Thriller,
durata 111 min.
- Gran Bretagna, USA, Francia, Austria, Germania, Italia 2007.
- Lucky Red
uscita venerdì 11luglio 2008.
- VM 14 -
MYMONETROFunny Games
valutazione media:
3,41
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Discreto remake di un film di alcuni anni fa dello stesso regista Haneke. Una versione potente, cattiva, cruda, un misto tra thriller, horror e crudeltà gratuite di ogni genere. Un film folle e delirante, illogico ma con punte di folgorante logicità per come è costruito. Attori eccellenti nelle rispettive parti (Pitt autentica sorpresa, Roth perfetto) e regia illuminata, anche se dall'originale non ci si è affatto discostati. Attenzione ad alcune scene che sono molto forti.
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Ottimo remake di Haneke del film del '97, il merito è tutto della straordinaria interpretazione degli attori, su tutti Peter e Paul che ricordano i drughi di Arancia Meccanica, ragazzi annoiati in cerca di violenza e divrtimento. E' uno di quei film che ti fa rimanere incollato alla poltrona, la tensione è alta, e proprio la lentezza del film contribuisce a far aumentare la suspance. Estenuante, col fiato sospeso fino alla fine sperando che la ricca famiglia riesca a salvarsi ma ogni tentativo di fuga è solo un ulteriore macabro gioco dei ragazzi. Molti si aspetteranno scene violente e horror in realta nessuna di queste scene verrà inquadrata, lasciando allo spettatore la fatica di immaginarsi cio che non si vede
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Campagna americana. La perfetta famiglia americana di successo giunge nella sua magione di villeggiatura con barca annessa per due settimane di vacanza. Ma le cose vanno un po' di traverso: una coppia di ragazzi psicopatici sbucati dal nulla trasformerà la vacanza in incubo.
Haneke gioca coi cliché del film horror. Programmaticamente e per partito preso, li stravolge, dissemina lungo tutto il film leziosismi meta-cinematografici, usa e abusa liberamente di espedienti (volontariamente grotteschi) per estrarre lo spettatore a forza dalle sue certezze.
Il risultato finale non è all'altezza. Spesso pretenzioso, incerto nei ritmi, a tratti lento fino all'esasperazione, il film risulta alla fine paradossalmente scontato (passati i primi 30 minuti e capite le intenzioni dell'autore) e certamente noioso.
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Campagna americana. La perfetta famiglia americana di successo giunge nella sua magione di villeggiatura con barca annessa per due settimane di vacanza. Ma le cose vanno un po' di traverso: una coppia di ragazzi psicopatici sbucati dal nulla trasformerà la vacanza in incubo.
Haneke gioca coi cliché del film horror. Programmaticamente e per partito preso, li stravolge, dissemina lungo tutto il film leziosismi meta-cinematografici, usa e abusa liberamente di espedienti (volontariamente grotteschi) per estrarre lo spettatore a forza dalle sue certezze.
Il risultato finale non è all'altezza. Spesso pretenzioso, incerto nei ritmi, a tratti lento fino all'esasperazione, il film risulta alla fine paradossalmente scontato (passati i primi 30 minuti e capite le intenzioni dell'autore) e certamente noioso. Sprecato Tim Roth, sprecatissima Naomi Watts.
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Non vorrei risultare antipatica facendo questa osservazione (ma sicuramente lo risulterò), però alla fin fine le previsioni mie e di quelli che la pensavano/pensano come me, si sono avverate: dopo mesi nessuno se lo ca*a più questo film! Altro che capolavoro assoluto che avrebbe cambiato la storia del cinema. A parte i copiosissimi giudizi negativi che leggo qua sotto (e che durano pagine!), è proprio l'impopolarità che regna! Se guardate forum di film come, appunto, il tanto citato "Arancia Meccanica" vedrete che ci sono commenti (positivi o meno) quasi ogni giorno. Questo film si è arenato qua e qua resterà... mi spiace, caro Haneke, ti è andata male anche stavolta! Per il 2017 cerca di girare un altro remake, - mi raccomando- identico, che abbia nel cast Shia LaBeauf, Scarlett Johansson e Zac Efron, poi convinci un Tarantino ormai imbiancato a produrti il film e ritenta, magari alla terza qualcuno ti noterà e ti conserverà un posto nell'Olimpo dei registi, finalmente.
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Non vorrei risultare antipatica facendo questa osservazione (ma sicuramente lo risulterò), però alla fin fine le previsioni mie e di quelli che la pensavano/pensano come me, si sono avverate: dopo mesi nessuno se lo ca*a più questo film! Altro che capolavoro assoluto che avrebbe cambiato la storia del cinema. A parte i copiosissimi giudizi negativi che leggo qua sotto (e che durano pagine!), è proprio l'impopolarità che regna! Se guardate forum di film come, appunto, il tanto citato "Arancia Meccanica" vedrete che ci sono commenti (positivi o meno) quasi ogni giorno. Questo film si è arenato qua e qua resterà... mi spiace, caro Haneke, ti è andata male anche stavolta! Per il 2017 cerca di girare un altro remake, - mi raccomando- identico, che abbia nel cast Shia LaBeauf, Scarlett Johansson e Zac Efron, poi convinci un Tarantino ormai imbiancato a produrti il film e ritenta, magari alla terza qualcuno ti noterà e ti conserverà un posto nell'Olimpo dei registi, finalmente. Speriamolo davvero, perchè un quinto o sesto remake non lo reggerei e se l'obiettivo è la notorietà a tutti i costi, meglio che arrivi in fretta.
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Si tratta di un film costruito con buona tecnica: scorrevole, di effetto (acuto il dosaggio delle scene), diligente fotografia, forti interpretazioni.
Ciò detto, è un una storia che sinceramente disgusta e provoca avversione per chi l’ha inventata.
Preoccupano le motivazioni di Haneke, nel tirar fuori certe iniziative “culturali”. Riesco a fare tre ipotesi.
La prima è che si voglia attrarre l’attenzione sulla violenza in quanto tale, per mostrarne l’aspetto orribile senza la zolletta di zucchero del lieto fine; quindi si spinge l’accelleratore nella strada della violenza per gioco, non solo terribile ma anche inutile e, per questo, folle.
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Si tratta di un film costruito con buona tecnica: scorrevole, di effetto (acuto il dosaggio delle scene), diligente fotografia, forti interpretazioni.
Ciò detto, è un una storia che sinceramente disgusta e provoca avversione per chi l’ha inventata.
Preoccupano le motivazioni di Haneke, nel tirar fuori certe iniziative “culturali”. Riesco a fare tre ipotesi.
La prima è che si voglia attrarre l’attenzione sulla violenza in quanto tale, per mostrarne l’aspetto orribile senza la zolletta di zucchero del lieto fine; quindi si spinge l’accelleratore nella strada della violenza per gioco, non solo terribile ma anche inutile e, per questo, folle. E qui il bravo Haneke commette un madornale errore, concettuale e concreto, e manda un messaggio del tutto sballato; perché altro è la violenza (minimo comune denominatore di tutta la storia della umanità, che tuttavia può avere diverse matrici e diverse dimensioni etiche, dai nazisti alla resistenza contro il nazismo) altro è la crudeltà, che non piace a nessuno e condannare la quale è scoprire l’acqua calda. Se il regista tenta paragoni provocatori fra le radici della crudeltà – quella dei protagonisti aggressori ( di “famiglia bene” e simbolicamente in guanti bianchi) e quella del “sistema” che ha espresso le vittime, sottintendendo che la prima è l’effetto perverso della seconda – opera una deduzione fine a se stessa, perché ogni società, non solo quella del benessere, produce delle variabili impazzite.
Una seconda ipotesi è che l’autore della trama abbia inteso aggredire lo spettatore, mortificando il suo senso morale con le efferatezze (dato costante in film del genere), ma privandolo del conforto del lieto fine. L’ipotesi è confermata dall’elemento ricorrente (in modo inesorabile, asfissiante) della jella che accompagna ogni tentativo delle vittime, pur ingegnoso e coraggioso, di sottrarsi alle torture ed alla morte. E quando finalmente i “buoni” sembrano prendere il sopravvento (la donna spara ed uccide uno degli assassini) ecco che l’altro assassino (cioè il regista che ci sta “educando” a dissociarci da certo genere di spettacolo) si impossessa di un surreale telecomando e manda indietro la scena del “reale”, cancellando il possibile lieto fine, cioè ciò che noi istintivamente vorremmo (è questa in fondo la scena chiave). In sostanza si vuole contrapporre alla dimensione dei vari film a cliché sull’argomento un meccanismo che, annullando la nemesi, educhi lo spettatore a gusti e riflessioni diverse; così si sorvola sulla considerazione che la nemesi (ipocrita, convenzionale ed acquietante quanto si voglia) è pur sempre necessaria a far inghiottire il prodotto. Ed un prodotto non inghiottito lo si sputa. A questo punto non si tratterebbe di un film, ma di un contro-film (tenace moda, assai datata, di certe “operazioni culturali”). C’è da chiedersi, allora come si permetta un tizio qualsiasi di aggredire gli altri, di concionare sui loro gusti manipolando le loro emozioni, di offendere l’altrui sensibilità. Se Haneke è libero di fare i film che vuole io sono padrone di disprezzare la prepotente arroganza di esprimere le sue idee sul cinema. E non voglio che nessuno si permetta di “educarmi” al genere di spettacolo che dice lui.
La terza ipotesi, forse la più convincente, è che il bravo Haneke abbia voluto puramente e semplicemente nel 2007 far molti soldi in America dopo averne fatti pochi in Europa dieci anni prima (si tratta di un remake di altro film dello stesso autore, che non ebbe significativo successo di pubblico). Anche un contro-film può sempre dar da mangiare (non briciole, ma bistecche) a chi lo ha fatto. Egli allora voleva far soltanto cassetta senza porsi interrogativi di alcun genere, se non quello di essere diverso e pertanto più gettonato. Spero che non abbia raggiunto il suo scopo.
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Ci sono fondamentalmente tre modi di accostarsi al problema della violenza. Il primo è quello della compassione e del dramma: vi rientrano i film "drammatici" tradizionali, ma anche i film thriller e horror "seri", che rappresentano in modo diretto le nostre paure più profonde. Il secondo è quello del gioco e dell'ironia, il quale (checché ne dicano i moralisti) è un modo per smitizzare e giocare con la parte più oscura di noi, con i nostri istinti aggressivi, funzionando come valvola di sfogo con un effetto catartico e (secondo me) positivo, sempre alla faccia dei moralisti. Tanto più positivo quanto controbilanciato dal primo modo, che ci riporta alla realtà e alla partecipazione umana alla violenza e al dolore.
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Ci sono fondamentalmente tre modi di accostarsi al problema della violenza. Il primo è quello della compassione e del dramma: vi rientrano i film "drammatici" tradizionali, ma anche i film thriller e horror "seri", che rappresentano in modo diretto le nostre paure più profonde. Il secondo è quello del gioco e dell'ironia, il quale (checché ne dicano i moralisti) è un modo per smitizzare e giocare con la parte più oscura di noi, con i nostri istinti aggressivi, funzionando come valvola di sfogo con un effetto catartico e (secondo me) positivo, sempre alla faccia dei moralisti. Tanto più positivo quanto controbilanciato dal primo modo, che ci riporta alla realtà e alla partecipazione umana alla violenza e al dolore. Vi rientrano i film splatter o pulp, i videogames stile GTA etc. Il terzo modo è invece quello dell'autocompiacimento sadico, dell'efferatezza gratuita ed "estetizzante", del voyeurismo pornografico fine a se stesso, di chi gode realmente della sofferenza altrui. Normalmente, persone sane di mente considerano questo terzo modo del tutto disgustoso e inopportuno, una manifestazione di mentalità distorte e criminali. Normalmente questo terzo modo dovrebbe avere molto poco a che vedere con l’arte e molto più con certi “bulli” che si divertono a riprendere con il cellulare le loro bravate, o il mondo degli snuff movies. Ma evidentemente, nei salotti radical chic di una cultura europea arrivata ormai alla canna del gas, nulla deve rimanere intentato nel disperato tentativo di coprire una penosa mancanza di idee, di valori, e di una seppur minima progettualità costruttiva nell’intendere il lavoro di un artista. Tutto può essere fatto, per “stupire” e per fare scandalo, unico modo ormai per farsi notare e per ricevere prestigiosi riconoscimenti “accademici”. Perché non nascondiamoci dietro un dito: è il terzo modo quello che sceglie Haneke per rappresentare la violenza. Il suo film non disturba affatto per la crudeltà dei suoi protagonisti o per le sofferenze inflitte alla povera famiglia vittima delle loro efferatezze. Il suo film disturba perché chi sta dietro la macchina da presa ha deciso di adottare deliberatamente lo stesso punto di vista degli aguzzini criminali, che godono a provocare sofferenza negli altri. La vittima di Haneke è lo spettatore, al quale viene propinato uno spettacolo sadico e fine a se stesso, per il puro gusto di vedere qual è il limite della sopportazione, godendo nel provocare disgusto. Non c’è alcuna compassione nel suo film, alcun dramma, né alcuna ironia. Haneke non “rappresenta” la crudeltà e la violenza: la mette in pratica. E la “vittima” di questa provocazione gratuita è la dignità stessa della sofferenza e del dolore umano. Quello che mi chiedo è se è necessario arrivare a tanto, per il puro e cinico gusto “estetizzante” della provocazione. Non sto affermando che Haneke abbia una mente sadica e criminale, ma è quasi peggio constatare a che punto si possa arrivare pur di “farsi notare dalla critica”. Tutte le scuse sulla “denuncia della violenza nei media” sono soltanto fregnacce: qua non c’è alcuna intenzione di denunciare niente. Haneke spara sentenze sulla solito “bombardamento” mediatico che spettacolarizza la violenza, e risponde a tutto questo creando la più volgare e la più pornografica delle spettacolarizzazioni. Veramente un ritratto desolante della nostra classe “intellettuale”.
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Il buon Haneke è il tipico "intellettuale" piccolo borghese che predica bene e razzola male. Allora analizziamo accuratamente il punto di partenza "ideologico" del film. Haneke parte dalla solita banalità che i media, i film americani e i videogames alla GTA spettacolarizzano la violenza e bla bla bla. Per contrastare tutto questo, a rigor di logica, Haneke dovrebbe confezionare un film denso di dramma, emozione e compassione per le vittime del massacro, rendendoci partecipi della loro sofferenza e ponendosi totalmente dalla loro parte. Tutt'al contrario: lui segue ovviamente la moda piccolo borghese e moralistica radical chic del "voto di protesta", secondo cui un male si cura portando il male stesso fino all'estremo e dandosi poi un'ipocrita giustificazione inventando un "secondo fine".
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Il buon Haneke è il tipico "intellettuale" piccolo borghese che predica bene e razzola male. Allora analizziamo accuratamente il punto di partenza "ideologico" del film. Haneke parte dalla solita banalità che i media, i film americani e i videogames alla GTA spettacolarizzano la violenza e bla bla bla. Per contrastare tutto questo, a rigor di logica, Haneke dovrebbe confezionare un film denso di dramma, emozione e compassione per le vittime del massacro, rendendoci partecipi della loro sofferenza e ponendosi totalmente dalla loro parte. Tutt'al contrario: lui segue ovviamente la moda piccolo borghese e moralistica radical chic del "voto di protesta", secondo cui un male si cura portando il male stesso fino all'estremo e dandosi poi un'ipocrita giustificazione inventando un "secondo fine". Haneke porta la spettacolarizzazione all'estremo, perché il suo scopo non è rappresentare qualcosa di orrendo in modo profondo e valevole, ma fare di tutto perché il suo film risulti orrendo per lo spettatore. Altra moda tipicamente squadrista e piccolo borghese per cui qualcosa conta solo se è di "rottura", e non per il suo valore intrinseco. I thriller e i film drammatici o di guerra che Haneke critica pongono lo spettatore dalla parte della vittima, incitandolo a lottare con lui contro il male e a soffrire con lui se il male vince. Non si capisce dove sia il problema etico in tutto questo. Al massimo, il cinema splatter e i giochi alla GTA, mantengono un atteggiamento neutrale, rappresentando la violenza come un gioco e scherzando con il nostro lato oscuro, svolgendo una funzione catartica da valvola di sfogo in cui siamo vittime e carnefici allo stesso tempo. Se mai è questo secondo aspetto ludico che può essere criticato in sede etica, anche se chi lo fa è pericolosamente vicino a un moralismo talebano e ipocrita che genera mostri. Per “protestare” contro tutto ciò, invece di mettersi in antitesi, Haneke supera ogni limite, ovvero si mette totalmente dalla parte del carnefice. Il film risulta orrendo non di sicuro per quello che rappresenta, o perché lo fa in un modo particolarmente crudo, ma perché con le strizzatine d’occhio alla telecamera dei due assassini, il regista obbliga gli spettatori ad assistere allo spettacolo come complici e aguzzini, dandogli in pasto un film che inneggia palesemente al sadismo, al godimento voyeuristico nell’osservare la sofferenza altrui. Vale a dire qualcosa di condannabile senza riserve sotto ogni punto di vista: etico, morale e artistico. Chiaro che Haneke lo fa provocatoriamente … Insomma, il tipico cinismo piccolo borghese radical chic. Il suo unico e solo obiettivo è quello di infrangere il tabù morale per cui ciò che incita palesemente alla violenza viene censurato e condannato, obbligando lo spettatore ad assistere impotente allo spettacolo e ad osservarlo in modo odiosamente freddo ed “estetizzante” (come in uno snuff movie). Chiaro che il pubblico si sente insultato, e se ne va. Missione compiuta! Se non fosse che la missione è proprio quella di esasperare gli aspetti più ripugnanti della spettacolarizzazione pornografica della violenza: non rappresentandola, come in Natural Born Killers, ma mettendola in pratica direttamente. Bel modo di protestare contro il “vuoto di valori” dei media! Proprio per questo è inquietante leggere le lodi sperticate di chi ha sacrificato ogni discernimento etico sull'altare dell'estetismo più vieto e salottiero. [-]
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Ann e George, con il figlioletto Georgie, si dirigono verso la loro casa sul lago, per trascorrervi un periodo di vacanza. Una volta arrivati sul posto, l’intera famiglia sarà presa in ostaggio da due ragazzi, che si sono introdotti in casa loro con una scusa. I registi che hanno realizzato remake dei loro film si contano sulle dita di una mano; Alfred Hitchcock ha rifatto “L’uomo che sapeva troppo”, ma non l’ha certo riproposto tale e quale, come ha fatto Haneke con questo “Funny Games U.S.”. Si solleva allora la seconda eventualità, ossia quella del remake che clona l’originale, come ha fatto Gus Van Sant nel suo warholiano “Psycho”, seppure anche in questo caso non mancassero degli scarti, minimi ma significativi.
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Ann e George, con il figlioletto Georgie, si dirigono verso la loro casa sul lago, per trascorrervi un periodo di vacanza. Una volta arrivati sul posto, l’intera famiglia sarà presa in ostaggio da due ragazzi, che si sono introdotti in casa loro con una scusa. I registi che hanno realizzato remake dei loro film si contano sulle dita di una mano; Alfred Hitchcock ha rifatto “L’uomo che sapeva troppo”, ma non l’ha certo riproposto tale e quale, come ha fatto Haneke con questo “Funny Games U.S.”. Si solleva allora la seconda eventualità, ossia quella del remake che clona l’originale, come ha fatto Gus Van Sant nel suo warholiano “Psycho”, seppure anche in questo caso non mancassero degli scarti, minimi ma significativi. Questa volta la sceneggiatura e le inquadrature restano le stesse, compresa la scena del rewind, ma cambiano gli attori, con Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt al posto di Susanne Lothar, Ulrich Muhe e Frank Giering. Haneke ha dichiarato di aver realizzato il film per renderlo accessibile anche al pubblico degli Stati Uniti, vista la scarsa diffusione negli USA della prima versione del 1997, aggiungendo che, essendo il film una reazione alla sconsiderata rappresentazione della violenza nel cinema americano, quello doveva essere il pubblico d’elezione del suo astratto teorema. Ma qual è l’originale e qual è la copia? A parte mettere in crisi la nozione stessa di unicità dell’opera, possiamo dire che Haneke ha paradossalmente realizzato un secondo “originale”, dando vita ad uno spazio eccentrico. Le due opere si sovrappongono così l’una all’altra fino al punto di fusione, strutture identiche semplicemente abitate da corpi diversi, che creano un unico testo.
La scelta di mantenere la violenza fuori campo non fa che accrescerne l’orrore. Se “Funny Games U.S.” sembra porre maggiore attenzione sulla figura di Ann, è solamente per le maggiori qualità di una sempre straordinaria Naomi Watts, ma bisogna dire che il mellifluo predatore disegnato da Michael Pitt non è da meno. Impeccabilmente fotografata da Darius Khondji, l’ennesima aggressione (come altro qualificare “La pianista” o “Cachè”?) di Haneke allo spettatore colpisce nel segno anche stavolta, pur rimanendo nei limiti del film a tesi, mentre persino la colonna sonora si trasforma in una zona di guerra: John Zorn e i Naked City contro Handel e Mozart. Volendo, si potrebbe aggiungere che il regista austriaco rovescia le conclusioni di Peckinpah in “Cane di Paglia”. [-]
[+] lascia un commento a andyflash77 »[ - ] lascia un commento a andyflash77 »
Dopo lo scarso riscontro del primo film, Haneke ci riprova con una produzione americana, riuscendo a fare per bene ciò che non era riuscito a fare dieci anni prima: sconvolgere e far riflettere il pubblico di larga scala.
“Funny Games” è una specie di ammonimento nei confronti del pubblico cinematografico che vuole a tutti costi assistere la violenza in diretta e vedere il solito bel finale.
In “Funny Games” non è così: si vede solo e semplicemente l'annientamento morale e psicologico di un'agiata famiglia in vacanza, sottoposta a tremendi supplizi per tutte le due ore di film, facendo si, che si eviti ogni colpo scena che si aspetta il normale spettatore.
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Dopo lo scarso riscontro del primo film, Haneke ci riprova con una produzione americana, riuscendo a fare per bene ciò che non era riuscito a fare dieci anni prima: sconvolgere e far riflettere il pubblico di larga scala.
“Funny Games” è una specie di ammonimento nei confronti del pubblico cinematografico che vuole a tutti costi assistere la violenza in diretta e vedere il solito bel finale.
In “Funny Games” non è così: si vede solo e semplicemente l'annientamento morale e psicologico di un'agiata famiglia in vacanza, sottoposta a tremendi supplizi per tutte le due ore di film, facendo si, che si eviti ogni colpo scena che si aspetta il normale spettatore.
Comunque, per chi conosce bene il cinema e non lo segue da distratto fruitore, già capisce il tragico andazzo del film, e il fatto di saperlo, toglie un po' di gusto nella visione, ma state tranquilli che chi guarda superfluamente i film, rimarrà sconvolto e scandalizzato dalla visione di questo film.
Un altro punto a favore è certamente una regia sinistra e impietosa, che fa gioco sul fatto che, il non mostrare della brutalità delle scene più raccapriccianti, ti mette ancor più magone, esasperando poi, la situazione di disperazione della famiglia in ostaggio dei due psicopatici ragazzi.
Oltre a premiare la regia, c'è da premiare un intenso e grandioso cast, che sfoggia il poker d'assi formato da Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt e Brady Corbet: la coppia Roth- Watts è semplicemente fantastica nell'impersonare la sofferenza di una coppia impotente e incapace di ribaltare la terribile situazione in cui stanno; Pitt -Corbet, bravissimi nel loro sadismo, giudice incontrastato del puerile pubblico che si aspetta di vederli morti o pestati a sangue (speranza vana). “Funny Games” è un film acido e senza mezze misure: o si ama o si odia, lo si capisce o non lo si capisce; in ogni caso, per me, rappresenta un valido esempio di cinema autoriale, e raccomando di vederlo senza farsi troppi pregiudizi.
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[+] lascia un commento a shiningeyes »[ - ] lascia un commento a shiningeyes »
Una famiglia tranquilla. Una vacanza al lago.
Due giovani vestiti da golfisti. Una noia mortale.
Un promettente primo quarto d'ora lascia spazio ad una trama sconclusionata (nel senso letterale ed etimologico del termine), ad un montaggio di grado "salviamo il salvabile", ad un finale tanto scontato quanto inutile. Cosa si fa quando un'opera riesce così male? Si gioca la carta jolly della "critica sociale": "in questo modo il pubblico non avrà da ridire".
Ennesimo film mediocre. Ennesimo tentativo autocelebrativo, peggio che fallito, di fare critica. Un film che finisce per risultare autoreferenziale, facendo uso di quella violenza da performance che tanto si sforza di criticare. L'estetica generale, seppur curata nel dettaglio, appare goffa e pretenziosa.
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Una famiglia tranquilla. Una vacanza al lago.
Due giovani vestiti da golfisti. Una noia mortale.
Un promettente primo quarto d'ora lascia spazio ad una trama sconclusionata (nel senso letterale ed etimologico del termine), ad un montaggio di grado "salviamo il salvabile", ad un finale tanto scontato quanto inutile. Cosa si fa quando un'opera riesce così male? Si gioca la carta jolly della "critica sociale": "in questo modo il pubblico non avrà da ridire".
Ennesimo film mediocre. Ennesimo tentativo autocelebrativo, peggio che fallito, di fare critica. Un film che finisce per risultare autoreferenziale, facendo uso di quella violenza da performance che tanto si sforza di criticare. L'estetica generale, seppur curata nel dettaglio, appare goffa e pretenziosa. Una malriuscita volontà di parodiare il genere thriller nella sua interezza, che però si dimostra incapace di far riflettere lo spettatore, lasciandolo annoiato e a tratti confuso da espedienti narrativi più patetici che retorici (come la svogliate e superflue rotture della quarta parete, oltre che dalla penosa scena del simbolico "rewind" telecomandato). Nonostante il professionale cast che funge da "tappabuchi", la sceneggiatura risulta carente e spesso priva di focus. Eccetto poche particolari immagini, la fotografia non riesce a star dietro i vaneggianti tentativi registici dagli accenti velatamente ironici, oltre che alla interminabile serie di citazioni cinematografiche traboccanti di falsa modestia.
L'impianto filosofico di cui l'opera vuole fregiare le sue intenzioni risulta così, alla radice, contraddetto dal film stesso, che mette in scena situazioni ai limiti della sopportabilità persino in uno spettatore abituato alla sperimentazione critica di matrice Bunueliana e al cinema "statico" di Andersson. Non è tanto la mancanza di una morale a segnare la visione, quanto l'esplosione di nonsenso che neppure il peggiore dei cloni malriusciti di Scary Movie riesce a rendere tanto indigeribile.
Se non altro, che quest'opera sia da monito all'industria e alla critica cinematografica: questo film riassume esattamente, passo dopo passo, scena dopo scena, tutto ciò che NON deve fare un buon lungometraggio di critica.
Deludente come ben pochi film sono stati in grado di essere. Consigliatissimo a chi avesse voglia di sprecare il proprio tempo, anziché dedicarlo alla più utile e decisamente più critica visione di un documentario muto sulla vita sessuale dei dugonghi.
Voto finale: 1.5/5
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