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Tokyo Film Festival, «Un festival per il grande pubblico, tra delicati equilibri internazionali»

I direttori del Festival raccontano un'edizione che segna una svolta per il Paese.
di Tommaso Tocci

martedì 29 ottobre 2019 - Tokyo Film Festival

Al via nella capitale giapponese la manifestazione ormai giunta alla sua trentaduesima edizione. E se l'appuntamento di Tokyo è ormai storicamente consolidato, abbiamo incontrato i responsabili dell'evento che da quest'anno formano una squadra leggermente diversa dal solito. Al direttore Takeo Hisamatsu, al timone da tre anni, e all'affabile selezionatore Yoshi Yatabe si è infatti aggiunto il presidente Hiroyasu Ando.

Ando è una guida esperta, dall'alto profilo diplomatico che verrà utile in una fase in cui tutto il Giappone, e Tokyo in particolare, è sotto gli occhi del mondo intero. Lo ammette lo stesso direttore Hisamatsu: "Siamo all'inizio di una nuova era, ospiteremo il Mondiale di rugby, le Olimpiadi, avremo l'attenzione di tutti. Motivo in più per riscoprire la cultura cinematografica del Giappone con il nostro festival".
 

Ma che tipo di evento vuole essere, questo di Tokyo? Per quale pubblico? Hisamatsu non ha dubbi: "Il mio intento è quello di diversificare il più possibile l'offerta, non vogliamo organizzare un festival per soli cinefili, ma portare nelle nostre sale anche quegli spettatori che solitamente si limitano a guardare due o tre film l'anno".

Incalzato da una stagione festivaliera sempre più affollata, il direttore non fa mistero delle difficoltà logistiche. "È vero, specialmente in Asia il calendario non ci è favorevole. Busan, Mumbai e altri festival sono molto vicini, cosa che assieme ai problemi di budget rende più difficile assemblare il programma. Cambiare le date non è facile, ma se potessi, mi piacerebbe organizzare il Tokyo Film Festival nella stagione in cui fioriscono i ciliegi, ad Aprile. Ma il problema poi diventerebbe la vicinanza con Cannes!".

A prescindere dal calendario, sono i rapporti tanto commerciali quanto politici con i paesi più importanti a creare le situazioni più delicate. Hisamatsu ricorda come "un tempo avevamo molti più grandi film americani, per esempio la prima di Titanic (guarda la video recensione). Ora la situazione è cambiata, perché le uscite simultanee in tutto il mondo restringono le finestre di disponibilità. Ci piacerebbe tornare ad avere una maggior presenza statunitense, ma nel frattempo crescono gli ospiti dalla Cina e dal resto dell'Asia".

Proprio la Cina rappresenta la più complessa questione aperta sul fronte asiatico. Con molto candore, il selezionatore Yatabe ammette una certa perplessità di fronte ai recenti sviluppi nel processo di selezione dei film cinesi (nell'ultimo anno ci sono stati diversi casi di titoli annunciati e poi ritirati dai vari festival, su tutti One Second di Zhang Yimou a Berlino). "Il processo di censura si è fatto più complicato, e molti film hanno accumulato ritardi nell'ottenere l'autorizzazione. Anche invitando titoli dall'uscita ravvicinata, c'è il rischio di annunciarli e poi doverli ritirare, che è lo scenario peggiore per noi selezionatori".

Si lavora comunque in sinergia per far crescere le due industrie cinematografiche: come sottolineato da Hisamatsu, "abbiamo un nuovo accordo di co-produzione con la Cina che speriamo possa rendere più facile e proficuo raccontare storie dei due paesi".

Anche i rapporti con la Corea del Sud si sono fatti più tesi, e la guerra commerciale che si è protratta per tutto l'anno di certo non aiuta lo scambio a livello del settore culturale. I responsabili del Tokyo Film Festival però frenano: "La politica non c'entra nulla, siamo sempre aperti alla Corea e continuiamo a bussare alla loro porta" dice Hisamatsu. Si spinge ancora oltre Yatabe, che da selezionatore fa mea culpa. "Siamo un festival che cerca prime mondiali dagli altri paesi asiatici, e per via della vicinanza con Busan ciò può essere difficile per i film coreani. La responsabilità è mia. Semplicemente dobbiamo fare di più per attirare le opere dei registi coreani a Tokyo, spingendoli a scegliere il nostro festival".


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In foto Takeo Hisamatsu, direttore del Festival.
In foto Yoshi Yatabe programmatore del Festival.

Altrettanto chiaro Yatabe lo è sui suoi criteri di selezione per il Concorso: “Ho tre pilastri. Voglio film impegnativi, che sappiano sfidare lo spettatore. Voglio film che siano in grado di ispirare a livello artistico. E voglio film che siano d’intrattenimento. I buoni film lo sono sempre, anche quelli di Lav Diaz da 300 minuti! Per questo abbiamo titoli di tutti i generi, e tante opere prime. Non mi importa di quanto famoso sia il regista”.

Per quanto riguarda l’Italia, Tokyo ha avuto di recente un occhio di riguardo per il nostro paese, assegnando nel 2018 i premi per la migliore regia e attrice a Il vizio della speranza (guarda la video recensione) di Edoardo De Angelis. Quest’anno ci sarà in Concorso Nevia di Nunzia De Stefano, passato a Venezia e prodotto da Matteo Garrone. Entrambe storie di Napoli, per cui Yatabe confessa una fascinazione particolare: “Spesso i film italiani che preferisco sono ambientati lì, è una città così piena di fascino e diversità. Nunzia De Stefano è nata lì, e racconta una storia del posto. L’anno scorso avevamo a Tokyo anche Loro di Sorrentino. Lui e Garrone sono due guide per una nuova generazione di registi italiani che è piena di talento. Mi spiace aver potuto portare da noi soltanto un film italiano, quest’anno. Ci impegneremo di più in futuro”.

Sul tema della vicinanza tra Italia e Giappone, dopo che il direttore Hisamatsu ha ricordato quanto degli storyboard di Fellini gli ricordassero alcune storie di Kurosawa, non poteva che chiudere il presidente Hiroyasu Ando, che ci tiene a ricordare il suo passato come ambasciatore giapponese in Italia: “Nella mia residenza guardavo due o tre film italiani al giorno. Amo il cinema italiano! Sto cercando di organizzare un accordo di co-produzione anche con il vostro paese”.


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