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Lebanon: le guerre di Piero

Arriva in sala il vincitore della 66a Mostra del Cinema di Venezia.
di Marzia Gandolfi

Schermi di guerra

martedì 20 ottobre 2009 - Approfondimenti

Schermi di guerra
Da alcuni anni i film di guerra sembravano avere esaurito le proprie potenzialità artistiche e commerciali. Genere popolare, amato dal pubblico quanto poco considerato dalla critica, il war movie ha invece saputo fare i conti coi nuovi scenari internazionali, rinnovando i suoi codici linguistici, il temario affrontato e la sua iconografia. La produzione hollywoodiana e quella indipendente hanno allora riesumato e rilanciato il cinema bellico, aggiornandolo alla drammatica attualità e archiviando i conflitti più suggestivi, spettacolari e funzionali al genere: la Seconda Guerra Mondiale, la Corea e il Vietnam. Se Jarhead, Syriana, Redacted e In the Valley of Elah hanno provato a fare il punto sulla guerra in Iraq a partire dai disordini della personalità e dai traumi dei soldati, Lebanon riflette, rinchiuso dentro un carro armato, sulla Prima Guerra del Libano e su un gruppo di militari di leva allo sbaraglio. Con una versione personalissima, che esprime di volta in volta strategie espressive differenti ma un'identica angolazione ideologica, i nuovi registi del war movie raccontano la follia della guerra, interrogando il proprio Paese e riflettendo sui nuovi conflitti e sulle trasformazioni globali dell'informazione e della comunicazione, che stanno alterando l'immaginario collettivo. Il cinema neo-bellico americano e non esprime così la volontà di uscire dalle versioni ufficiali, redatte da interminabili dirette televisive e dagli altri mezzi di comunicazione di massa, e di fare chiarezza sulle meccaniche belliche e psicologiche gettate sugli occhi dei telespettatori. Samuel Maoz come Ari Folman e il suo animato Valzer con Bashir, è stato un soldato di leva sbattuto in guerra e in Libano dal proprio governo. Tormentati per trent'anni da incubi, ricordi e rimorsi, nei loro film provano a leggere la realtà in modo da rendere universale un'esperienza personale, una guerra fatta da giovani soldati che si rifiutano di sparare a degli sconosciuti e di morire per mano di sconosciuti. Perché la guerra è uccidere o essere uccisi.

Uomini contro, uomini dentro
Lebanon impone un'ulteriore riflessione sulla politica d'Israele e sulle conseguenze che questa ha sul suo stesso tessuto sociale ma riapre anche il discorso sui soldati e sulla quotidianità del fronte. Maoz carica un carro armato di esplosivo e giovani militari con molta paura e poco esperienza, rapportando un dramma collettivo alla coscienza individuale e mostrando l'impossibilità di sfuggire alle responsabilità, sia che si appartenga al fronte di guerra, sia che si assista al conflitto dalle retrovie. Dentro e fuori dal corazzato, a pagare il prezzo della costante aggressione nei confronti del mondo sono i civili dei Paesi aggrediti e i suoi stessi soldati, prima educati ai principi della democrazia e poi mandati a combattere sul piano e sul "campo" dell'ingiustizia. Samuel Maoz sceglie un punto di vista inedito e "intestino" pur restando ancorato alle forme del genere, war movie e impegno civile, giocando sulla recitazione di attori formidabili, sui loro volti e sui loro corpi, veicoli di emozioni e di un deragliamento emotivo progressivo. È attraverso l'occhio di un artigliere che non ha mai sparato e che rifiuta di farlo (idealmente prossimo al Piero deandreiano), che un mondo nuovo prende forma, dentro un campo di girasoli o di papaveri rossi.

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