Enrico Vanzina è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 26 marzo 1949 a Roma (Italia). Enrico Vanzina ha oggi 75 anni ed è del segno zodiacale Ariete.
I due fratelli "terribili" del cinema italiano, figli d'arte, loro padre è il regista Steno, di cui si possono ricordare per esempio film come Totò a colori o Totò diabolicus, nascono entrambi a Roma rispettivamente nel 1949 (Enrico) e nel 1951 (Carlo). Crescono in un ambiente culturalmente e intellettualmente stimolante come sono soliti ricordare loro stessi respirando cinema fin da piccoli, studiano entrambi presso il liceo francese Chateaubriand di Roma. Enrico Vanzina inizia a lavorare come aiuto regista del padre e con lo stesso ruolo inizia la sua carriera anche il fratello Carlo che fra il 1969 e il 1975 è sul set con Mario Monicelli, con il padre Steno e con Alberto Sordi. Dalla metà degli anni Settanta Enrico Vanzina abbandona la macchina da presa per dedicarsi alla sceneggiatura, scrivendo fino a oggi più di 53 film per registi come Alberto Lattuada, Dino Risi e ovviamente per il fratello Carlo che nel 1976 fa il suo esordio alla regia con Luna di miele in tre, firmando da allora oltre 40 film, tutti grandi successi di pubblico, un po' meno apprezzati dalla critica. Nei loro film, in cui recitano a turno tutti i più famosi attori comici del panorama italiano da Christian De Sica a Massimo Boldi, Ezio Greggio e Renato Pozzetto (solo per citarne alcuni), i fratelli Vanzina raccontano gli aspetti più goliardici della società odierna, prendendo in giro certe manie dell'italiano medio come per esempio con Vacanze di Natale (1983), Yuppies - I giovani di successo (1986) o divertendosi a ritrarre in modo anche irriverente la cosiddetta alta società con Sotto il vestito niente (1985) o Via Montenapoleone (1987). Tra gli altri loro successi si possono citare per esempio Sapore di mare (1983), A spasso nel tempo (1996), Il cielo in una stanza (1999), E adesso... sesso (2001).
Certo, ha sulla coscienza «Vacanze di Natale». Ma è anche il figlio del grande Steno. E di commedia all'italiana se ne intende. Tanto da scriverci un libro. E da giudicare i colleghi. Senza scordare i critici.
Mi piace entrare nella vita degli altri, trasferirmi per mesi a j casa di una persona, impicciarmi dei problemi dei figli, della moglie, per questo scrivo sceneggiature sempre in coppia». Siamo nel luminoso studio di Enrico Vanzina, ai Parioli, Roma, nella casa di famiglia del padre j Steno, dove ha vissuto con la madre e il fratello Carlo. Adesso c'è un tavolo gigantesco al centro, pieno di Ì carte, una libreria che corre intorno, e in un angolo un pianoforte. Una j stanza che trasuda cultura, anche se l'intervistato è uno dei maggiori responsabili della serie Vacanze di Natale e Sapore di sale campioni al box office e causa dei mal di pancia di critici sopraccigliosi.
Enrico Vanzina è un uomo colto, parla cinque lingue, è un lettore onnivoro e uno scrittore bulimico. «Con la scrittura ho un rapporto quotidiano, scrivo una quarantina dì pagine al giorno: film, soggetti, articoli, libri». Sostiene di non avere il passo del romanziere, però ha scritto diversi libri; l'ultimo è La commedia all'italiana: Ritratto di un Paese che non cambia; un diario, una raccolta di pensieri e di osservazioni su ciò che vede camminando per strada, cattura prendendo il caffè al bar, legge sul giornale o gli racconta un amico. «Ascolta molto, colgo l'umore della gente in strada. Come diceva
Ernest Hemingway: "È più importante ciò che la gente dice di ciò che pensa"».
A proposito di cultura, nel corso dell'intervista vanzina citerà, tra i tanti, Stéphane Mallarmé, Neli Simon, Ercole Patti. Ma, come dice lui scuotendo la testa da ex ragazzo anni Sessanta, «abbiamo tutti dei romanzi alle spalle, purtroppo non siamo più personaggi da romanzo». Eppure, se Vanzina volesse scrivere anche solo i ritratti delle persone che frequentavano casa sua, potrebbe compilare un'enciclopedia: Marcello Marchesi, Vittorio Metz, Ennio Flaiano, Leo Longanesi. «Per noi era normale avere a cena Rossellini e Antonioni e il giorno dopo Totò e Corbucci. C'era una commistione totale tra scrittori, pittori, attori. Adesso si sentono tutti Orson Welles. Francesca Archibugi, per esempio, non mi saluta perché faccio film con Christian De Sica».
Vanzina non sembra, però, molto addolorato di non meritare il saluto di quelli che considera talebani del gusto... «Anche la commedia di oggi è ideologica. Un bravo regista come Paolo VirA, per esempio, si è messo sulla scia di Age e Scarpelli e come loro perdona ai suoi personaggi ogni difetto, li assolve tutti».
La conversazione si fa interessante. L'autore di decine e decine di commedie all'italiana parla male del genere, lo stesso che in un tempo glorioso ha prodotto un film come I soliti ignoti, che concorreva all'Oscar e convinceva la critica. Che cosa è successo? «La differenza sta nel cast. I soliti ignoti? Mario Monicelli regista e sceneggiatore con Age, Scarpelli e Suso Cecchi D'Amico. Attori Gassman, Mastroianni, Totò, Cardinale. Alla fine degli anni Settanta sono invece venuti fuori i Verdone, Troisi, Nuti, Nichetti che, risucchiati dai produttori, hanno avuto mano libera per fare i registi, gli sceneggiatori, gli attori. Il loro cinema è diventato monologante, i personaggi divisi in buoni e cattivi. Sono spariti i personaggi laterali. I finali sono meno cattivi e, da allora, la commedia non è stata più la stessa».
Febbre da cavallo, una delle prime sceneggiature di Enrico con il padre Steno, aveva ancora il sapore di quella stagione. «Perché papà senza accorgersene rifece un film anni Cinquanta. Era una citazione, il cinema è una continua citazione, un continuo luogo comune, anche se le grandi commedie di una volta i luoghi comuni li creavano».
Parlare con Enrico Vanzina solo di cinema è un peccato. II suo libro è pieno di racconti esilaranti, come quello di Peggy Guggenheim a Venezia; con lei, il giovane Enrico andò a vedere La caduta degli dei. La signora non capiva nulla della trama e chiedeva a raffica: «Chi è quello? Che ha detto? Che fa?». Un supplizio. Ma la sera a cena, agli amici raccontò il film come se fosse il più attento critico del mondo, dandone un'interpretazione straordinaria.
«Io sono un casinaro, potevo andare a cena da Peggy Guggenheim e iil giorno dopo salire sul treno dei tifosi romanisti urlando slogan beceri. Faccio a pugni, finisco nei guai, ho un pregiudizio positivo nei confronti di tutti, perché non ho paura. Mia moglie è una santa. Carlo è diverso, somiglia a mio padre, è taciturno, solitario. Adesso, con i capelli bianchi, reagisco diversamente anche ai critici spocchiosi. Anzi, mi impensierisce sentirli parlare bene dei nostri film, alcuni sostengono che adesso il cinema di sinistra lo facciamo noi. Mio padre per tutta la vita ha sofferto del pregiudizio che questo Paese ha avuto nei confronti della commedia, anche quando vinse a Cannes con Guardie e ladri. Adesso è stato rivalutato, come Totò. Ma è morto giovane e non lo sa».
L'intervista si chiude con un velo di amarezza: come tutti gli umoristi, Vanzina ha una vena melodrammatica. Sulla porta, un soprassalto: «Per favore, non titolate l'intervista "Vacanze di Natale con Vanzina", perché noi siamo responsabili solo del primo film della serie».
Da Il Venerdì di Repubblica, 9 maggio 2008