Anticipazioni scoperte missione italo-iraniana nel sito Unesco
ROMA, 23 FEB - A separarle sono oltre 6 mila
chilometri, più una manciata di millenni. Eppure, laggiù, tra le
sabbie del deserto di Lut e le alture del Baluchistan, in Iran,
l'impressione è di trovarsi davanti a un'altra Pompei. La
"Pompei d'Oriente", come la chiamano gli archeologi, perché come
nella città romana, anche qui tutto è rimasto immobile,
"immortalato" in un'istantanea del tempo. "Conservato non dalla
lava, come accadde con l'eruzione del Vesuvio. Ma dalla sabbia
del deserto salato di Lut, uno dei più inospitali della terra".
A raccontarlo all'ANSA è Enrico Ascalone, direttore scientifico
del Progetto archeologico multidisciplinare internazionale a
Shahr-i Sokhta, avviato nel 2016 dal dipartimento di Beni
Culturali dell'Università del Salento che lo finanzia con il
ministero degli Affari Esteri ed enti privati, e che lavora
fianco a fianco con i colleghi della spedizione archeologica
diretta da Mansur Sajjadi per l'Iranian Center for
Archaeological Research. La missione congiunta ha portato nuove
scoperte, raccolte nel volume Scavi e ricerche a Shahr-i Sokhta,
che sarà presentato domani all'Università del Salento.
Nata intorno alla seconda metà del quarto millennio nell'area
del Sistan, non lontano dai confini con Pakistan e Afghanistan,
collassata intorno al 2.300 per cause ancora sconosciute e nella
lista Unesco per il suo "valore universale", Shahr-i Sokhta era
un fiorente centro di commercio e agricoltura, culla di un
melting pot tra le quattro grandi civiltà fluviali: Oxus, Indo,
Tigri-Eufrate e Halil. La prima delle nuove scoperte riguarda la
datazione del centro, che gli esami sul carbone anticipano di
300 anni. La seconda, centinaia di quelle che gli esperti
chiamano "pro-totavolette". "Siamo nell'età del bronzo iraniano
- dice Ascalone - e dimostrano l'inizio di un processo di
urbanizzazione, che non si è compiuto". (ANSA).
(ANSA)