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Madre, lo sguardo ironico e feroce di Bong Joon-ho prima di Parasite

La riscoperta della filmografia del regista sudcoreano passa per il 2009 quando indagò la morbosità dell’amore materno. Al cinema.
di Roberto Manassero

venerdì 2 luglio 2021 - Focus

Ora che Parasite (guarda la video recensione) è diventato un caso – forse anche oltre le sue effettive qualità – la distribuzione italiana ha scoperto tutto d’un tratto l’esistenza di Bong Joon-ho, tra i principali registi coreani degli ultimi vent’anni, amatissimo in Italia grazie ai festival, al mercato estero dell’homevideo e naturalmente alla pirateria, ma a lungo escluso dal circuito delle sale (il primo e unico film distribuito prima di Parasite fu Snowpiercer nel 2013). Dopo Memorie di un assassino (guarda la video recensione), uscito nel gennaio 2020 grazie ad Academy Two, già distributrice di Parasite, ora è PFA Films a portare in sala Madre, il film col quale Bong partecipò nel 2009 al Certain regard di Cannes.
 

Madre è la storia dell’amore assoluto e morboso tra una donna non più giovane e il figlio ritardato mentale, accusato ingiustamente d’omicidio. In un villaggio della provincia coreana, la morte violenta di una ragazza scatena gli istinti più feroci della massa – la paura del diverso, i pregiudizi verso i malati mentali, l’ignoranza – e di conseguenza la reazione della donna, pronta a tutto pur di dimostrare l’innocenza del figlio arrestato. 

Proprio come in Memorie di un assassino, Bong spezza il racconto in vari frammenti e lo ricompone attraverso il lavoro d’inchiesta dei personaggi. I punti di vista si moltiplicano; desideri, illusioni e aspettative di ciascun soggetto rendono sempre più complesso il racconto, portandolo in maniera sofferta a una risoluzione quasi paradossale. 

Bong non ha paura di rappresentare un universo sgradevole, con il suo sguardo ironico e feroce (che proprio in Parasite ha trovato la sua definitiva esaltazione) non salva nessuno, né il figlio ritardato, né la madre amorevole (che pratica illegalmente l’agopuntura), né gli abitanti del villaggio, né tantomeno la vittima, superficiale e non proprio irreprensibile. Ciò che interessa al regista è definire la complessità, addirittura l’animalità, degli istinti umani, di cui l’amore materno è l’espressione più alta, e per questo anche più ambigua. 


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