Un ricordo del grande regista, patrimonio del nostro Paese, scomparso all'età di 96 anni.
di Pino Farinotti
Franco Zeffirelli era uno degli italiani più popolari del mondo, il numero può risolversi sulle dita di una mano: Bocelli, Bolle, Muti, La Ferrari, Armani. Non trovo altro. Trattasi di popolarità artistica, professionale e umana. Amatissimo dal jet set, soprattutto dalle donne. A tutte le latitudini. Accade che quotidianamente ci lasciano artisti, gente della letteratura e del cinema, ne prendiamo atto e cerchiamo di ricordare. Ma per Zeffirelli il ricordo arriva in automatico, non occorre concentrarsi. Era un talento superdotato e completo, mai statico nella sua energia e nella sua ricerca, frenetica e profonda, fra cinema a teatro.
Radice toscana, dunque colta ab origine, ebbe come istitutore Giorgio La Pira ed esordì come scenografo nel Troilo e Clessidra di Shakespeare, messo in scena da Luchino Visconti.
Nomi forti e decisivi, che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita. È talmente vasto lo spazio di intervento di Zeffirelli che non sono bastati saggi e biografie a comprenderlo tutto. E dunque ecco attivare il meccanismo della selezione, della memoria di getto, onesta ed efficace. Per cominciare la Scala di Milano, dove il regista ha curato alcune delle più importanti opere del melodramma, mettendoci sempre del suo. "Del suo" è un codice primario. In questo senso il richiamo va all'Amleto che Zeffirelli curò nel settembre del 1964, ai 400 anni dalla nascita di Shakespeare, affidatogli proprio dagli inglesi che gli offrirono l'Old Vic Theatre di Londra, il tempio massimo. Protagonista era Giorgio Albertazzi, dai capelli ossigenati, vestito con un maglione a collo alto e un giubbino alla moda. La febbre di ricerca di cui dicevo sopra lo portò a rifare Amleto (1990) affidando la parte a un Mel Gibson che era noto per i ruoli d'azione alla Mad Max, niente di più lontano da Amleto. Una sfida autentica, vinta come sempre. Il regista si mise al sicuro regalando al divo la voce di Giannini nell'edizione italiana. Shakespeare sarebbe stata una costante: La bisbetica domata, Romeo e Giulietta, e L'Otello. E sempre con invenzioni e codici che sarebbero apparsi impropri nella mani di chiunque, ma che Zeffirelli risolveva reinventando regole che diventavano "le regole".