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Io, Billy Wilder, ho visto Babylon

Un'immaginaria lettura del film di Chazelle da parte di uno dei maestri del cinema americano. 
di Pino Farinotti

Babylon

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Margot Robbie (Margot Elise Robbie) (33 anni) 2 luglio 1990, Gold Coast (Australia) - Cancro. Interpreta Clara Bow nel film di Damien Chazelle Babylon.
lunedì 30 gennaio 2023 - Focus

Mi trovo qui da 96 anni, ma non ho mai smesso di interessarmi delle cose del mondo, soprattutto alle cose del cinema. Vedo che escono film che raccontano il cinema. Un elemento in più di curiosità per me, visto che il mio Viale del tramonto continua ad essere indicato come il modello campione di quel genere.

Hollywood, il cinema, non sono mai storie felici. Raccontano quasi sempre sogni infranti, delusioni tragiche, a volte mortali. Qualche eccezione c’è, come i Fabelmans, dove il ragazzo protagonista si è realizzato, e come si è realizzato. In contemporanea ecco nelle sale Babylon, che di fatto accorpa sei film, tutti finiti male, tranne uno. E’ la storia di un attore del muto che non riesce a emanciparsi quando arriva il sonoro, di una giovane promessa piena di talento che si perde nel giro travolgente e tragico di quell’ambiente, e di un giovane messicano che sembra sul punto di realizzare quel sogno, ma ne viene respinto. E rinuncia. E fa in tempo a salvarsi.

Questo Damien Chazelle è certo cineasta di talento, grande. Tanto che gli sfugge fra le dita. La faraonica festa inziale presenta tutti gli eccessi, di contenuti, alcol, cocaina, gente che fa sesso, con una regia frenetica che fugge a destra e a manca, con musica e decibel relativi. Erano così anche le feste di Gatsby, di The Wolf, di Loro, di C’era una volta a Hollywood (guarda la video recensione), rispettivamente di Luhrmann, Scorsese, Sorrentino, Tarantino. Tutta gente che ci sa fare che a volte, come qui, presenta lo stesso registro.

Io non ero a Hollywood proprio nel momento del passaggio dal muto al sonoro, che comanda il film, ma c’ero subito dopo, primi anni trenta. E quelle cose le conosco, le feste, gli eccessi, c’erano, ma… non così. “Ma questo è il cinema di adesso, bellezza”. E il cinema, per definizione, si fa perdonare tutto. E Bogart poteva completare “ed è il mercato, bellezza”.     

Le storie sul cinema che la memoria di getto mi rimanda sono Gli ultimi fuochi, del mio amico Kazan e Bellissima, del mio coetaneo, genio, Visconti. Erano vicende drammatiche. Un registro che in virtù di ciò che ho scritto sopra, non poteva che evolversi in vicende tragiche, magari cattive. Quando Il Cantante di jazz nel 1927, col suo, pur parziale, sonoro sconvolse il cinema, tutta una fascia di cineasti si trovò estromessa di punto in bianco, sappiamo. C’erano attori che avevano lavorato solo col corpo e con gli occhi, registi senza la complicazione dell’audio. E poi il “muto” non prevedeva gli scrittori. E il cinema dovette rivolgersi alla letteratura e al teatro. Non era semplice.

Eccoli dunque, i drammi. Chazelle è (più che) capillare nella ricerca. E, ribadisco, crea spettacolo e suggestione. Ricerca l’eccesso e apre inserti che sono di fatto altri film. Come quando dedica molti minuti all’episodio del padre della diva in ascesa, che sfida un serpente a sonagli. Sviene ed è la figlia a riprendere il gioco, che sarebbe mortale, perché il serpente reagisce, si attacca alla gola dell’attrice che viene salvata da un’amica, che taglia, succhia e sputa. Io avrei evitato i particolari, avrei anche evitato la sequenza.
Un altro “film” è quando il ragazzo messicano si trova, per il capriccio di un gangster matto e morboso, a dover visitare un ambiente sotterraneo, un vero girone dell’inferno dantesco. Dove il “protagonista” è un uomo bestia che mangia topi grandi come gatti. E Chazelle non si risparmia, come aveva fatto col serpente.  Lo spettatore deve assistere al topo portato alla bocca, masticato e poi inghiottito. E ci sono altri gli inserti che dovrebbero arricchire il racconto. Ribadisco che questo è il cinema di adesso. Il mio era quello di allora, diverso. Però confesso che, anche avendo a disposizione tutte le nuove tecniche di adesso, non sarei stato capace di essere “spettacolare” come questo regista “di adesso”. E così, dato il contesto e i molti contesti, gli faccio i miei complimenti.
Il finale: il messicano lascia, minacciato, Hollywood e torna a casa. Passano gli anni, nel 1952, con moglie e bambino, staziona davanti alla Casa di produzione, che poi è la Metro. Entra in una sala dove stanno proiettando Cantando sotto la pioggia. Ed ecco la sequenza di Gene Kelly che canta e balla. E’ il momento che esprime la felicità come nessun altro nella lunga vicenda del cinema. E lui, Gene, è l’uomo di  spettacolo più grande e completo di sempre.
E’ il finale di Babylon. E qui Chazelle è stato intelligente, opportuno e scaltro. Io la leggo così: riscatta il film e sé stesso.

“Quello là era il cinema, bellezza”. Ed era il cinema che facevo io.         


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