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Il western c'è ancora

Seconda Parte - Come mai un genere le cui stagioni d’oro sono sorpassate da decenni ha tanta visibilità sul piccolo schermo? La storia di Audie Murphy. Leggi la prima parte » 
di Pino Farinotti

Audie Murphy 20 giugno 1924, Kingston (Texas - USA) - 28 Maggio 1971, Roanoke (Virginia - USA).
venerdì 12 aprile 2024 - Focus

Nella prima parte dell’editoriale il focus era sulla proposta, molto vasta, del genere western sui network, che comprende i grandi classici interpretati dai divi maggiori, ma anche titoli “minori” con attori poco conosciuti dal grande pubblico. Oltre, naturalmente alla saga di Leone-Eastwood e alla serie infinita che ne è derivata, di “spaghetti” spesso opere banali e dimenticabili. 
Il pezzo si chiudeva con la citazione di un nome che non appartiene alla memoria popolare. Ma dovrebbe. E’ Audie Murphy. “Non è stato uno che faceva i western, è stato un eroe della storia americana. Il soldato più decorato della seconda guerra mondiale. Merita un racconto.”
     
Audie Murphy nacque nel giugno del 1925 nella contea di Hunt, Texas. Famiglia numerosissima la sua, che doveva sopravvivere dopo l’abbandono del capofamiglia. Fu Audie, poco più che adolescente, a sostenere madre e sette fratelli. Quando una diocesi del luogo si assunse la tutela dei Murphy, Audie fu libero di scegliersi una strada. Decise di arruolarsi, aveva 17 anni. E non fu semplice perché era alto appena un metro e 65 e di aspetto decisamente gracile. Comunque, nel luglio del 1943 si trovò a sbarcare in Sicilia con l’armata del generale Patton. Attraversò l’isola, combatté ad Anzio, entrò in Roma liberata. A seguito del travolgente Patton arrivò in Francia, poi in Germania, infine a Berlino. 
Nel frattempo aveva compiuto imprese militari impossibili. Gli viene attribuita l’uccisione di 241 nazisti e la cattura, da solo, armato di una mitragliatrice più grande di lui, di un’intera colonna di tank. Oltre a molto altro. Si vide attribuire tutte le decorazioni alleate, comprese le maggiori: la Medaglia d’onore del congresso, americana, e la Legion d’onore francese. Era il più decorato soldato della storia degli Stati Uniti. Tornato in America nel 1945, ebbe un’accoglienza non inferiore a quella di altri eroi che avevano vinto la guerra, come Eisenhower e MacArthur e mettiamoci anche Oppenheimer, visto che è di moda. Audie, idolo degli americani, era nella condizione di scegliere ciò che voleva. Con un limite per lui doloroso, per via delle molte ferite subite non poté entrare a West Point, dove sarebbe stato un re. 

Ma West Point, in un’altra modalità, era nel suo destino. La Paramount stava organizzando un film, Codice d’onore, ambientato proprio là. Fu Alan Ladd, il protagonista, a pensare a Murphy. Il regista John Farrow accolse l’idea con entusiasmo e Audie ebbe la parte del cadetto Thomas. La sua performance, seppur breve, venne apprezzata. Era l’inizio di una carriera. Avrebbe interpretato una settantina di film, la maggior parte dei quali western. Se all’inizio si poteva pensare che Hollywood aveva offerto una chance a tanto personaggio, dopo un paio di interpretazioni il “dono” si sarebbe esaurito. Ma Audie si dimostrò un bravo attore, con un seguito di pubblico, e relativi incassi, notevoli.       
La filmografia di Murphy non presenta solo western. Alcune citazioni meritevoli e diverse: il regista Joseph Mankiewicz, autore di gran classe, lo volle protagonista del suo Un americano tranquillo, del 1958, tratto dal best seller di Graham Greene. E John Huston altro maestro, due anni dopo, lo chiamò per dargli una parte da co-protagonista ne Gli inesorabili. Ma c’è dell’altro, che vale molto. C’è Hemingway.
Il regista Don Siegel si apprestava a girare il terzo film tratto dal romanzo "Avere non avere" di Hemingway, dal titolo Agguato nei Caraibi, del 1957. Occorreva scegliere l’attore per la parte del protagonista Harry Morgan. Nelle due precedenti edizioni il ruolo era toccato a Humphrey Bogart e a John Garfield, non particolarmente apprezzati dallo scrittore. Quando emerse il nome di Audie Murphy Hemingway approvò subito. Non poteva non essere attratto da lui. Li presentarono e forse per la prima volta lo scrittore era di fronte a qualcuno che aveva meriti maggiori, che era più eroe di lui. E aveva la metà dei suoi anni. Ernest stringeva la mano a quella leggenda americana. Tuttavia, come spesso accadeva nei film tratti dai libri di Hemingway, la produzione impose l’happy end, mentre nel romanzo Morgan moriva. Ernest diceva: “Aver conosciuto Murphy è stata una delle poche cose buone che mi ha dato il cinema.” 
Audie era uomo di diversi talenti, compose canzoni e musiche, scrisse poesie. E non era mai roba banale. E poi c’è quel titolo che fa parte della memoria del cinema, All’inferno e ritorno (To Hell and Back.). Murphy scrisse la propria storia nel 1950, cinque anni dopo uscì il film. Audie faceva sé stesso. Aveva trent’anni ma manteneva quel suo viso da ragazzino. 
La guerra come l’aveva vissuta lui non poteva risparmiarlo. Era vittima, chi se non lui, del Ptsd, disturbo da stress post-traumatico, che nei suoi ultimi anni gli comprometteva lavoro e rapporti. 
Della sua vita privata offre un quadro sintomatico Wanda Hendrix che fu sua moglie per un anno, nel ’49. “Era un uomo tormentato poveretto. Da un nonnulla diventava aggressivo. Non riusciva a dormire e quando ci riusciva erano incubi terribili. Sotto il cuscino teneva sempre una pistola.”
Cercò di fare il produttore ma non era il suo mestiere. Ne derivò un dissesto finanziario che gli procurò disavventure giudiziarie pesanti. E la salute peggiorava per l’abuso di medicine e stupefacenti. 
Audie Murphy morì nel 1971 precipitando col suo aereo presso Catawba, Virginia. Aveva 47 anni. Venne sepolto nel cimitero nazionale di Arlington, che accoglie i grandi americani. La sua tomba è la più visitata dopo quella del presidente Kennedy.
Chiudo con le righe iniziali del suo All’inferno e ritorno. Sta al lettore un giudizio sulla qualità di scrittura.

“Su un’altura a poche centinaia di metri dagli approdi delle forze di invasione in Sicilia, un soldato è seduto su una roccia. Si è tolto l’elmetto e il sole rovente brilla tra i suoi capelli color rame. Con la manica della camicia si asciuga il sudore dal viso; poi, col mento nella mano si china in avanti sopra pensiero.
La compagnia ha fatto tappa. Ci sparpagliamo lungo il pendio, allentiamo le cinghie delle armi e guardiamo il cielo azzurro. E’ il mio primo giorno di combattimento; e finora non si è visto niente di grammatico, tutto è stato di una lentezza esasperante.
Non c’è come l’esercito per guastare ogni cosa.”


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