The Witch: Part 1. the Subversion

Ja-yoon sembra una ragazza dotata per gli studi come per il canto, un piccolo prodigio camuffato da timida adolescente. Almeno finché il suo passato misterioso e losco non arriva a casa dei suoi genitori adottivi. Un'azione che scatenerà la natura nascosta di Ja-yoon, quella che le è valso il soprannome di "Piccola strega".

Sono dei titoli di testa suggestivi ma ingannevoli a introdurre The Witch Part 1: Subversion - un montaggio di illustrazione più o meno antiche su un tema visitato spesso al cinema, quello della stregoneria. Ma chi si aspetta una risposta sudcoreana a The VVitch di Eggers è fuoristrada.

Volendo ricostruire a ritroso gli ingredienti della ricetta utilizzata da Park Joon-hung, meglio affidarsi a un pizzico di Nikita, a una spruzzata di Blade Runner e a una fettina di Twilight (giusto una scorzetta, privata di ogni elemento romance). Ne manca solo uno perché il cocktail sia perfetto, ma il regista Park lo aggiunge pescando dal proprio passato, in particolare dalla sceneggiatura di I Saw the Devil, scritta per Kim Jee-woon. È la quota di splatter, infatti, assai generosa, a far saltare il banco di quella che altrimenti potrebbe essere semplicemente catalogata come un'operazione di young adult supereroico in salsa sudcoreana. Con scene così cruente è invece impossibile consigliare a cuor leggero The Witch Part 1: Subversion a un target di adolescenti impressionabili.

Ma la Warner, astutamente, cerca di conquistare il mercato locale utilizzando le armi autoctone, ovvero la celeberrima abilità nel confezionare noir-thriller violentissimi (The Man from Nowhere, The Villainess) mescolata all'audacia nel transitare da un genere all'altro. La prima mezzora abbondante, escluso l'incipt, diviene così una sorta di commedia adolescenziale sull'ambizione di andare in tv ed entrare nel magico mondo del K-pop. Fino alla svolta brutale, che arriva fulminea e senza preavviso alcuno, per avviare il film verso un bagno di sangue degno di Kill Bill vol. 1.

Tutto quel che succederà da lì in avanti difficilmente stupirà chi è avvezzo ai film di genere girati sotto il 38.mo parallelo. I ruoli di eroi e villain sono immediatamente intuibili e Park lascia briglie troppo sciolte al gigionismo recitativo (Cho Min-soon, star di Pieta, è caricaturale nel suo ruolo di incrocio tra Blofeld e un mad doctor); i cattivi chiacchierano troppo prima di sparare, mentre la progressione di scontri e di cadaveri si ripete secondo un copione atteso.

Non compaiono mai colpi di scena che giustifichino una durata superiore alle due ore, mentre la necessità di un sequel - già annunciato dalla "parzialità" del titolo - fa sì che ogni risoluzione definitiva sia rimandata, troncando a metà la suspense con un epilogo sempre meno verosimile e sempre più artificioso (con il ricorso alla presenza di due gemelli, ossia l'espediente più antico e abusato dello storytelling, deriso almeno quanto il maggiordomo come colpevole di un romanzo giallo). Ma il pubblico coreano ha apprezzato (più di venti milioni di dollari di incasso) e quindi è solo questione di tempo per il sequel. La speranza è che riproponga qualche accenno di atmosfera teen, troppo presto abbandonata qui in favore dell'azione. 