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I Miserabili, melodramma dai tocchi pittorici

Al cinema la trasposizione diretta da Tom Hooper.
di Rossella Farinotti

In foto Anne Hathaway in una scena del film Les Misérables di Tom Hooper.
Anne Hathaway (Anne Jacqueline Hathaway) (41 anni) 12 novembre 1982, New York City (New York - USA) - Scorpione. Interpreta Fantine nel film di Tom Hooper Les Misérables.

martedì 5 febbraio 2013 - Focus

Una Parigi disperata e distrutta, le strade brulicanti di gente affamata e arrabbiata, il buio e le tenebre, corpi emaciati, doloranti, colori cupi, la Senna come luogo della paura... Questi sono elementi portanti e ricorrenti de Les Misérables, il film tratto dal musical sul romanzo di Victor Hugo. Un'opera senza dubbio complessa per i mezzi, e gli attori messi in campo. Nomi assoluti per popolarità e qualità, come Russel Crowe e Hugh Jackman, Anne Hathaway e Helena Bonham Carter. Gente che ha toccato o lambito l'Oscar. Dieci anni fa ho visto, a New York, la versione prodotta dalla Royal Shakespeare Company e diretta da Trevor Nunn e John Caird, che è quella che ha generato il film di Tom Hooper. Entusiasmante. E non può essere un caso che abbia tenuto le scene, quasi ininterrottamente, per oltre vent'anni. Il passaggio dal teatro al cinema non ha giovato. Il teatro ti dà, oltre all'emozione live, una visione generale della scena e del racconto. I modelli sono là, magari lontani, inseriti in tutti gli altri elementi della messinscena. Il cinema ti aggredisce col primo piano. La canzone arriva violenta, così come l'espressione dell'attore, magari un eccesso di espressione. Anche se conosci perfettamente l'inglese e non sei costretto a distrarti coi sottotitoli, ti trovi coinvolto in una sproporzione di decibel e di presenza. È sempre stato il limite dei musical classici in Italia, anche di quelli con grandi canzoni e melodie. Nel Misérables non ci sono orecchiabili fraseggi, ma temi quasi monocordi che sottolineano i testi senza preoccuparsi di una "facile" melodia. È una comunicazione non facile. Ma c'è il rovescio della medaglia, questo eccesso di espressione, questo iperrealismo è buono per una certa estetica. Finisce per essere pittorico.

Dunque non può non ritornare la definizione detta sopra: pittura fortemente espressionista nei tratti dei volti stravolti dalla fame. Le sequenze della Hathaway sono esemplari in questo senso: magra, invecchiata, di un pallore da dipinto ottocentesco, dai capelli grezzamente tagliati, come in un'opera di Egon Schiele, o di Oskar Kokoschka, o ancora, perché no, un'espressione tratta dall'Urlo di Edward Munch. Quell'espressionismo tedesco di fine Ottocento e di primo Novecento, dove la figura umana era rappresentata nei suoi disperati difetti. Le donne magre e nude, dai corpi grigi, con segni scuri, per sottolineare la fame e la malattia, proprio come nel personaggio di Fantine, che nei Miserabili muore di tubercolosi, con un unico pensiero: salvare la figlia Cosette. Jean Varjean rispetterà la richiesta della madre in fin di vita, e, ancora una volta scappando, trova la piccola Cosette e la prende sotto la sua protezione, come una figlia, e come tale la crescerà. Ecco che si sviluppano delle sequenze interessanti: Varjean (Hugh Jackman) trova Cosette bambina in un bosco, ecco ancora l'oscurità, velata da una luce magica, quasi argentata, che risalta le fattezze della piccola bambina, vestita di stracci bianchi, scalza nella neve, ma dai biondi capelli e glaciali occhi azzurri, come in una favola dipinta da un Mark Ryden, l'esponente capo della Low brow art americana, che ha iniziato disegnando proprio giovani fanciulle dall'apparenza da fiaba, vestitini colorati, ma in situazioni e sfondi sempre inquietanti e surreali. Come inquietanti e surreali, nelle loro fattezze colorate da casino, sono Monsieur e Madame Thénardier (Sacha Baron Cohen e Helena Bonham Carter), i genitori adottivi di Cosette, una folcloristica coppia di sbandati e ladri parigini tenutari di un locale/bordello in città: un ambiente bohemien da manifesti di Toulouse Lautrec, con vestiti colorati, guance rosse per coprire il pallore della malattie, prostitute rozze, ricoperte da strati di abiti e con calze a rete.

Da un'ambientazione pallida, grigia, a un interno colorato e caotico, entrambi raccontati con lo stesso scopo: un'umanità allo sbando, in cerca di un ordine e di una salvezza. Espressionismo nordico, dai toni cupi ed emaciati, poi corrente Low brow, dai toni falsamente fiabeschi, poi l'impressionismo di Lautrec, e anche un po' Edgar Degas, e ancora un altro cambio di tono: quello delle scene rivoluzionarie. I giovani parigini vestiti in divise, giubbe e bandiere rosso sangue, contro quelle degli ufficiali, blu scuro, come in un dipinto di Francisco Goya, o di Giovanni Fattori: fucili, barricate, città devastate, la Senna dalle acque tormentate.
Un racconto estetico che supera quello narrativo da melodramma cantato un po' pesante e concentrato su una storia d'amore, quando Hugo aveva narrato di passioni, rivoluzioni, e l'eterna fuga verso il riscatto.

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