Anno | 2021 |
Genere | Documentario |
Produzione | Francia, Israele |
Durata | 93 minuti |
Regia di | Michale Boganim |
Tag | Da vedere 2021 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento martedì 7 settembre 2021
I concetti di esilio ed eredità storica vengono affrontati in questo road movie.
CONSIGLIATO SÌ
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Con il vocabolo "mizrahim" in Israele si identificano gli ebrei che, a partire dagli anni '60, sono giunti sul territorio provenendo dal Marocco, dall'Algeria, dall'Iraq e dallo Yemen. Il secondo vocabolo con cui si è poi preso a definirli è "arsim" che significa la feccia. È di loro, a partire da suo padre, che la regista tratta in questo documentario in forma di narrazione alla propria figlia.
Per accostarsi a questo film è necessario mettere in stand by un pregiudizio purtroppo diffuso.
Si tratta dello sbrigativo e del tutto fuorviante concetto secondo il quale chi solleva delle critiche nei confronti dello Stato di Israele è un antisemita. Il documentario di Michale Boganim nasce e si sviluppa totalmente all'interno della cultura ebraica ma non per questo si astiene dal criticarne le pratiche discriminatorie nei confronti di coloro che speravano di giungere nella terra promessa e vedevano spegnersi in breve tempo il sogno che li aveva spinti a lasciare i Paesi in cui vivevano. Se occorresse un ulteriore esempio a sostegno di quanto detto sopra sarebbe più che sufficiente la testimonianza dell'ebreo ultraortodosso a dimostrare che non si è affatto nell'ambito dell'antisemitismo ma piuttosto in quello di una richiesta di equità. La regista ci conduce di città in città per mostrare come, anche a differenti latitudini del Paese, la discriminazione non abbia mancato di lasciare segni nella vita delle persone. I diretti interessati raccontano come i primi insediamenti fossero dapprima costituiti da tendopoli per poi subire un trasferimento negli anonimi casermoni delle cosiddette "città di sviluppo" nel deserto del Negev. Città in cui le uniche scuole erano di indirizzo professionale senza altra possibilità di sbocco. Non molti al di fuori di Israele probabilmente sanno che negli anni '70 nacque un gruppo di Black Panthers finalizzato ad ottenere i diritti conculcati. Qui se ne racconta l'attività in un documentario che non assume mai i toni della protesta fine a se stessa ma si pone l'obiettivo di far conoscere delle condizioni di vita che ancora oggi, seppure in modo meno evidente ma non per questo meno oltraggioso, sussistono. Radu Mihaileanu con Vai e vivrai ci aveva già segnalato la condizione dei Falasha, etiopi di origine ebraica, salvati nel 1984 in Sudan ma poi non pienamente accolti in Israele. Ora dalla fiction si passa, in un contesto storico diverso, al documentario. Ribadiamolo: entrambi i registi sono ebrei.
Ci sono alcuni film, documentari soprattutto, di cui vorremmo parlare solo bene, perché partono da una intenzione nobile, importante, colmano una lacuna nella conoscenza e nella memoria pubblica, perché sono film eticamente irreprensibili. Poi però, che lo si voglia accettare o meno, questo non basta, il cosiddetto contenuto è solo l'inizio, ci vuole anche una forma convincente, una drammaturgia in [...] Vai alla recensione »