Funny Games

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Un film di Michael Haneke. Con Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Devon Gearhart.
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Thriller, durata 111 min. - Gran Bretagna, USA, Francia, Austria, Germania, Italia 2007. - Lucky Red uscita venerdì 11 luglio 2008. - VM 14 - MYMONETRO Funny Games * * * - - valutazione media: 3,41 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

PREPOTENZA DEL REGISTA Valutazione 1 stelle su cinque

di Giannettaccio


Feedback: 100
domenica 17 marzo 2013

Si tratta di un film costruito con buona tecnica: scorrevole, di effetto (acuto il dosaggio delle scene), diligente fotografia, forti interpretazioni.

Ciò detto, è un una storia che sinceramente disgusta e provoca avversione per chi l’ha inventata.

Preoccupano le motivazioni di Haneke, nel tirar fuori certe iniziative “culturali”. Riesco a fare tre ipotesi.

La prima è che si voglia attrarre l’attenzione sulla violenza in quanto tale, per mostrarne l’aspetto orribile senza la zolletta di zucchero del lieto fine; quindi si spinge l’accelleratore nella strada della violenza per gioco, non solo terribile ma anche inutile e, per questo, folle. E qui il bravo Haneke commette un madornale errore, concettuale e concreto, e manda un messaggio del tutto sballato; perché altro è la violenza (minimo comune denominatore di tutta la storia della umanità, che tuttavia può avere diverse matrici e diverse dimensioni etiche, dai nazisti alla resistenza contro il nazismo) altro è la crudeltà, che non piace a nessuno e condannare la quale è scoprire l’acqua calda. Se il regista tenta paragoni provocatori fra le radici della crudeltà – quella dei protagonisti aggressori ( di “famiglia bene” e simbolicamente in guanti bianchi) e quella del “sistema” che ha espresso le vittime, sottintendendo che la prima è l’effetto perverso della seconda – opera una deduzione fine a se stessa, perché ogni società, non solo quella del benessere, produce delle variabili impazzite.

Una seconda ipotesi è che l’autore della trama abbia inteso aggredire lo spettatore, mortificando il suo senso morale con le efferatezze (dato costante in film del genere), ma privandolo del conforto del lieto fine. L’ipotesi è confermata dall’elemento ricorrente (in modo inesorabile, asfissiante) della jella che accompagna ogni tentativo delle vittime, pur ingegnoso e coraggioso, di sottrarsi alle torture ed alla morte. E quando finalmente i “buoni” sembrano prendere il sopravvento (la donna spara ed uccide uno degli assassini) ecco che l’altro assassino (cioè il regista che ci sta “educando” a dissociarci da certo genere di spettacolo) si impossessa di un surreale telecomando e manda indietro la scena del “reale”, cancellando il possibile lieto fine, cioè ciò che noi istintivamente vorremmo (è questa in fondo la scena chiave). In sostanza si vuole contrapporre alla dimensione dei vari film a cliché sull’argomento un meccanismo che, annullando la nemesi, educhi lo spettatore a gusti e riflessioni diverse; così si sorvola sulla considerazione che la nemesi (ipocrita, convenzionale ed acquietante quanto si voglia) è pur sempre necessaria a far inghiottire il prodotto. Ed un prodotto non inghiottito lo si sputa. A questo punto non si tratterebbe di un film, ma di un contro-film (tenace moda, assai datata, di certe “operazioni culturali”). C’è da chiedersi, allora come si permetta un tizio qualsiasi di aggredire gli altri, di concionare sui loro gusti manipolando le loro emozioni, di offendere l’altrui sensibilità. Se Haneke è libero di fare i film che vuole io sono padrone di disprezzare la prepotente arroganza di esprimere le sue idee sul cinema. E non voglio che nessuno si permetta di “educarmi” al genere di spettacolo che dice lui.

La terza ipotesi, forse la più convincente, è che il bravo Haneke abbia voluto puramente e semplicemente nel 2007 far molti soldi in America dopo averne fatti pochi in Europa dieci anni prima (si tratta di un remake di altro film dello stesso autore, che non ebbe significativo successo di pubblico). Anche un contro-film può sempre dar da mangiare (non briciole, ma bistecche) a chi lo ha fatto. Egli allora voleva far soltanto cassetta senza porsi interrogativi di alcun genere, se non quello di essere diverso e pertanto più gettonato. Spero che non abbia raggiunto il suo scopo.

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