Fra le tue braccia

Londra 1938. La giovane Cluny Brown ha uno zio idraulico da cui ha imparato il mestiere. Si tratta però di un'attività sconveniente per una fanciulla e lo zio decide di mandarla a servizio nella tenuta di campagna di Lord e Lady Carmel. Qui incontrerà di nuovo un misterioso emigrato cecoslovacco, Adam Belinski, e avrà modo di verificare quale si pensa debba essere il suo posto nella società.

L'ultimo film di Lubitsch conserva lo spirito corrosivo che ha contrassegnato tutta la sua opera.

Già nel 1943 (mentre girava Il cielo può attendere) Lubitsch aveva avuto un attacco cardiaco e, dopo il supervisionamento di Scandalo a corte di Otto Preminger e di Il castello di Dragonwyck di Joseph Mankiewicz ottiene il permesso di tornare a girare in prima persona. Lo fa offrendo a Jennifer Jones un ruolo insolito da protagonista di commedia, mostrandone le doti e mettendola anche in condizione di realizzare una scena che, non si sa come, sfuggirà alle forbici della censura. La si osservi quando fa la gatta sul divano e si valuti l'erotismo più che malizioso (da parte di Lubitsch) che la connota. Anche se il famoso 'tocco' qui è più contenuto non viene però a mancare il piacere sia dell'autocitazione che della satira pungente.

Nel personaggio di Belinski, presunto eroe in patria in quanto antinazista ma abile nel farsi prestare denaro ed entrare come ospite nelle famiglie altolocate, si legge il piacere di poter tornare a riferirsi al nazismo e all'Europa dell'Est che gli avevano procurato pesanti critiche di inopportunità quando, in pieno conflitto mondiale, aveva realizzato il peraltro splendido Vogliamo vivere!.

Lo script non è originale. Si basa infatti su un fumetto di Margery Sharp, molto popolare all'epoca negli Stati Uniti, che aveva al centro le vicende di Cluny Brown. Lubitsch ci trova materia per una satira al vetriolo sulla stratificazione sociale in Gran Bretagna. Volendo forzare un po' la mano lo si potrebbe definire un Dickens che ha deciso di divertirsi e divertire. Perché qui non si salva nessuno. Non si salvano i Carmel nell'improvviso cambio di atteggiamento nella scena dell'arrivo di Cluny nella loro abitazione (e in quella in cui serve a pranzo).

Non si salva la 'buona' borghesia rappresentata dal farmacista con voce nasale, perbenismo all'eccesso e madre occhiuta e tossente. Ma (qui sta il vertice) il rispetto formale delle regole e della gerarchia si trova ad essere rappresentato all'estremo dal maggiordomo e dalla governante di casa Carmel custodi delle differenze di classe e di comportamento. Che peraltro, va detto, sono ormai interiorizzate anche dalla classe operaia ben rappresentata dallo zio della ragazza. Le famose porte di Lubitsch qui non ci sono o, meglio, ce n'è una che viene aperta e chiusa con un divertente scopo preciso. C'è poi un finale che merita una visione attenta per gustarlo appieno. Con pochissimi elementi e senza parole dette, il Maestro ci fa comprendere due situazioni che provocano un ultimo sorriso e l'ennesima ammirazione per il suo modo di raccontare con le immagini. 

Cluny è un'ingenua fanciulla londinese che va a lavorare come cameriera nella villa di un'aristocratica famiglia. Lì incontra uno scrittore cecoslovacco esiliato per le sue idee antinaziste (siamo alla vigilia del secondo conflitto mondiale). L'amore, quasi senza che se n'accorgano, sboccerà tra i due.