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Mi ricordo Amarcord. I primi cinquant'anni di un'opera senza tempo

Il film di Fellini è entrato prepotentemente nella nostra memoria. È ancora presente, ed è futuro.   
di Pino Farinotti

mercoledì 30 agosto 2023 - Focus

Amarcord ha cinquant’anni, ma è presente, ed è futuro.

Non ho mai conosciuto Federico Fellini, ma lo conosco molto bene. Nel 1998 la De Agostini decise di pubblicare in VHS tutti i titoli del regista, 22, e venni chiamato a scrivere un volume su ciascun film. Dunque… conosco Fellini. I volumi sono stati accorpati in un unico libro, "Il grande cinema di Federico Fellini", nel 2020, edito dalla Book Time.

Al di là del legame artistico, chiamiamolo così, ne presento uno… etnico. Anch’io sono emiliano, seppure più occidentale. La mia famiglia viene dai monti piacentini, da un villaggio che si chiama Farinotti. In quel dialetto “mi ricordo” si dice “amarcord”. 

Una delle misure della grandezza di un artista è la capacità di creare un proprio mondo, e di farlo accettare al posto della realtà; è, inoltre, la capacità di tradurre la realtà secondo la propria fantasia. Possiamo chiamarla “espressione” o anche “sogno”. La mediazione può anche risultare strana o magari oscura, razionalmente non condivisibile, ma il risultato è talmente forte, o magico, o galeotto, o ipnotico, che ne veniamo completamente catturati.

Veniamo presi in ostaggio e rilasciati quando finisce il film, momento in cui ritroviamo tutto quello che conoscevamo. Lo ritroviamo con fatica e dolore. Il grande artista ha la capacità di creare un precedente di memoria che si installa nella nostra coscienza, e vi rimane per sempre. Fellini è entrato così prepotentemente nella nostra memoria, perché ha mostrato a suo modo le cose che conosciamo bene, attraverso la nostalgia le esperienze fondamentali della vita di tutti. Come si dice: ci siamo identificati.

Tutto questo è sublimato in Amarcord.

Dovendo estrarre un solo momento, che rappresenta il film e il suo creatore, scelgo il Rex. Era il transatlantico più prestigioso del mondo, ed era il modello del regime. Nella memoria e nella cultura del popolo era leggenda e magia. La gente del borgo, su piccole barche raggiunge la zona di mare dove passerà il Rex. In attesa ognuno racconta sé stesso. I sentimenti, le speranze, la vita... è notte, ecco una sirena e la nave appare e tutti salutano commossi. Il Rex si allontana come un sogno. E tutto è invenzione, creazione felliniana. Il rex  è una struttura, il mare è plastica. È la realtà rifatta dal genio, detta sopra.

Il film. Il regista ricorda il tempo della sua infanzia, gli anni Trenta, al suo paese. Passano dunque i miti, i valori, il quotidiano di quel tempo: le parate fasciste, la scuola (con l’insegnante prosperosa che stuzzica i primi pensieri), la ragazza “che va con tutti”, la prostituta sentimentale, la visita dell’emiro dalle cento mogli, lo zio perdigiorno che si fa mantenere, la Mille Miglia, i sogni a occhi aperti degli adolescenti che scoprono il sesso, il papà antifascista che si fa riempire d’olio di ricino. Erano anni che il regista pensava di concedersi completamente alla sua memoria. Aveva cinquant’anni e pensò di prendere il toro per le corna. C’era di mezzo un vecchio complesso, la paura di aver tradito la sua terra di esserne fuggito da giovanissimo e di non esserci più tornato. Di averla ignorata.
Ma una parte di pudore c’era sempre: "È giusto che io usi come strumenti luoghi e gente vera, che mi hanno visto nascere, stravolgendoli secondo le mie necessità di artista, che sono complicate? Non è un’ulteriore mancanza di rispetto?” Che lo sia stata o meno, Amarcord rimane l’incanto perenne di un’opera che trascende, da molto in alto, il cinema, per diventare arte.

Il film raccolse riconoscimenti a non finire, compreso il più importante, l’Oscar, il quarto dopo La strada, Le notti di Cabiria, 8 ½. Ne sarebbe seguito un quinto, alla carriera. Amarcord e Fellini sono il cinema.


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