morte, l'aldilà. Senza fare troppi giri di parole, io che mi ritengo ateo e che personalmente non credo in un aldilà ma solo in un aldiquà, ho comunque apprezzato le riflessioni proposte dal regista, che secondo me vertono più sull'esperienza della vita che su quella della morte. Le descrizioni dei personaggi, soli e incompresi, dei loro pensieri che troppo spesso si rifanno all'idea della fine, rappresentano un messaggio che incita alla vita. Per esempio come accade nella seduta finale di George a Marcus. Tramite il fratellino defunto, George riuscirà a dare più forza, più voglia di vivere a Marcus. Da apprezzare inoltre, quel velo di mistero che Clint ci lascia a fine film, come un soffice tocco di un dubbio su cosa davvero può esserci dopo la morte, con una sola certezza: prima di guardare verso la fine, e riempire la propria vita di dubbi, meglio guardare alla vita.
Straordinario poi l'effetto Tsunami a inizio film, di grande impatto la scena della morte del gemello di Marcus, e ancora una volta una magnifica e leggiadra colonna sonora. Grazie Clint!
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gianmarco.diroma
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lunedì 10 gennaio 2011
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al di là della vita
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Al di là della vita è il titolo con cui è stato distribuito in Italia Bringing out the Dead (letteralmente portare alla luce la morte) di Martin Scorsese: con lo stesso titolo potrebbe essere stato tradotto anche l'ultima fatica dell'ottantenne Clint Eastwood, il quale, dopo aver salutato la sua carriera di attore con Gran Torino, qui affronta un tema che sembra farglisi vicino: il tema della morte e della paura che suscita nell'uomo. Ma non nell'uomo in generale, bensì in quel tipo di uomo, sfacciatamente razionale, ancorato al dato empirico, incapace di parlare o credere in qualsiasi cosa di cui non vi sia prova concreta. Costruendo una storia intorno a tre personaggi che si muovono in tre punti diversi del globo, Eastwood, in maniera molto più convincente rispetto ad un regista eccessivamente narciso come Alejandro González Iñárritu, riesce a parlarci di piccole sfumature, leggere energie che legano un luogo ad un altro, che spingono la storia di un uomo, di una donna, di un bambino, insomma di tre personaggi ad incontrarsi ed incrociarsi.
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Al di là della vita è il titolo con cui è stato distribuito in Italia Bringing out the Dead (letteralmente portare alla luce la morte) di Martin Scorsese: con lo stesso titolo potrebbe essere stato tradotto anche l'ultima fatica dell'ottantenne Clint Eastwood, il quale, dopo aver salutato la sua carriera di attore con Gran Torino, qui affronta un tema che sembra farglisi vicino: il tema della morte e della paura che suscita nell'uomo. Ma non nell'uomo in generale, bensì in quel tipo di uomo, sfacciatamente razionale, ancorato al dato empirico, incapace di parlare o credere in qualsiasi cosa di cui non vi sia prova concreta. Costruendo una storia intorno a tre personaggi che si muovono in tre punti diversi del globo, Eastwood, in maniera molto più convincente rispetto ad un regista eccessivamente narciso come Alejandro González Iñárritu, riesce a parlarci di piccole sfumature, leggere energie che legano un luogo ad un altro, che spingono la storia di un uomo, di una donna, di un bambino, insomma di tre personaggi ad incontrarsi ed incrociarsi. Per esempio la passione letteraria di George Lonegan è Charles Dickens, uno dei massimi esponenti del romanzo sociale: ma non è forse un romanzo sociale quello che caratterizza la storia del piccolo e sfortunato Marcus? Che sia proprio la passione per Charles Dickens a spingere George verso Londra, verso Marcus? E poi c'è Marie, la cui storia non può essere raccontata in una terra come quella francese, dove lo spazio dell'impegno politico inonda come uno tsunami qualsiasi altra possibilità di espressione, a differenza di una cultura come quella inglese o quella americana, capaci invece di guardare senza blocchi ideologici agli sfoghi più intimi e segreti di una persona. La Francia sembra quasi uscirne come massimo emblema di un Vecchio Continente incapace di liberarsi di obsoleti schemi di cui invece l'America dimostra di non curarsi. A fare da ponte l'Inghilterra, una sorta di luogo di transito delle anime dal Vecchio al Nuovo Continente; ed è in questa terra di transito, in questo crocevia delle anime che George, Marie e Marcus intersecano le loro strade. Nel corso di una Fiera del libro, quasi a sottolineare non tanto il potere salvifico della scrittura, quanto la capacità dell'arte in generale di esprimere al massimo grado l'immenso valore che assume l'esistenza umana proprio nel suo essere transitoria (si veda la scena del cappello di Marcus che Jason fa volare via nella metropolitana di Londra per salvargli la vita).
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toro sgualcito
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mercoledì 12 gennaio 2011
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la rete di hereafter
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Il soggetto del film è ad alto rischio di banalizzazioni e inoltre commercialmente è un tema forte perché il mistero com’è noto attira molte persone e questo aggiunge ulteriori pericoli di ritrovarsi in una rete per ampie platee. Bene, cosa è successo allora? E’ successo che dal suo Hereafter il capitano Eastwood ha calato una rete bella grossa segno evidente che l’obbiettivo della pesca non erano le perle. Il film tratta il tema dell’Aldilà, cioè quello che potrebbe esserci dopo la morte e per parlarci di questo Hereafter ci mostra tre personaggi che vivono in tre nazioni differenti, le cui vite giungeranno ad incrociarsi a Londra. Una è la vita di George (Matt Damon) che è un sensitivo e che vorrebbe smettere di farlo.
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Il soggetto del film è ad alto rischio di banalizzazioni e inoltre commercialmente è un tema forte perché il mistero com’è noto attira molte persone e questo aggiunge ulteriori pericoli di ritrovarsi in una rete per ampie platee. Bene, cosa è successo allora? E’ successo che dal suo Hereafter il capitano Eastwood ha calato una rete bella grossa segno evidente che l’obbiettivo della pesca non erano le perle. Il film tratta il tema dell’Aldilà, cioè quello che potrebbe esserci dopo la morte e per parlarci di questo Hereafter ci mostra tre personaggi che vivono in tre nazioni differenti, le cui vite giungeranno ad incrociarsi a Londra. Una è la vita di George (Matt Damon) che è un sensitivo e che vorrebbe smettere di farlo. Un’altra è quella di Marie (Cécile De France), una giornalista che vuole scrivere un libro sulle esperienze di persone che hanno “vissuto” momenti di morte e l’ultima è quella di Marcus (George McLaren) un bambino ferito presto dalla vita e reso ostinato da un suo bisogno molto importante. La storia purtroppo rimane molto “meccanica” e schiacciata da parecchi cliché ma il girato è sempre di buon livello: adeguati gli attori, buona la fotografia, musica non originale ma dignitosa e puntuale. Tutto piuttosto giusto e anche troppo. Il buon Eastwood poi, a modo suo, non rinuncia alla predilezione per il sociale. Infatti due dei tre personaggi principali appartengono alla lower class: George sceglie di fare l’operaio e Marcus è figlio di una tossicodipendente. Il film sfiora anche il tema dei licenziamenti per la crisi economica e ci dà un’immagine positiva dei servizi sociali londinesi. Però questo non basta e Hereafter rimane un film piuttosto piatto. Ci sono anche momenti emozionanti ma sono più il frutto di maneggiare bene il grande mestiere del cinema che di profondi coinvolgimenti negli eventi. Matt Damon poi m’è parso avere un range espressivo un po’ stretto, ma credo sia uno stile: quella sorta di mezzo broncio permanente alla Di Caprio. Un apparizione breve ma in qualche modo intensa è quella di Melanie (Bryce Dallas Howard). Insomma se capita di vederlo sconsiglio grandi aspettative. Eastwood sa fare film migliori.
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