Anno | 2010 |
Genere | Documentario |
Produzione | Gran Bretagna, Ghana |
Durata | 90 minuti |
Regia di | John Akomfrah |
MYmonetro | 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 26 agosto 2010
Una reinterpretazione dell'Odissea per raccontare l'emigrazione di massa dalla Gran Bretagna del dopoguerra.
CONSIGLIATO SÌ
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Calliope, Clio, Erato, Euterpe, Melpomene, Polimnia, Tersicore, Talia, Urania. Attraverso i nove capitoli dedicati alle figlie di Mnemosine e Zeus, John Akomfrah, inglese originario del Ghana, invoca a suo modo la decima delle muse, ovvero il cinema. Alle immagini del presente, nelle quali due uomini si muovono dentro un deserto di vento e ghiaccio, forse Ulisse e Telemaco, si appaiano quelle che la BBC filmò negli anni '50 e '60 per documentare la grande ondata di immigrazione di africani e indiani in Gran Bretagna e la reazione diffidente e ostile del popolo autoctono.
Critico, oltre che filmaker, Akomfrah ha un approccio intellettuale alla scrittura del film e, pur utilizzando citazioni riconoscibili quando non proprio famose (da Omero, Dante, Milton, Shakespeare, Beckett e Joyce), mantiene strettamente criptico il senso dell'opera, non offre appigli alla delucidazione. Strutturato come una favola allegorica e vagamente ispirato alla fantascienza esistenziale, The Nine Muses legge dunque la storia dell'immigrazione di massa nel dopoguerra attraverso la lente -principale- del poema omerico. Le muse dovrebbero, per definizione, ispirare le persone a fare del loro meglio e forse un invito del genere è presente nel sottotesto del film, ma, più che altro, il ricorso a queste figure mitologiche sembra avere a che fare con un racconto di fondazione necessario ma tutto ancora da scrivere e da cercare, nel mare della letteratura comune, per esempio: quella degli eroi e dei capricci degli dei.
Co-fondatore, nel 1982, del Black Audio Film Collective, che va propriamente alla ricerca delle forme mediatiche per parlare nel modo più appropriato della questione identitaria dei neri d'Inghilterra, Akomfrah persegue qui chiaramente (questo sì, è evidente) la strada di un lirismo poetico, che alla memoria (le tante immagini di repertorio, le citazioni), vale a dire a ciò che è accaduto, associa una riflessione sulla necessità di trovare per quegli stessi eventi un senso nuovo, esplorando strade non ancora battute (l'errare degli uomini tra i ghiacci). L'invocazione alle Muse, allora, si può prendere anche semplicemente come un'indicazione di lettura che l'autore fornisce ai suoi spettatori: siamo nel regno della poesia, abbandonate la logica e seguite il suono, l'immagine, la loro varia e polisemica combinazione.